Condividi:

Ama chi ti dice «Tu puoi non morire»

Fonte:
CulturaCattolica.it
«Ci vuole tutta la vita per imparare a vivere e, quel che forse sembrerà più strano, ci vuole tutta la vita per imparare a morire».
(Lucio Anneo Seneca)

Premessa. Massimo rispetto per i protagonisti delle storie a cui accennerò. Per i loro drammi, la loro sofferenza, le loro personali convinzioni. Nessun rispetto, invece, per l’(ab)uso che di queste vicende fanno i media, gettandole nel tritacarne del pensiero unico, che sforna quotidianamente le sue polpette mortifere.
Esempi. Avrete letto la tristissima vicenda accaduta in provincia di Rovigo, a Lendinara. Un nonno si è gettato nel canale insieme al nipotino di cinque anni, affetto da una malattia genetica. Omicidio - suicidio, si chiama. Ma i media non parlano di dolore, solitudine, fatica nell’affrontare la situazione di malattia. No. Di qua e anche di là trovate scritto che forse il nonno pensava di alleggerire la famiglia di Davide dal peso di accudirlo, e/o che si è trattato di un «estremo atto d’amore».
Questo, passa. Hai in casa un bambino, un anziano, un familiare gravemente malato? I giornali non racconteranno le sfide quotidiane di chi se ne prende cura: le sue fatiche, le richieste d’aiuto spesso inascoltate, la solidarietà gratuita, le testimonianze di chi eroicamente sta loro accanto. Per questo non c’è mai spazio. Fanno notizia le storie che finiscono in tragedia. Le spugne gettate. I morti. Non solo: uccidere e uccidersi oggi si chiamano «estremi atti di amore».
E’ questa la strada – anzi, la scorciatoia – che si vuole indicare ai giovani che da noi imparano (dovrebbero!) a stare nel mondo e dunque a vivere anche i problemi, inevitabili, della vita?
Ancora. Su tutti i giornali, in tivù e nei social, è rimbalzata la notizia di Brittany Maynard, la 29enne americana affetta da cancro al cervello, che ha deciso di ricorrere al suicidio assistito. «Due giorni dopo aver festeggiato il compleanno di Dan, il compagno che aveva scelto per tutta la vita, sposato appena un anno fa. Il primo novembre si darà la morte con i farmaci prescritti dal suo medico, circondata dall’abbraccio del marito, di sua mamma e del cucciolo Charlie».
Non c’è spazio, nei media che contano e che fanno opinione, per le storie dei nostri familiari, dei nostri amici, dei nostri vicini di casa che convivono con il cancro (anche quel glioblastoma che ha colpito Brittany) e se e quando non è più possibile combatterlo cominciano a fare i conti con la morte e si preparano (ebbene sì, gridiamolo dai tetti, almeno noi cattolici, che alla morte ci si può, ci si deve preparare, e alla vita nell’aldilà). Non c’è spazio per le storie di chi, nello stesso dolore di Brittany e della sua famiglia, non smette di considerare degna la sua e l’altrui vita anche se malata, anche se al termine del cammino, anche se il cervello è «divorato». Non hanno dato, alla lettera che proporrò in calce, la stessa enfasi che hanno dato alla notizia della giovane moglie di Portland che – lei sì! – «ha commosso il mondo»!
E’ questa la strada che la cultura dominante vuole indicare ai giovani? La distinzione tra vite degne e vite non (più) degne?
Non è vero. Non lasciamoci ingannare dal refrain che è bene che ciascuno decida per sé perché «la vita è mia e la gestisco io». E’ solo un modo pilatesco per non sentirsi chiamati in causa di fronte alla sofferenza, al bisogno, alle malattie di chi incrocia il nostro cammino. Facile commuoversi per chi decide di togliersi la vita con suicidi più o meno assistiti: è com-mozione che non “muove” proprio niente. Il tempo della notizia, poi si cambia canale. Chi resta fino alla fine è domanda di un senso, per noi e per sé.
Fatemi allora vedere che accanto ad ogni annuncio di suicidio medicalmente assistito per un malato terminale, o per paura del dolore, del disfacimento, della morte, o per il male di vivere, o per la convinzione che tutto quel che volevo fare l’ho fatto e ora tolgo il disturbo... fatemi vedere, accanto a notizie di chi sceglie – per sé o per gli altri – di anticipare la morte, anche la notizia di chi accoglie ciò che la vita riserva, fino all’ultimo respiro. Accanto vuol dire a lato, e con lo stesso numero di righe, e la spiegazione delle ragioni, e la stessa enfasi, e la stessa commozione. Par condicio. Sarebbe, almeno, relativismo, e non, smaccatamente, il pensiero unico che invece è.
Non le troverete, non le metteranno, queste storie.
Non stanchiamoci, allora, di raccontarle noi. Perché di fronte alla fragilità del vivere ci si mette in ginocchio e si prega. Davanti al pensiero unico inneggiatore di (dolce) morte, si risponde testimoniando che nulla andrà perduto e che alla vita si può credere sempre, fino all’ultimo secondo. Come in questa storia.

