Sparare idiozie a 70 anni
- Autore:
- Curatore:
- Fonte:

Marina Abramovic, giunta alla veneranda età di settant’anni, si è autodefinita la «nonna della performance art». Sì, in inglese suona un po’ più elegante – “grandmother of permormance art” – ma il concetto è sempre quello.
Per chi non lo sapesse, Marina Abramovic è un’artista serba naturalizzata statunitense specializzata in performance art e body art. «Nella sua carriera artistica, ancora in corso, esprime quindi attraverso il suo corpo, e con gesti a volte estremi, vari aspetti della femminilità, della sessualità, momenti del quotidiano, e interpreta temi di etica e socialità della realtà contemporanea». Così ci spiega Arte-Artisti.comMarina è nipote di un patriarca della chiesa ortodossa serba, proclamato santo, e figlia di un padre alquanto estroverso, che le impartì la prima lezione d’arte il 30 novembre 1960, quando lei gli chiese di comprare dei colori. In quell’occasione il padre si presentò alla figlia con un amico il quale cominciò con il tagliare a caso un pezzo di tela, poi una volta steso a terra vi gettò sopra colla, sabbia, pietrisco, bitume, colori vari dal giallo al rosso, poi dopo aver cosparso il tutto con trementina, collocò un fiammifero al centro della composizione e lo fece esplodere, dicendo: «Questo è il tramonto!».
Sto parlando di Marina Abramovic perché mi ha incuriosito il titolo di un articolo pubblicato su “Libero” lo scorso 28 luglio, così intitolato: Diventare madre? Mai, meglio il lavoro; la star confessa i suoi tre aborti. Inutile precisare che la “star” in questione sia proprio Marina, la quale ha candidamente spiegato, in un’intervista rilasciata al quotidiano tedesco “Der Tagesspiegel”, ripreso da “Libero”, che «i figli buttano fuori dall’arte» e che per lei «diventare madre sarebbe stato un disastro». Ha, quindi, altrettanto candidamente spiegato perché è dovuta ricorrere tre volte all’interruzione volontaria di gravidanza, precisando che si è trattato di una scelta legata alla volontà di non togliere tempo e opportunità al proprio lavoro: «Ho avuto tre aborti perché ero convinta che un figlio sarebbe stato un disastro per il mio lavoro». Beh, se non avesse fatto così, non avrebbe mai ottenuto il Leone d’oro alla XLVII Biennale di Venezia, non avrebbe mai ricevuto premi come il Niedersächsischer Kunstpreis, il New York Dance and Performance Award (The Bessies), e l’International Association of Art Critics, Best Show in a Commercial Gallery Award. Eh sì, secondo la “nonna della performance art”, «una donna che ha tanta energia nel proprio corpo non la può condividere con un bambino».
Ma Marina non è per nulla pentita, anzi si dichiara felice: «Non riesco a pensare a una vita diversa da questa». Felice di aver sacrificato anche la vita familiare. Felice di «essere libera», ora che è fresca di separazione dal compagno Ulay, con cui si è messa insieme dopo il divorzio nel 2009 dal secondo marito, il giornalista italiano Paolo Canevari.
L’intervista finisce con una dichiarazione che pare un sussulto di saggezza, anche se espresso in maniera alquanto scurrile: «A settant’anni bisogna ridurre le cazzate» (mit 70 muss man den Bullshit reduzieren). Ha ragione Marina Abramovic, solo che non ha seguito quella sua perla di saggezza. A settant’anni le cazzate non solo si dovrebbe evitare di farle. Sarebbe opportuno anche non dirle.