Aiutino: Sul rapporto tra verità e libertà
Alcune tendenze della teologia morale odierna […] propongono criteri innovativi di valutazione morale degli atti: sono tendenze che, pur nella loro varietà, si ritrovano nel fatto di indebolire o addirittura di negare la dipendenza della libertà dalla verità.Se vogliamo operare un discernimento critico di queste tendenze, capace di riconoscere quanto in esse vi è di legittimo, utile e prezioso e di indicarne, al tempo stesso, le ambiguità, i pericoli e gli errori, dobbiamo esaminarle alla luce della fondamentale dipendenza della libertà dalla verità, dipendenza che è stata espressa nel modo più limpido e autorevole dalle parole di Cristo: «Conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi» (Gv 8,32).
Dalla «Veritatis Splendor» del Sommo Pontefice GIOVANNI PAOLO II
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Lo splendore della verità rifulge in tutte le opere del Creatore e, in modo particolare, nell'uomo creato a immagine e somiglianza di Dio (cf Gn 1,26): la verità illumina l'intelligenza e informa la libertà dell'uomo, che in tal modo viene guidato a conoscere e ad amare il Signore. Per questo il salmista prega: «Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto» (Sal 4,7).
Gesù Cristo, luce vera che illumina ogni uomo
1. Chiamati alla salvezza mediante la fede in Gesù Cristo, «luce vera che illumina ogni uomo» (Gv 1,9), gli uomini diventano «luce nel Signore» e «figli della luce» (Ef 5,8) e si santificano con «l'obbedienza alla verità» (1 Pt 1,22).
Questa obbedienza non è sempre facile. In seguito a quel misterioso peccato d'origine, commesso per istigazione di Satana, che è «menzognero e padre della menzogna» (Gv 8,44), l'uomo è permanentemente tentato di distogliere il suo sguardo dal Dio vivo e vero per volgerlo agli idoli (cf 1 Ts 1,9), cambiando «la verità di Dio con la menzogna» (Rm 1,25); viene allora offuscata anche la sua capacità di conoscere la verità e indebolita la sua volontà di sottomettersi ad essa. E così, abbandonandosi al relativismo e allo scetticismo (cf. Gv 18, 38), egli va alla ricerca di una illusoria libertà al di fuori della stessa verità.
4. […] Oggi, però, sembra necessario riflettere sull'insieme dell'insegnamento morale della Chiesa, con lo scopo preciso di richiamare alcune verità fondamentali della dottrina cattolica che nell'attuale contesto rischiano di essere deformate o negate. Si è determinata, infatti, una nuova situazione entro la stessa comunità cristiana, che ha conosciuto il diffondersi di molteplici dubbi ed obiezioni, di ordine umano e psicologico, sociale e culturale, religioso ed anche propriamente teologico, in merito agli insegnamenti morali della Chiesa. Non si tratta più di contestazioni parziali e occasionali, ma di una messa in discussione globale e sistematica del patrimonio morale, basata su determinate concezioni antropologiche ed etiche. Alla loro radice sta l'influsso più o meno nascosto di correnti di pensiero che finiscono per sradicare la libertà umana dal suo essenziale e costitutivo rapporto con la verità. Così si respinge la dottrina tradizionale sulla legge naturale, sull'universalità e sulla permanente validità dei suoi precetti; si considerano semplicemente inaccettabili alcuni insegnamenti morali della Chiesa; si ritiene che lo stesso Magistero possa intervenire in materia morale solo per «esortare le coscienze» e per «proporre i valori», ai quali ciascuno ispirerà poi autonomamente le decisioni e le scelte della vita.
