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Deo gratias, la Prof non è una LIM!

Fonte:
CulturaCattolica.it
«Lucia però, non che trovasse la dottrina falsa in sé, ma non n’era soddisfatta; le pareva, così in confuso, che ci mancasse qualcosa. A forza di sentir ripetere la stessa canzone, e di pensarci sopra ogni volta, “e io,” disse un giorno al suo moralista, “cosa volete che abbia imparato? Io non sono andata a cercare i guai: son loro che sono venuti a cercar me”. (…)
Renzo, alla prima, rimase impicciato. Dopo un lungo dibattere e cercare insieme, conclusero che i guai vengono bensì spesso, perché ci si è dato cagione; ma che la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani; e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore. Questa conclusione, benché trovata da povera gente, c’è parsa così giusta, che abbiam pensato di metterla qui, come il sugo di tutta la storia».
(A. Manzoni, I Promessi Sposi, cap. XXXVIII)

Non so se la responsabilità è sua, o se il verdetto sarà “concorso di colpa”. Lui dice che non ricorda quasi nulla. Lo stop. Un cofano scuro. Il fosso. La stanza del pronto soccorso. Uno in camice che gli taglia i vestiti. E male, tanto male.

Secondo piano, ortopedia. G è supino, il lato sinistro del volto e del collo graffiato, color vinaccia. Il 28 maggio ha subito un lungo intervento per le fratture al bacino, al femore, al ginocchio. Tornava da scuola in bicicletta e all’uscita da uno stop è stato preso in pieno da un’auto, due giorni prima del suo compleanno.
Sono andata a trovarlo. C’è il sole e i compagni di classe, gli amici, oggi chissà dove sono. Noi che stiamo bene, che possiamo uscire e fare quel che ci pare fatichiamo a pensare a quel mondo parallelo in cui le luci non si spengono mai. Neonati bambini giovani adulti vecchi maschi femmine tutti uguali, lì dentro, tutti a fare i conti con la fragilità, il dolore, la malattia.
Sono andata a trovarlo e anche di questo abbiamo parlato, come spesso facciamo in classe. Di chi sta bene e non pensa a chi sta male. Di progetti per l’estate che vanno in fumo. Di incontri e appuntamenti da rinviare perché la vita non è sempre quella che vogliamo; quasi mai.
E ci è tornato in mente il «sugo della storia» dei Promessi Sposi, che abbiamo letto in classe quest’anno. Quanto vere e quanto nostre diventano le parole di Lucia quando entrano nella carne così da far male. O le parole di Didone, nel primo libro dell’Eneide: «Non ignara mali miseris succurrere disco», «Esperta del dolore, ho preso a soccorrere gli infelici».
Certo, per imparare l’Eneide, per conoscere I Promessi Sposi basterebbe accendere la Lim che abbiamo in classe. O il computer, standosene comodamente a casa. Ce ne sono, di siti, che riassumono, parafrasano, spiegano, approfondiscono i canti del poema virgiliano, i capitoli del romanzo manzoniano. Ma arrivati a quel verso, in classe, mi ero fermata e, per spiegarlo, avevo raccontato cos’era accaduto a me. Era il giorno 28, anche allora. Avevo 16 anni proprio come G. Stavo attraversando sulle strisce ed un’auto non si è fermata. Anch’io mi sono fratturata il bacino. Anch’io tanti giorni di ospedale. Avevo raccontato cos’era stata quell’esperienza per me. Cosa avevo imparato, in quei quaranta giorni di letto (il bacino mica lo puoi ingessare!). Le dedizione dei genitori, la presenza preziosa dei familiari, lo sguardo alla porta in attesa delle visite, la compagnia degli amici, la gratitudine per i professori che quando potevano venivano a trovarmi, la fatica, l’umiliazione di dover chiedere per qualsiasi cosa, il ritrovarsi totalmente dipendente dagli altri. La noia, anche, per giorni che parevano tutti uguali e sembrava non passassero mai. Noi, gli invisibili in ospedale, gli allettati, mentre il mondo continuava la sua corsa frenetica. Non capivo, sedicenne, il senso di ciò che mi era accaduto, eppure – raccontavo – senza quell’esperienza non sarei quella che sono.
E chi l’avrebbe detto che quel 28 sarebbe tornato, in tutta la sua drammaticità…
L’ho ricordato a G, che ha sorriso. Dice che quella volta mi aveva ascoltato, in classe, distratto come si ascolta una storia. Si credeva invulnerabile. E invece…
… E invece, mi ha detto, è questa, prof, la differenza tra una Lim e un’insegnante: una presenza di carne che ha fatto sue le parole degli autori, le frasi nei libri. E ti aiuta a capire che c’entrano con la vita, che aiutano a diventare uomini. Ripeti e dimentichi. Così, non le scordi più.
Non so cosa farà G da grande. So, me l’ha detto la sua mamma, che è grato di essere ancora al mondo e che da ora in poi festeggerà il compleanno due volte: il 28 e il 30 maggio.
So che le parole di Didone diventeranno anche sue, cioè nostre.

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