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«Ho perso l’anima tempo fa...»

Fonte:
CulturaCattolica.it
«Quid animo satis?»
(S. Francesco)

Una stretta al cuore, la lettera di tre pagine che Pietro di Paola, 20 anni, ha lasciato in un cassetto in camera, indirizzata ai suoi cari. Scritta forse lunedì pomeriggio, mentre già si immaginava in quella terrazza all’ottavo piano con la sua ex, Alessandra Pelizzi, 19 anni. E già aveva architettato tutto. Mando via i due amici con una scusa, mia sorella, il suo ragazzo, così sto solo con lei fuori, sul ballatoio. E poi giù, insieme, quel volo per sempre alle 24.22.
Ci sono due parole – anima, felicità – nella lettera di questo omicida-suicida, che il mondo si ostina a farci credere che non contino più. Puzza di preti e di chiesa, l’anima; sa tanto da beghine superstiziose. Domande da adolescenti, quelle sulla felicità. Roba da sorrisetti compassionevoli e pat-pat sulle spalle. Passerà…
«Ho perso l’anima tempo fa e quando sono salito sul terrazzo ero solo un corpo ed un ammasso di rabbia, incredulità e puro spirito sadico», ha scritto.
«Purtroppo con l’Alessandra ho finito a coinvolgere tutto me stesso: anima, cuore e corpo, ho specificato anima perché se si arrivano a fare certe cose, vuol dire che non la si ha più».
«Dubitate di quelli che ridono sempre a volte non possono semplicemente fare altrimenti e nel frattempo, perderanno l’anima».
E alla nonna: «Spero ti consoli sapere che ho fatto questa scelta per la mia felicità o più esattamente per smetterla con questa “non felicità”».
Aveva già tentato il suicidio il 22 febbraio di un anno fa, Pietro: afferrato in extremis da pompieri e poliziotti dopo un’ora in bilico sul cornicione di casa, per un po’ era stato in cura da uno psicologo.
Nato in Brasile e adottato come la sorella diciassettenne Sofia da due professionisti che da qualche tempo si erano separati, il giovane si era diplomato al liceo scientifico e viveva nell’agio, come raccontano i giornali: «un attico con terrazzo all’ottavo piano di via Novaro, alla periferia nord di Affori, con giardino e campo da tennis condominiale e due moto in garage».
Cosa gli mancava? L’ha scritto.
Non soldi, non discorsi, non ricette, ma qualcosa, anzi Qualcuno che gli salvasse l’anima.
Requiem aeternam a lei, Alessandra, che generosa come san essere generose le donne, si è recata all’appuntamento contro il parere della madre, per dare a Pietro «l’ultima possibilità». E’ morta sul colpo.
Requiem aeternam a lui, Pietro Maximilian, che è morto alle 7.30 al San Gerardo di Monza. Dio solo sa cos’è accaduto nel suo cuore, nella sua anima, durante quelle ore di agonia…

Il primo giorno di scuola ho detto (ricordato) ai miei studenti liceali che è bene alzarsi in piedi quando in classe entra un insegnante. Di solito davo ragioni ribadendo il ruolo che svolgiamo e che i ragazzi è bene riconoscano. Quest’anno ho detto di più (si vede che sto invecchiando, e più invecchio più sono in pensiero per i giovani, per il loro destino).
Alzarsi in piedi tutti, tutti insieme e non distrattamente, con convinzione, è dire a chi entra che conta infinitamente più della LIM che hanno in classe, più di tutti i computer del laboratorio di informatica. Richiamarlo al suo compito di adulto e di maestro.
Ci pungolino, i giovani. Ci chiedano cos’è la felicità, quid animo satis? Come si fa a vivere anche quel dolore che – come ha scritto Pietro – «merita di essere vissuto», ma non si sa cosa fare, «quando arriva a mangiarti vivo, tanto da rendere decisamente insignificante qualsiasi esperienza».
Non lo dice il POF, non lo dicono le circolari ministeriali, ma queste sono domande ineludibili. Per i giovani e anche per noi. E’ questa la questione seria, l’unica veramente seria, della vita. Così seria che tutto il resto dipende da lì. Così seria che di «non-felicità» si può anche… morire.

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