7. «Ed ecco un tale...». Nel giovane, che il Vangelo di Matteo non nomina, possiamo riconoscere ogni uomo che, coscientemente o no, si avvicina a Cristo, Redentore dell'uomo, e gli pone la domanda morale. Per il giovane, prima che una domanda sulle regole da osservare, è una domanda di pienezza di significato per la vita. E, in effetti, è questa l'aspirazione che sta al cuore di ogni decisione e di ogni azione umana, la segreta ricerca e l'intimo impulso che muove la libertà. Questa domanda è ultimamente un appello al Bene assoluto che ci attrae e ci chiama a sé, è l'eco di una vocazione di Dio, origine e fine della vita dell'uomo. Proprio in questa prospettiva il Concilio Vaticano II ha invitato a perfezionare la teologia morale in modo che la sua esposizione illustri l'altissima vocazione che i fedeli hanno ricevuto in Cristo, unica risposta che appaga pienamente il desiderio del cuore umano.
13. […] I comandamenti rappresentano, quindi, la condizione di base per l'amore del prossimo; essi ne sono al contempo la verifica. Sono la prima tappa necessaria nel cammino verso la libertà, il suo inizio: «La prima libertà — scrive sant'Agostino — consiste nell'essere esenti da crimini... come sarebbero l'omicidio, l'adulterio, la fornicazione, il furto, la frode, il sacrilegio e così via. Quando uno comincia a non avere questi crimini (e nessun cristiano deve averli), comincia a levare il capo verso la libertà, ma questo non è che l'inizio della libertà, non la libertà perfetta...»
17. […] La perfezione esige quella maturità nel dono di sé, a cui è chiamata la libertà dell'uomo. Gesù indica al giovane i comandamenti come la prima condizione irrinunciabile per avere la vita eterna; l'abbandono di tutto ciò che il giovane possiede e la sequela del Signore assumono invece il carattere di una proposta: «Se vuoi...». La parola di Gesù rivela la particolare dinamica della crescita della libertà verso la sua maturità e, nello stesso tempo, attesta il fondamentale rapporto della libertà con la legge divina. La libertà dell'uomo e la legge di Dio non si oppongono, ma, al contrario, si richiamano a vicenda. Il discepolo di Cristo sa che la sua è una vocazione alla libertà. «Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà» (Gal 5,13), proclama con gioia e fierezza l'apostolo Paolo. Subito però precisa: «Purché questa libertà non divenga pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri» (ibid.). La fermezza con la quale l'Apostolo si oppone a chi affida la propria giustificazione alla Legge, non ha nulla da spartire con la «liberazione» dell'uomo dai precetti, i quali al contrario sono al servizio della pratica dell'amore: «Perché chi ama il suo simile ha adempiuto la legge. Infatti il precetto: Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non desiderare e qualsiasi altro comandamento, si riassume in queste parole: Amerai il prossimo tuo come te stesso» (Rm 13,8-9). Lo stesso sant'Agostino, dopo aver parlato dell'osservanza dei comandamenti come della prima imperfetta libertà, così prosegue: «Perché, domanderà qualcuno, non ancora perfetta? Perché "sento nelle mie membra un'altra legge in conflitto con la legge della mia ragione"... Libertà parziale, parziale schiavitù: non ancora completa, non ancora pura, non ancora piena è la libertà, perché ancora non siamo nell'eternità. In parte conserviamo la debolezza, e in parte abbiamo raggiunto la libertà. Tutti i nostri peccati nel battesimo sono stati distrutti, ma è forse scomparsa la debolezza, dopo che è stata distrutta l'iniquità? Se essa fosse scomparsa, si vivrebbe in terra senza peccato. Chi oserà affermare questo se non chi è superbo, se non chi è indegno della misericordia del liberatore?... Ora siccome è rimasta in noi qualche debolezza, oso dire che nella misura in cui serviamo Dio siamo liberi, mentre nella misura in cui seguiamo la legge del peccato siamo schiavi».
