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Caterina, «la nostra voce canta con un perché»

Fonte:
CulturaCattolica.it
«Se un uomo vedesse il mondo capovolto, con tutti gli alberi e le torri sotto sopra, come nel riflesso di uno stagno, un effetto tipico di tale visione sarebbe quello di enfatizzare il concetto di dipendenza. Tra quella visione e questa c’è un nesso latino e letterale, perché la stessa parola dipendenza equivale soltanto a sospensione. Da questo punto di vista si ravvisa il testo della Sacra Scrittura che dice che il Signore ha sospeso il mondo sul nulla. Se S. Francesco avesse visto, in uno dei suoi strani sogni, la città di Assisi capovolta, non vi avrebbe scorto alcun cambiamento, eccetto il suo rovesciamento. Ma qui è il nocciolo della questione: mentre all’occhio umano la grande costruzione delle sue mura o le massicce fondamenta delle sue torri di osservazione e della sua fortezza sembrerebbero renderla più sicura e più salda, se la si osservasse capovolta, quello stesso peso sembrerebbe indebolirla e metterla in pericolo (…) S. Francesco poteva osservare e amare ogni tegola dei ripidi tetti o ogni uccello sui bastioni; ma li avrebbe osservati in una nuova e divina luce di eterno pericolo e dipendenza. Invece di essere semplicemente orgoglioso della sua città salda e dunque forte, avrebbe reso grazie a Dio Onnipotente per non averla lasciata cadere; gli sarebbe stato grato di non aver fatto precipitare l’intero cosmo come un immenso cristallo frammentato in stelle cadenti. Forse così S. Pietro vide il mondo, quando fu crocifisso col capo in giù».
(Gilbertt K. Chesterton, Francesco d’Assisi)

«Vagliate tutto e trattenete ciò che vale».
Sono queste parole di S. Paolo lo slogan del nostro sito. E’ questo il metodo a cui ci ha educati l’esperienza di fede, perché la vita non scivoli via, perché ogni incontro, ogni circostanza lascino il segno e come briciola di Pollicino ci indichino la strada per la meta, che è il compimento di noi, il Destino di felicità che ci è stato promesso.
Vagliate tutto significa proprio tutto-tutto, senza lasciare fuori nulla: non la fatica, non il dolore, non le cose che capitano senza che le abbiamo cercate: Non le cose che non avremmo voluto mai.
Ci pensavo (anche) ieri, al funerale di Caterina Alzetta, 20 anni, figlia di amici, morta una settimana fa a seguito di un terribile incidente stradale.
Non voglio fare il resoconto di ciò che è capitato la tragica sera di venerdì 25 luglio, né delle esequie che hanno avuto luogo ieri a Grizzo, nel Pordenonese, in una chiesa e in un piazzale gremitissimi. Su ciò che è accaduto a Caterina, in rete ci sono articoli in tutte le lingue: verificare per credere. Ma ciò che si legge è cronaca, è racconto; non tocca nel profondo il cuore, al massimo i sentimenti. E sento che non mi basta.
«Vagliate tutto e trattenete ciò che vale».
Del pomeriggio di ieri ho trattenuto semi di vita, di amicizia, di speranza che già stanno dando frutti impensati e insperati. Ho trattenuto la certezza che Cristo, il Risorto, ha vinto la morte ed è presente e vivo in mezzo a noi. E ho trattenuto questa immagine, che desidero condividere: il fiume di persone di tutte le età che in un afoso pomeriggio agostano e in un silenzio che pareva dell’Altro mondo hanno percorso la strada dalla chiesa al cimitero e, in silenzio, di quel cimitero hanno varcato la soglia.
Dietro il sacerdote, dietro il feretro, dietro il papà e la mamma di Caterina, dietro i fratelli e i parenti, uno e poi un altro e un altro ancora hanno cercato spazio fra le tombe fino, quasi, a riempire tutto il cimitero di Grizzo, piccola frazione di Montereale Valcellina.
Sono dei mondi a sé, i cimiteri. Città parallele che nell’ebbrezza del vivere, nella frenesia delle cose da fare per lo più dimentichiamo. O rimuoviamo perché dis-turbano. Ma arriva per tutti il momento in cui tocca varcarla, quella soglia, quando ti trovi ad accompagnare una persona cara. Allora, come ieri, il mondo dei vivi incontra il mondo dei morti, ed è costretto a fare i conti con le domande più profonde del cuore. E con le cose di Lassù, che aiutano a comprendere meglio le cose di quaggiù.
In questo piccolo camposanto ai piedi delle montagne, mura in pietra custodite dal verde degli alberi, e fiori freschi, e tombe curate, e cognomi delle famiglie del luogo, ed alberi genealogici, e foto a colori o ingiallite di nonni, madri, padri, giovani ed anche bambini, mentre nella terra veniva calata la bara di questa giovanissima ragazza dagli occhi color del cielo, mi è tornata in mente la riflessione di Chesterton che ho proposto come introduzione.
Questa morte imprevista e imprevedibile non è solo doccia fredda che ci rammenta che siamo perituri e ci scuote dal torpore di giornate che spesso non lasciano segno; non solo è pizzicotto che nel delirio di onnipotenza postmoderno ci ricorda che non siamo padroni nemmeno di un respiro. Questa morte ci provoca e ci invita a cambiare prospettiva come fece Francesco, o Pietro dalla croce. Come ci invitano a fare i defunti del cimitero di Grizzo, insieme a Caterina.
Sì, “penduli” siamo, come direbbe Pascoli. «Sospesi sul nulla». Dipendenti. E mendicanti di quell’Amore che, solo, regge e sorregge il mondo e ogni creatura.
Miracolo allora è aprire gli occhi al mattino. Miracolo sarà il prossimo battito di quel muscolo involontario che chiamiamo cuore. Miracolo è esistere, esserci. E cammino di crescita, diventarne consapevoli. Perché nemmeno un secondo di questi, donati, venga sprecato. Perché impariamo a vivere senza dar nulla e nessuno per scontati, e in perenne rendimento di grazie.
Ci ho pensato (anche) ieri durante il funerale. E in cimitero quando, dopo l’Ave o Maria, mentre il corpo veniva tumulato, tra le tombe dei morti e nella comunione dei Santi, la povera voce dei vivi si è levata in questo splendido canto di Adriana Mascagni.

«Povera voce di un uomo che non c’è
la nostra voce se non ha più un perché:
deve gridare, deve implorare
che il respiro della vita non abbia fine.

Poi deve cantare perché la vita c’è,
tutta la vita chiede l’eternità;
non può morire, non può finire
la nostra voce che la vita chiede all’Amor.

Non è povera voce di un uomo che non c’è,
la nostra voce canta con un perché».


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