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Quando le insegnanti imparano dai bambini

Autore:
Basso, Don Aldo
Fonte:
CulturaCattolica.it
Ho incontrato don Aldo Basso (consulente ecclesiastico della Fism Nazionale), che da tempo conosco, e mi ha consegnato questa bella riflessione sulla educazione nel rapporto con i bambini. Vale la pena leggerla con attenzione e partecipazione

Questo è il resoconto di un incontro avvenuto tra insegnanti di una scuola dell’infanzia, associata alla FISM, molto apprezzata dalle famiglie e con numerose sezioni. Si doveva programmare un momento di aggiornamento per la loro formazione periodica e, come avviene solitamente in questi casi, si cominciò con un confronto sul tema da individuare (le insegnanti avevano partecipato a numerosi corsi di aggiornamento nel passato) e sui possibili relatori da contattare. Ad un certo momento della discussione, una di loro ha voluto, quasi a mo’ di battuta, fare una proposta insolita: “Noi che passiamo tutti i giorni diverse ore a contatto con i bambini potremmo chiederci che cosa impariamo, stando con loro, sull’essere umano e sulla sua educazione. Potremmo chiederci che cosa ci insegnano i bambini con il loro modo di essere e di comportarsi… Insomma: immaginiamo per un momento che i bambini siano gli ‘esperti’ e proviamo a condividere che cosa ognuna di noi ha imparato nell’incontro quotidiano con loro”. La proposta lasciò per un momento alquanto perplesse le insegnanti, la discussione si trascinò ancora per un po’ e qualcuna obiettò che per un aggiornamento serio era necessario chiamare un esperto, magari un professore universitario o qualcuno che ha scritto libri sull’infanzia o scrive sulle riviste che si occupano delle scuole dell’infanzia. Intanto però la discussione andava avanti e, quasi senza accorgersene, le insegnanti hanno finito per raccogliere la proposta-provocazione della collega, raccontando esperienze e impressioni personali maturate nel corso dei loro anni trascorsi a contatto con i bambini. All’incontro ero stato invitato anch’io, dato il mio ruolo istituzionale. Alla fine mi è sembrato utile riportare, se pure sinteticamente, le osservazioni più significative emerse durante la discussione tra le insegnanti.

Ha cominciato una di loro raccontando la piacevole impressione da lei provata ogniqualvolta vi erano momenti di festa nella scuola: s. Lucia, la festa della mamma o del papà, il carnevale, la festa di fine anno… La cosa che la colpiva sempre era la capacità dei bambini di provare e manifestare gioia, mostrando di divertirsi tanto ed essere davvero felici, anche se i genitori non procuravano la solita abbondanza di cose come dolci, vestiti, giocattoli, ornamenti vari (un’insegnante ha però voluto fare un’osservazione critica, sottolineando che le feste a volte procurano fatica e stress ai bambini nella fase preparatoria e possono togliere tempo prezioso alle attività educative ordinarie). Una bambina le aveva detto perfino, al termine di una giornata di festa durante la quale si era svolta una piccola ‘recita’ nella quale lei si era esibita come recitante, che la cosa che le era piaciuta di più era “quando la sua mamma la guardava”. E veniva in mente all’insegnante un pensiero di Benedetto XVI, che un giorno disse pressappoco così: “Parte integrante della festa è la gioia. La festa si può organizzare, la gioia no… Ha ragione Nietzsche, il quale ha detto una volta: ‘L’abilità non sta nell’organizzare una festa, ma nel trovare persone capaci di trarne gioia’”. Insomma, i bambini le avevano insegnato a trarre gioia anche dalle piccole cose, soprattutto dall’esperienza di incontri umani autentici, senza lasciarsi prendere da eccessive preoccupazioni organizzative o dalla smania della spettacolarità e dell’eccesso.