22 …. Nel medesimo capitolo del Vangelo di Matteo (19,3-10), Gesù, interpretando la Legge mosaica sul matrimonio, rifiuta il diritto al ripudio, richiamando ad un «principio» più originario e più autorevole rispetto alla Legge di Mosè: il disegno nativo di Dio sull'uomo, un disegno al quale l'uomo dopo il peccato è diventato inadeguato: «Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così» (Mt 19,8). Il richiamo al «principio» sgomenta i discepoli, che commentano con queste parole: «Se questa è la condizione dell'uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi» (Mt 19,10). E Gesù, riferendosi in modo specifico al carisma del celibato «per il Regno dei cieli» (Mt 19,12), ma enunciando una regola generale, rimanda alla nuova e sorprendente possibilità aperta all'uomo dalla grazia di Dio: «Egli rispose loro: "Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso"» (Mt 19,11).
Imitare e rivivere l'amore di Cristo non è possibile all'uomo con le sole sue forze. Egli diventa capace di questo amore soltanto in virtù di un dono ricevuto. Come il Signore Gesù riceve l'amore del Padre suo, così egli a sua volta lo comunica gratuitamente ai discepoli: «Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore» (Gv 15,9). Il dono di Cristo è il suo Spirito, il cui primo «frutto» (cf Gal 5,22) è la carità: «L'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che ci è stato dato» (Rm 5,5)
23. «La legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte» (Rm 8,2). Con queste parole l'apostolo Paolo ci introduce a considerare nella prospettiva della storia della Salvezza che si compie in Cristo il rapporto tra la Legge (antica) e la grazia (Legge nuova). Egli riconosce il ruolo pedagogico della Legge, la quale, permettendo all'uomo peccatore di misurare la sua impotenza e togliendogli la presunzione dell'autosufficienza, lo apre all'invocazione e all'accoglienza della «vita nello Spirito». Solo in questa vita nuova è possibile la pratica dei comandamenti di Dio. Infatti, è per la fede in Cristo che noi siamo resi giusti (cf Rm 3,28): la «giustizia» che la Legge esige, ma non può dare a nessuno, ogni credente la trova manifestata e concessa dal Signore Gesù. Così mirabilmente ancora sant'Agostino sintetizza la dialettica paolina di legge e grazia: «La legge, perciò, è stata data perché si invocasse la grazia; la grazia è stata data perché si osservasse la legge».
II - «Non conformatevi alla mentalità di questo mondo» (Rm 12,2) -
La chiesa e il discernimento di alcune tendenze della teologia morale odierna
Insegnare ciò che è secondo la sana dottrina (cf Tt 2,1)
28. La meditazione del dialogo tra Gesù e il giovane ricco ci ha permesso di raccogliere i contenuti essenziali della Rivelazione dell'Antico e del Nuovo Testamento circa l'agire morale. Essi sono: la subordinazione dell'uomo e del suo agire a Dio, Colui che «solo è buono»; il rapporto tra il bene morale degli atti umani e la vita eterna; la sequela di Cristo, che apre all'uomo la prospettiva dell'amore perfetto; ed infine il dono dello Spirito Santo, fonte e risorsa della vita morale della «creatura nuova» (cf 2 Cor 5,17).
30. Rivolgendomi con questa Enciclica a voi, Confratelli nell'Episcopato, intendo enunciare i principi necessari per il discernimento di ciò che è contrario alla «sana dottrina», richiamando quegli elementi dell'insegnamento morale della Chiesa che sembrano oggi particolarmente esposti all'errore, all'ambiguità o alla dimenticanza. Sono, peraltro, gli elementi dai quali dipende «la risposta agli oscuri enigmi della condizione umana che ieri come oggi turbano profondamente il cuore dell'uomo: la natura dell'uomo, il senso e il fine della nostra vita, il bene e il peccato, l'origine e il fine del dolore, la via per raggiungere la vera felicità, la morte, il giudizio e la sanzione dopo la morte, infine l'ultimo e ineffabile mistero che circonda la nostra esistenza, dal quale noi traiamo origine e verso il quale tendiamo».
