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Carta del coraggio: No, grazie!

Fonte:
CulturaCattolica.it
Dalla presentazione sul sito: «La Carta del coraggio andrà consegnata alle istituzioni locali, alla Chiesa e alle realtà dei singoli territori in maniera coordinata all’interno di un percorso condiviso a livello di Zona e coordinato a livello regionale...»

Avevo letto la «Carta del coraggio», prodotta da Rover e Scolte al campo di San Rossore. Allora era data in mano a giornalisti che l’hanno pubblicata (ricordo sul Secolo XIX di Genova e il colloquio avuto col giornalista che l’aveva fatta conoscere).
Ricordo anche lo stupore di fronte a certe affermazioni (quelle in particolare riguardanti la famiglia e quelle sull’impegno politico) che avevano anche suscitato prese di distanza da parte di certi adulti dello stesso mondo scout, e di cui abbiamo dato puntuale notizia su CulturaCattolica.it.
Ora apprendo che tale documento viene pubblicato così come l’ho letto in agosto, con una nota di presentazione dei responsabili dello stesso scautismo «cattolico» di cui riporto alcune affermazioni: «Lo spazio di autenticità che abbiamo liberato si è fondato sull’incontro educativo nella dinamica della comunità e della strada. Ragazzi pienamente protagonisti esigono capi altrettanto protagonisti e consapevoli della loro adultità.
Capi capaci di portare ad emersione le passioni e il pensiero dei Rover e Scolte, perché ogni persona si costruisce all’interno di questa dinamica relazionale in un rapporto di fiducia, tipico di chi cammina sulla strada fianco a fianco.
Non si pensi quindi alla Carta del coraggio come sintesi di compromesso del pensiero dei Rover e delle Scolte con i loro capi, in una dinamica di negoziazione generazionale. Non si legga nemmeno la Carta come un mero esercizio di flusso di coscienza dei giovani, libero e decontestualizzato da ogni relazione educativa, pensando ad adulti assenti e neutrali. La Carta del coraggio è invece l’espressione del pensiero autentico dei Rover e delle Scolte, nei contenuti e nei modi con cui è stato scritto, maturato all’interno di un’esperienza educativa svolta nella relazione con gli adulti. Il protagonismo sapiente dei Capi si è giocato nel permettere che questo spazio di autenticità si liberasse, favorendo che la verità dei nostri giovani fosse scritta e dichiarata, perché, nella verità, si potesse manifestare la bellezza di quello che sono e la bontà di quello che sapranno essere.
Certamente la Carta ci sollecita e ci provoca al di là delle parole che avremmo voluto come Capi vedere scritte, quelle in cui volentieri ci siamo riconosciuti e quelle che invece ci appaiono stridenti perché in qualche modo distanti dalle nostre.»
Ora mi chiedo se queste preoccupate riflessioni di alcuni capi scout possano avere ancora senso: «Su noi capi spetta ora la grave responsabilità di interrogarsi seriamente sui contenuti della Carta per valorizzare, coerentemente con i principi in cui crediamo, quanto di buono essa contiene, prima che a ottobre si inizino a compiere con i ragazzi i primi passi concreti! Di conseguenza, ci impegniamo a sensibilizzare l’intera associazione e gli altri capi che non hanno le stesse idee in merito, affinché al prossimo Consiglio Nazionale si rivalutino quei contenuti della Carta incoerenti con il Magistero della Chiesa e con il nostro Patto Associativo, dissentendo da una visione confusionaria dell’amore e della famiglia naturale, così che i ragazzi possano realizzarli conformemente al nostro Credo!»
E mi domando che posto abbiano gli adulti che non sanno dare le ragioni adeguate del loro cammino educativo. Una Chiesa che sappia essere «madre e maestra» forse dovrebbe aiutare i giovani a vedere e riconoscere la verità. Ogni cedimento impaurito dal timore di perdere i giovani li ha già persi in partenza!

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