Intervenne poi un’insegnante che aveva alle spalle tanti anni di insegnamento e con una particolare sensibilità educativa, offrendo una serie di considerazioni che, diceva, aveva maturato in seguito alla sua esperienza professionale. Ha sottolineato, ad esempio, il fatto che il bambino non ha passato né futuro, si gode il presente. La sua capacità di immergersi nel presente gli evita di rimanere fissato ad un passato doloroso e di soffrire per tormenti inutili pensando al proprio futuro. Questa constatazione l’ha aiutata in diverse occasioni a ‘vivere alla giornata’, a cercare di far bene le cose che sul momento doveva fare, a gustare le gioie del momento presente, a ricordarsi anche di un detto famoso secondo il quale “basta ad ogni giorno la sua pena”. Diceva che dai bambini le veniva quasi un invito a prendere la vita con una certa leggerezza.
E un altro ammaestramento aveva ricavato dalla sua lunga esperienza di insegnamento. Ha infatti sottolineato la spontaneità dei bambini, l’immediatezza con la quale manifestano sentimenti e richieste, il rapportarsi con le persone senza difese e senza ricorrere a particolari strategie per salvaguardare la propria immagine. I bambini l’hanno aiutata a vivere i rapporti con le persone con semplicità e autenticità, senza ricorrere a ipocrisie e strategie difensive: cosa non facile, se teniamo conto che viviamo all’interno di una cultura che spesso incoraggia il ricorso alla forza, alla competitività, al potere.
Ha pure ricordato un altro aspetto della vita infantile che l’ha sempre colpita. I bambini si presentano come esseri fragili, deboli, disarmati. E la loro fragilità è qualcosa che attira, la loro debolezza risveglia nell’altro accoglienza e tenerezza. Questa constatazione fa riflettere noi adulti, immersi come siamo in una cultura che insiste sul successo individuale, sull’affermazione di sé, sulla competenza, per provare che siamo meglio degli altri: una cultura di competizione e di rivalità. Bisognosi come siamo di amicizia e comprensione, dovremmo imparare ad accettarci nella nostra fragilità, a non aver paura di apparire deboli e indifesi, nella consapevolezza che questo ci rende più umani e facilita incontri autentici. La saggezza umana consiste anche in questo: nell’accoglierci così come siamo, con la propria realtà umana, fatta anche di fragilità. I bambini ci ricordano che la debolezza ci accompagna; sempre nella vita sentiamo di dover dire: ‘ho bisogno di te’. Così ci apriamo alla comunione.
Infine, i bambini sono una domanda di relazione: ne hanno bisogno per la loro sopravvivenza fisica, affettiva e psicologica. Dal profondo di ogni essere umano sale una domanda fin dall’inizio, che può farsi anche grido disperato: mi vuoi bene? Rappresento qualcosa per te? Mi accogli così come sono? I bambini ci ricordano che ciascuno di noi porta sempre dentro di sé questi interrogativi, perché siamo nati nella debolezza; siamo segnati dalla incompletezza e abbiamo un insopprimibile bisogno di completarci nella relazione, per rivelare noi a noi stessi, per sentirci ‘importanti’.

Un’altra insegnante, che oltre all’esperienza di educatrice era anche in possesso di una laurea in filosofia, ha voluto citare un filosofo, già accademico di Francia, a lei molto caro – Jean Guitton -, il quale in un scritto aveva sottolineato l’importanza che hanno per l’educatore le domande poste dai bambini. Sono domande immediate e spontanee, che spesso vanno all’essenziale, capaci di smascherare a volte l’ipocrisia e il cinismo degli adulti. E ha voluto citare alla lettera questo pensiero del filosofo che le era rimasto impresso, tanto che se le era appuntato sulla sua agenda: “Da vecchio ho imparato - troppo tardi, senza alcun dubbio - che ci si arricchisce vivendo con un bimbo. Soprattutto se si chiede al bimbo di farci delle domande. Ho fatto visita ad un celebre filosofo tedesco che si chiama Heidegger. A quel tempo viveva in una baita da eremita che chiamava la sua ‘hutte’. E in mezzo a quella campagna coperta di neve, Heidegger mi diede questo consiglio: «Se vuol progredire, tanto in filosofia quanto in religione, si faccia porre domande da un bambino. Non potrà rispondergli sempre, ma le farà scoprire la verità: perché il Vero è sempre velato. Il bambino toglie il velo»” (Jean Guitton, Lettere aperte, Milano, Mondadori, 1995, pp. 38-39).
Notando che le colleghe avevano apprezzato questa citazione, per sottolineare che cosa si può imparare dai bambini ne volle aggiungere un’altra, sempre dello stesso filosofo, il quale rivolgendosi ad un ideale bimbo piccolo scrive: “I grandi ti insegneranno lo sforzo. Tu insegnerai loro l’atto dell’abbandono che si chiama grazia. Noi ti daremo le regole. Tu, in cambio, ci darai la tua fantasia, la tua innocenza. Ti imponiamo la nostra gravità, tu ci insegni l’allegria” (Jean Guitton, Lettere aperte, Milano, Mondadori, 1995, p. 40).