Questi e altri interrogativi, come: cosa è la libertà e qual è la sua relazione con la verità contenuta nella legge di Dio? qual è il ruolo della coscienza nella formazione del profilo morale dell'uomo? come discernere, in conformità con la verità sul bene, i diritti e i doveri concreti della persona umana?, si possono riassumere nella fondamentale domanda che il giovane del Vangelo pose a Gesù: «Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?». Inviata da Gesù a predicare il Vangelo e ad «ammaestrare tutte le nazioni..., insegnando loro ad osservare tutto ciò» che egli ha comandato (cf Mt 28,19-20), la Chiesa ripropone, ancora oggi, la risposta del Maestro: questa possiede una luce e una forza capaci di risolvere anche le questioni più discusse e complesse. Questa stessa luce e forza sollecitano la Chiesa a sviluppare costantemente la riflessione non solo dogmatica, ma anche morale in un ambito interdisciplinare, così com'è necessario specialmente per i nuovi problemi.
È sempre in questa medesima luce e forza che il Magistero della Chiesa compie la sua opera di discernimento, accogliendo e rivivendo il monito che l'apostolo Paolo rivolgeva a Timoteo: «Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno: annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina. Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole. Tu però vigila attentamente, sappi sopportare le sofferenze, compi la tua opera di annunziatore del Vangelo, adempi il tuo ministero» (2 Tm 4,1-5; cf Tt 1,10.13-14).
«Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8,32)
31. I problemi umani più dibattuti e diversamente risolti nella riflessione morale contemporanea si ricollegano, sia pure in vari modi, ad un problema cruciale: quello della libertà dell'uomo.
Non c' è dubbio che il nostro tempo ha acquisito una percezione particolarmente viva della libertà. «In questa nostra età gli uomini diventano sempre più consapevoli della dignità della persona umana», come costatava già la dichiarazione conciliare Dignitatis humanae sulla libertà religiosa. Da qui l'esigenza che «gli uomini nell'agire seguano la loro iniziativa e godano di una libertà responsabile, non mossi da coercizione bensì guidati dalla coscienza del dovere». In particolare il diritto alla libertà religiosa e al rispetto della coscienza nel suo cammino verso la verità è sentito sempre più come fondamento dei diritti della persona, considerati nel loro insieme.
Così, il senso più acuto della dignità della persona umana e della sua unicità, come anche del rispetto dovuto al cammino della coscienza, costituisce certamente un'acquisizione positiva della cultura moderna. Questa percezione, in se stessa autentica, ha trovato molteplici espressioni, più o meno adeguate, di cui alcune però si discostano dalla verità sull'uomo come creatura e immagine di Dio ed esigono pertanto di essere corrette o purificate alla luce della fede.
32. In alcune correnti del pensiero moderno si è giunti ad esaltare la libertà al punto da farne un assoluto, che sarebbe la sorgente dei valori. In questa direzione si muovono le dottrine che perdono il senso della trascendenza o quelle che sono esplicitamente atee. Si sono attribuite alla coscienza individuale le prerogative di un'istanza suprema del giudizio morale, che decide categoricamente e infallibilmente del bene e del male. All'affermazione del dovere di seguire la propria coscienza si è indebitamente aggiunta l'affermazione che il giudizio morale è vero per il fatto stesso che proviene dalla coscienza. Ma, in tal modo, l'imprescindibile esigenza di verità è scomparsa, in favore di un criterio di sincerità, di autenticità, di «accordo con se stessi», tanto che si è giunti ad una concezione radicalmente soggettivista del giudizio morale.