«Charlotte è stata una blogger per l’Huffington Post britannico a partire dal 2013, ed è tristemente morta di cancro intestinale martedì 16 settembre. Ha scritto un ultimo post che teneva condividere coi suoi lettori. Siamo onorati di presentarvelo qui di seguito.
Sono sempre stata brava a fare dei programmi. Amo gli elenchi e le liste della spesa, gli appunti sulle cose da fare e gli obiettivi che ci si prefissa. Sono molto brava a incominciare qualcosa, ma in tutta onestà mi annoio e perdo interesse facilmente quando l’impeto originale passa.
Non ho avuto il lusso di annoiarmi del tumore, non mi è stato permesso. Non è qualcosa che puoi smettere di fare se quel giorno non ti va. Non c’è un pulsante che da un giorno all’altro puoi decidere di premere per spegnerlo. Almeno, non per me. Sin dal mio primo giorno da malata di cancro ho fatto tutti i test, le ecografie, e non ho mai mancato un appuntamento. Ho provato ogni terapia che mi veniva proposta, da quelle mediche standard al formaggio di malga condito con l’olio, dall’agopuntura alle spremute di cavolo. Il cancro è diventata la nostra vita. Che fossero vacanze, sessioni dal parrucchiere o lezioni d’elicottero, di qualunque attività toccava calcolare la tempistica perché non si sovrapponessero ai weekend di chemio, quelli buoni o quelli cattivi. Danny e Lu, osservatori innocenti e inconsapevoli sono stati protetti nella loro infanzia, ma anche irregimentati dalle mie diverse necessità. Ci sono praticamente nati dentro, ma spero comunque di essere riuscita a farli crescere da bravi bambini, amati, apprezzati e completi.
L’innocenza che abbiamo cercato di preservare in loro adesso ha dovuto lasciare spazio alla rivelazione. Dopo il mio compleanno ho iniziato a sentirmi ‘poco bene’. Abbiamo fatto ‘un salto’ in ospedale, dove sono stati condotti i soliti test. Sfortunatamente, letti insieme a una mia recente ecografia, i risultati erano assolutamente devastanti. Non potevamo più preparare un piano d’azione su base mensile, con un paio di mesi cuscinetto alla fine. Mi erano stati dati giorni, al massimo un paio di settimane di vita. In teoria non era previsto che lasciassi l’ospedale, ma in qualche modo sono riuscita a ottenere il permesso all’ultimo momento, e a tornare a casa per trascorrere quel po’ di tempo che ancora avevo a disposizione insieme ai miei tesori e col mio amorevole marito.
Scrivo tutto questo seduta sul divano, relativamente priva di dolori, impegnata nei miei piccoli progetti, a preparare il mio funerale e a vendere la mia automobile. Ogni mattina mi sveglio grata di poter coccolare e baciare i miei bambini.