Un’altra insegnante a questo punto intervenne e volle riferire un pensiero di s. Agostino che aveva sentito alcuni giorni prima dal suo parroco durante un incontro riservato ai catechisti della parrocchia. Le sembrava che la considerazione del santo, fatta a proposito di coloro che si occupavano dell’istruzione dei catecumeni in preparazione del battesimo, potesse adattarsi bene anche a coloro che devono occuparsi dell’educazione dei bambini. Riferì dunque che in un opuscolo di s. Agostino sull'insegnamento delle verità della fede agli ‘ignoranti’ (De catechizandis rudibus), il diacono Deogratias chiede al Santo come potersi salvare dalla incresciosa monotonia di un insegnamento costretto a ripetere indefinitamente le stesse nozioni. La risposta del santo è luminosa: occorre che il maestro si immedesimi talmente nello stato d’animo degli scolari da rivivere la freschezza del loro sentire, innovando di volta in volta il sapere stimolato dalla loro novità (questo è il suggerimento di Agostino, il quale però scrive ovviamente in latino ed usa un’espressione un po’ difficile da tradurre: «In eorum novitate innovamur»). E l’insegnante concluse affermando che, attraverso la 'novità' assoluta che ogni bambino è e rappresenta, l’educatrice è provocata e stimolata a rinnovarsi continuamente, ad imparare, a scoprire, ad ammirare insieme con lui.

E’ intervenuta anche un’insegnante con una spiccata sensibilità religiosa, ma non bigotta. Era per la verità un po’ titubante a prendere la parola, perché a volte i riferimenti religiosi nelle discussioni tra insegnanti sembrano meno pertinenti e si teme di snaturare la fisionomia della scuola dell’infanzia – che è appunto ‘scuola’ e non luogo di catechesi. Si deve rispettare l’autonomia delle ‘realtà terrene’, insegna il Vaticano II. Però alla fine l’insegnante prese la parola, ricordando l’insegnamento di Gesù il quale ha espressamente proposto i bambini come esempio e modello per tutti. Ecco le sue parole: “In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli” (Mt 18, 3). Senza poi dimenticare il severo ammonimento che Gesù aggiunge: «Guardate di non disprezzare uno solo di questi piccoli, perché io vi dico che i loro angeli nei cieli vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli» (Mt 18,10).
Le colleghe alla fine non hanno trovato fuori luogo il richiamo al vangelo fatto dalla collega, ricordandosi tra l’altro che la loro scuola dichiara, nel Progetto educativo, di rifarsi ad una visione cristiana della persona e dell’educazione...

Incoraggiata dall’intervento dell’ultima collega, un’altra insegnante ha voluto ricordare l’insegnamento di papa Francesco, che lei ammira. Ha rimandato, in particolare, alla lettura di un suo intervento, che ritengo meriti di essere riportato. “Per prima cosa i bambini ci ricordano che tutti, nei primi anni della vita, siamo stati totalmente dipendenti dalle cure e dalla benevolenza degli altri… I bambini sono in sé stessi una ricchezza per l’umanità e anche per la Chiesa, perché ci richiamano costantemente alla condizione necessaria per entrare nel Regno di Dio: quella di non considerarci autosufficienti, ma bisognosi di aiuto, di amore, di perdono. E tutti, siamo bisognosi di aiuto, d’amore e di perdono!
I bambini ci ricordano un’altra cosa bella; ci ricordano che siamo sempre figli: anche se uno diventa adulto, o anziano, anche se diventa genitore, se occupa un posto di responsabilità, al di sotto di tutto questo rimane l’identità di figlio. Tutti siamo figli. E questo ci riporta sempre al fatto che la vita non ce la siamo data noi ma l’abbiamo ricevuta. Il grande dono della vita è il primo regalo che abbiamo ricevuto. A volte rischiamo di vivere dimenticandoci di questo, come se fossimo noi i padroni della nostra esistenza, e invece siamo radicalmente dipendenti. In realtà, è motivo di grande gioia sentire che in ogni età della vita, in ogni situazione, in ogni condizione sociale, siamo e rimaniamo figli.
Ci sono tanti doni, tante ricchezze che i bambini portano all’umanità. Ne ricordo solo alcuni. Portano il loro modo di vedere la realtà, con uno sguardo fiducioso e puro. Il bambino ha una spontanea fiducia nel papà e nella mamma; ha una spontanea fiducia in Dio, in Gesù, nella Madonna. Nello stesso tempo, il suo sguardo interiore è puro, non ancora inquinato dalla malizia, dalle doppiezze, dalle ‘incrostazioni’ della vita che induriscono il cuore… I bambini non sono diplomatici: dicono quello che sentono, dicono quello che vedono, direttamente. E tante volte mettono in difficoltà i genitori, dicendo davanti alle altre persone: ‘Questo non mi piace perché è brutto’. Ma i bambini dicono quello che vedono, non sono persone doppie, non hanno ancora imparato quella scienza della doppiezza che noi adulti purtroppo abbiamo imparato.
I bambini inoltre - nella loro semplicità interiore - portano con sé la capacità di ricevere e dare tenerezza… La tenerezza è anche poesia: è ‘sentire’ le cose e gli avvenimenti, non trattarli come meri oggetti, solo per usarli, perché servono…
I bambini hanno la capacità di sorridere e di piangere… I bambini sono così: sorridono e piangono, due cose che in noi grandi spesso ‘si bloccano’, non siamo più capaci… Tante volte il nostro sorriso diventa un sorriso di cartone, una cosa senza vita, un sorriso che non è vivace, anche un sorriso artificiale, di pagliaccio. I bambini sorridono spontaneamente e piangono spontaneamente. Dipende sempre dal cuore, e spesso il nostro cuore si blocca e perde questa capacità di sorridere, di piangere. E allora i bambini possono insegnarci di nuovo a sorridere e a piangere…
I bambini portano vita, allegria, speranza, anche guai. Ma, la vita è così. Certamente portano anche preoccupazioni e a volte tanti problemi; ma è meglio una società con queste preoccupazioni e questi problemi, che una società triste e grigia perché è rimasta senza bambini!” (Papa Francesco, Udienza generale, 18 marzo 2015).