Come si può immediatamente comprendere, non è estranea a questa evoluzione la crisi intorno alla verità. Persa l'idea di una verità universale sul bene, conoscibile dalla ragione umana, è inevitabilmente cambiata anche la concezione della coscienza: questa non è più considerata nella sua realtà originaria, ossia un atto dell'intelligenza della persona, cui spetta di applicare la conoscenza universale del bene in una determinata situazione e di esprimere così un giudizio sulla condotta giusta da scegliere qui e ora; ci si è orientati a concedere alla coscienza dell'individuo il privilegio di fissare, in modo autonomo, i criteri del bene e del male e agire di conseguenza. Tale visione fa tutt'uno con un'etica individualista, per la quale ciascuno si trova confrontato con la sua verità, differente dalla verità degli altri. Spinto alle estreme conseguenze, l'individualismo sfocia nella negazione dell'idea stessa di natura umana.
Queste differenti concezioni sono all'origine degli orientamenti di pensiero che sostengono l'antinomia tra legge morale e coscienza, tra natura e libertà.
33. Parallelamente all'esaltazione della libertà, e paradossalmente in contrasto con essa, la cultura moderna mette radicalmente in questione questa medesima libertà. Un insieme di discipline, raggruppate sotto il nome di «scienze umane», hanno giustamente attirato l'attenzione sui condizionamenti di ordine psicologico e sociale, che pesano sull'esercizio della libertà umana. La conoscenza di tali condizionamenti e l'attenzione che viene loro prestata sono acquisizioni importanti, che hanno trovato applicazione in diversi ambiti dell'esistenza, come per esempio nella pedagogia o nell'amministrazione della giustizia. Ma alcuni, superando le conclusioni che si possono legittimamente trarre da queste osservazioni, sono arrivati al punto di mettere in dubbio o di negare la realtà stessa della libertà umana.
Si devono anche ricordare alcune interpretazioni abusive dell'indagine scientifica a livello antropologico. Traendo argomento dalla grande varietà dei costumi, delle abitudini e delle istituzioni presenti nell'umanità, si conclude, se non sempre con la negazione di valori umani universali, almeno con una concezione relativistica della morale.
34. «Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?». La domanda morale, alla quale Cristo risponde, non può prescindere dalla questione della libertà, anzi la colloca al suo centro, perché non si dà morale senza libertà: «L'uomo può volgersi al bene soltanto nella libertà». Ma quale libertà? Il Concilio, di fronte ai nostri contemporanei che «tanto tengono» alla libertà e che la «cercano ardentemente» ma che «spesso la coltivano in malo modo, quasi sia lecito tutto purché piaccia, compreso il male», presenta la «vera» libertà: «La vera libertà è nell'uomo segno altissimo dell'immagine divina. Dio volle, infatti, lasciare l'uomo "in mano al suo consiglio" (cf Sir 15,14), così che esso cerchi spontaneamente il suo Creatore, e giunga liberamente, con la adesione a lui, alla piena e beata perfezione». Se esiste il diritto di essere rispettati nel proprio cammino di ricerca della verità, esiste ancor prima l'obbligo morale grave per ciascuno di cercare la verità e di aderirvi una volta conosciuta. In tal senso il Card. J. H. Newman, eminente assertore dei diritti della coscienza, affermava con decisione: «La coscienza ha dei diritti perché ha dei doveri».
Alcune tendenze della teologia morale odierna, sotto l'influsso delle correnti soggettiviste ed individualiste ora ricordate, interpretano in modo nuovo il rapporto della libertà con la legge morale, con la natura umana e con la coscienza, e propongono criteri innovativi di valutazione morale degli atti: sono tendenze che, pur nella loro varietà, si ritrovano nel fatto di indebolire o addirittura di negare la dipendenza della libertà dalla verità.
Se vogliamo operare un discernimento critico di queste tendenze, capace di riconoscere quanto in esse vi è di legittimo, utile e prezioso e di indicarne, al tempo stesso, le ambiguità, i pericoli e gli errori, dobbiamo esaminarle alla luce della fondamentale dipendenza della libertà dalla verità, dipendenza che è stata espressa nel modo più limpido e autorevole dalle parole di Cristo: «Conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi» (Gv 8,32).