Dichiarazione anticipata di trattamento
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Caro Denis,
seguo con affetto e partecipazione il tuo percorso umano e il tuo impegno politico. Ho sempre apprezzato la tua passione e disponibilità nel costruire la società in cui credi e soprattutto le energie messe a disposizione per uno scopo che vada oltre le proprie piccole beghe personali e quotidiane. Non a caso, il nome della tua rivista “Energie Nuove per la città”, alle cui pagine mi hai dato recentemente la possibilità di contribuire, ti rappresenta.
Leggo che hai chiesto e ottenuto dal Sindaco l’istituzione del registro comunale del testamento biologico e che, primo, hai sottoscritto la tua dichiarazione.
Permettimi di ricordare, prima di tutto a me stesso, a te, al Sindaco e a chiunque abbia a cuore il bene comune, che questa tua battaglia – e tu stesso la definisce tale, quando parli di segnale politico per una nuova legge in materia – pur esprimendo un’enorme domanda dell’uomo davanti al mistero del dolore e della morte, tuttavia non credo rappresenti umanamente e ragionevolmente la risposta.
Le posizioni che si possono assumere davanti a dichiarazioni con le quali si sottoscrive l’accettazione o il rifiuto di terapie mediche, in caso di patologie che facciano perdere l’autodeterminazione, sono di due tipi: a) esse possono riguardare il rifiuto di terapie “sproporzionate o sperimentali” (accanimento terapeutico); b) oppure possono avere a oggetto il rifiuto di qualunque trattamento, anche di terapie proporzionate ed efficaci, o di sostentamenti vitali di base; in questo secondo caso, aprendosi al riconoscimento di ipotesi di eutanasia.
Con il testamento biologico siamo in questa seconda ipotesi: “la libertà della persona rispetto alle terapie è una libertà assoluta” ed il suo riconoscimento obbliga altre persone – e per cominciare gli stessi medici, la cui azione è deontologicamente rivolta invece alla cura dei pazienti e al miglioramento delle loro condizioni di vita – a rispettare la volontà espressa, anche se dovesse portare a morte prematura o anticipata, evitabile con trattamenti del tutto proporzionati e salva vita.
La tua battaglia – caro Denis – dovrebbe rappresentare la risposta di oggi al dolore umano.
Ma qui è il punto. Se si comincia a sindacare quale livello di condizione particolare può essere considerata “non degna di essere vissuta”, o quale livello di sofferenza “non più sopportabile”, chi mai potrà stabilire in quali casi la vita è tale?
Perché mai dovrebbe beneficiare dell’aiuto a interrompere anticipatamente la propria vita chi si trova in situazioni ritenute dai più “pietose” (coma, malattia o inabilità grave), piuttosto che, più semplicemente, chiunque si trovi in situazioni “soggettivamente” non sopportabili e voglia consapevolmente porre termine anticipatamente ai propri giorni e lo chieda espressamente?
Esistono già proposte di eutanasia legale pendenti nel nostro Parlamento.
Sancire che ciascuno ha diritto di scegliere come e quando morire significa che la comunità civile deve garantire che detta volontà venga attuata.
Neppure più per pietà, ma per diritto, per conquista civile.
Ebbene, questa non è la risposta ragionevole al mistero umano.
Sin dall’origine l’uomo, usando il proprio cuore e la propria ragione, ha avvertito che dare la morte ad altri, anche dietro loro richiesta, non è corrispondente all’esigenza umana più profonda e vera, non è la soluzione (mi riferisco al giuramento di Ippocrate, 420 a. C.).
Credo si debba preferire una cultura della cura a una prassi dell’abbandono.
Ti chiedo di lasciare aperta la porta al mistero.