Ci sono stati altri interventi, brevi battute. E’ stato citato il pensiero di una scrittrice inglese – Jean Rhys (1890-1979): “Da bambini si è se stessi e si sa e si capisce tutto, come dei piccoli profeti. Poi, all’improvviso, accade qualcosa e si cessa di essere se stessi, si diventa ciò che gli altri costringono ad essere. Si perde la saggezza, e l’anima”. E anche una battuta presa dallo Zibaldone di Leopardi: “I fanciulli trovano il tutto nel nulla; gli uomini il nulla nel tutto”. Questo per sottolineare che al bambino è sufficiente un manico di scopa per creare un cavallo, un po’ di sabbia per concepire un castello, un foglio bianco per evocare il cielo e la terra. Diventato adulto (o fatto adulto già da piccolo con i brutti giochi elettronici rifilati a lui dai genitori), non sarà più soddisfatto di nulla, anche se possederà palazzi, girerà il mondo, avrà tutto ciò che desidera.
Si è pure sottolineata la capacità dei bambini di incantarsi e meravigliarsi di fronte ad un’infinità di cose – un insetto, una spilla sul vestito della maestra, un germoglio che spunta dalla terra in giardino, il frusciare del vento tra gli alberi, il canto di un uccello, il suono di una campana - che non richiamano più l’attenzione dell’adulto, per il quale un po’ tutto è diventato abituale e scontato e la cui anima è spesso diventata indisponibile per la bellezza del mondo.

L’incontro si concluse con un intervento di un’insegnante che ha voluto richiamare l’attenzione delle colleghe su una fotografia appesa ad una parete della sua sezione. Vi era riprodotto una mano, sul dorso della quale era accovacciato un passerotto; sotto una scritta in inglese: We give comfort and receive comfort sometimes at the same time (Noi offriamo e riceviamo benessere [piacere] a volte nello stesso momento). E commentava l’insegnante: “E’ una sensazione che provo spesso stando con i bambini. Io offro loro protezione, sostegno, conforto, informazioni, competenze…, ma nello stesso tempo sento di ricevere da loro gioia, affetto, riconoscenza, desiderio di vivere, anche conforto in certi momenti. Mi fanno sentire importante e qualcuno mi dice che sono ‘bella’ e che mi vuole bene”. Ma la fotografia – ha continuato la maestra – contiene anche un altro messaggio importante: il passerotto non è tenuto nel cavo della mano, dove potrebbe essere stretto e trattenuto, ma si trova sul dorso, sul quale può rimanere finché sente di trovarsi bene. Poi, quando vuole può spiccare il volo e seguire i suoi misteriosi percorsi. Chi lo teneva sulla mano lo segue con lo sguardo, con un misto di nostalgia e di gioia, consapevole che il piacere di sorreggerlo non deve impedirgli di lasciarlo volare, perché questo è appunto il suo destino.
Così per i bambini: non ci appartengono, ma “sono i figli e le figlie della fame che in se stessa ha la vita” (G. K. Gibran).

Aldo Basso

P. S.
Quello che ho raccontato… non è una storia vera. E’, per dirla con un termine oggi spesso usato, una specie di fiction. Ma dopo anni di frequentazione delle insegnanti delle scuole dell’infanzia mi è parso di interpretare e raccontare così diversi sentimenti ed esperienze che spesso esse hanno condiviso in tanti incontri.
Ho voluto anche chiedere ad alcune insegnanti di scuola dell’infanzia, particolarmente esperte e conoscitrici dell’animo infantile, di leggere il testo prima della sua pubblicazione, per sapere da loro se vi sentivano un tono un po’ retorico o venature di un infantilismo fuori luogo. Hanno confermato che, tutto sommato, il resoconto non è molto lontano dalla realtà e vi si sono sentite descritte con sufficiente realismo.
Così il testo è stato licenziato e dato alle stampe, anche con la speranza che possa suggerire alle insegnanti una forma di aggiornamento diverso da quelli soliti e... a costo zero.

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