Quando leggerete tutto questo, non sarò più qui. Rich cercherà di andare avanti, un passo dopo l’altro, di sopravvivere, un giorno alla volta, sapendo che non mi sveglierò più al suo fianco. Mi rivedrà, nel lusso concesso dai sogni, ma sotto la luce impietosa del sole al mattino, il letto sarà vuoto. Prenderà due tazze dalla credenza, per poi rendersi conto che il caffè da preparare è solo uno. Lucy avrà bisogno che qualcuno le passi la scatola dove tiene le fasce per i capelli, ma non ci sarà nessuno a raccoglierli in una treccia. Danny avrà perso uno dei suoi poliziotti Lego, ma nessuno avrà idea di quale sia esattamente, o di dove cercarlo. Voi magari cercherete l’ultimo aggiornamento del mio blog. Ma non ci sarà, questo è l’ultimo capitolo.
Ed è così che lascio un buco ingiusto, crudele e insensato, non solo in Halliford Road, ma in tutte le case, i pensieri e ricordi delle altre persone amate, degli amici e delle famiglie. E mi dispiace per questo. Mi piacerebbe restare ancora con voi, a ridere, a mangiare la mia ultima bizzarra trovata di cibo miracoloso, a chiacchierare dei miei inutili “Charley-smi”. C’è ancora tanta vita che vorrei vivere, ma so che non ne avrò più. Vorrei esserci per i miei amici, che andranno avanti nelle loro vite, veder crescere i miei figli e diventare vecchia e scontrosa insieme a Rich. Tutte queste cose mi saranno negate.
Ma a voi non verranno negate. Perciò, in mia assenza, vi prego, vi scongiuro, godetevi la vita. Prendetela a due mani, afferratela, scuotetela, e credeteci sempre. Adorate i vostri figli. Non avete letteralmente idea di quanto siate fortunati quando al mattino gli urlate di sbrigarsi e lavarsi i denti.
Stringete a voi i vostri cari, e se non potranno ricambiarvi, trovate qualcun altro che lo faccia. Tutti si meritano d’amare e di esser ricambiati. Non accontentatevi. Trovatevi un lavoro che vi piace, ma non diventatene schiavi. Sulla vostra lapide non ci sarà mai scritto ‘Vorrei aver lavorato di più’. Danzate, ridete e mangiate in compagnia degli amici. Le amicizie vere, forti e sincere sono una benedizione e una nostra scelta, piuttosto che una realtà incidentalmente condivisa in nome del sangue. Sceglieteli con cura, e fatene tesoro con tutto l’amore che potete. Circondatevi di cose belle. C’è tanto grigiore e tanta tristezza nella vita – cercate l’arcobaleno, e incorniciatelo. La bellezza è ovunque, a volte bisogna faticare un po’ per vederla.
Allora, questo è tutto per quanto mi riguarda. Grazie davvero per tutto l’amore e la gentilezza che mi avete mostrato, ciascuno a suo modo, nel corso degli ultimi 36 anni. Dalle ragazzacce sul campo da gioco, che a sei anni mi gettavano fra le ortiche, ai mariti in lutto che nel corso dell’ultima settimana mi hanno raccontato ciò che le loro mogli facevano per preparare i propri piccoli e tutti gli altri nel frattempo. Tutti loro, tutti voi, mi avete aiutato in qualche modo a diventare la persona che sono stata.
E ora, per favore, usate l’affetto che provate per me e rivolgetelo a Rich, ai miei figli, alla mia famiglia e ai miei amici più cari. E quando accosterete le tende, stasera, cercate una stella, quella sarò io, che vi guardo dall’alto mentre sorseggio una piña colada e mi godo una scatola di cioccolatini (di lusso).
Buonanotte, arrivederci, e che Dio vi benedica».

Vai a "Ultime news"