La scuola deve essere libera

L’impegno per la scuola in don Luigi Sturzo
Autore:
+ Michele Pennisi Arcivescovo di Monreale
Fonte:
CulturaCattolica.it
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Nel pensiero politico e nell’impegno sociale di don Luigi Sturzo il problema dell’educazione e dell’istruzione, come fattori fondamentali della cultura di un popolo hanno un ruolo importante per promuovere l’uguaglianza, la libertà e la giustizia.
Don Luigi Sturzo, al mondo della scuola ha dedicato molti scritti e riflessioni, tanto che, in un articolo del 1952 dedicato a Maria Montessori, scrisse di sé: “ero da due anni sindaco di Caltagirone. La scuola mi interessava più di ogni altro ramo dell’amministrazione; non invano avevo insegnato per dodici anni al seminario vescovile, ed avevo già fatte le prime battaglie per la libertà della scuola” [L. STURZO, Politica di questi anni: consensi e critiche (dal Luglio 1951 al Dicembre 1953),Zanichelli , Bologna 1966,243]
Sul principio di libertà come bene irrinunciabile, Sturzo fonda la rivendicazione di istituire scuole libere cattoliche, trovando una sponda nella legge Casati prima e nella Costituzione repubblicana dopo.
Sturzo ribadisce il valore assoluto della libertà, preferibile a qualsiasi rischio, libertà che egli stesso aveva scelto fin dagli anni giovanili e che era intenzionato a non tradire fino alla morte. La scuola, come l’economia e la politica locale, per Sturzo doveva avere uno spazio di democrazia autenticamente vissuta (nell’amministrazione, nei programmi, nelle nomine e nella funzione degli insegnanti),con un ancoraggio alla tradizione della dottrina sociale della Chiesa.
Sturzo che fu impegnato in prima persona nel promuovere l’associazionismo scolastico di ispirazione cristiana fu sempre uno strenuo difensore della libertà educativa e scolastica .
Nel programma allegato all’Appello ai Liberi e Forti il tema della scuola occupò il secondo posto tra i dodici punti complessivi, cioè dopo il tema della famiglia. Esso sanciva la “Libertà d’insegnamento in ogni grado. Riforma e cultura popolare, diffusione dell’istruzione professionale”.
I cattolici, chiedevano la libertà per le scuole non statali anche per la scuola statale sottraendola alla burocrazia centralizzatrice, consapevoli che solo la libertà costituiva il termometro di ogni democrazia.
Sturzo rovesciava il concetto di libertà scolastica dei laicisti: il monopolio statale dell’insegnamento non è l’anticamera della democrazia, ma del totalitarismo; è il primo passo verso la graduale assuefazione all’idea dello Stato come detentore dei diritti delle persone. Per rendere più comprensibile l’assunto, Sturzo analizza le peculiarità dei totalitarismi esistenti in Europa in quel periodo: quello russo dei bolscevichi, quello italiano del fascismo, quello nazista della Germania, “tre grandi Stati totalitari di carattere diverso, ma tutti e tre a tipo nazionale e fondati sulla centralizzazione amministrativa e politica, sul militarismo, sul monopolio dell’insegnamento e sull’economia chiusa”.
Egli voleva spingere la scuola italiana verso una riforma attuata nella maggior parte dei paesi civili basata sulla libertà di insegnamento e sulla parità fra le scuole statali e quelle non statali.
Sturzo nel 1923 guardò con sospetto i tentativi del governo fascista ed in particolare del filosofo Gentile che , dietro la concessione di un certo insegnamento religioso, cercava di mascherare con la sua “fascistissima riforma scolastica”, come la definì Mussolini, il totale controllo dello stato totalitario sulla scuola e la sostanza anticattolica del suo pensiero.
Il fondatore del Partito Popolare Italiano non avrebbe potuto immaginare che gran parte della struttura e dello spirito totalitario della Riforma Gentile avrebbe dovuto sopravvivere al regime fascista condizionando anche il nuovo stato democratico.
“ Finche' gli italiani- scriveva Sturzo con vigore profetico nel 1947 tornato dall’esilio - non vinceranno la battaglia delle libertà scolastiche in tutti i gradi e per tutte le forme, resteranno sempre servi: servi dello stato(sia democratico o fascista o comunista), servi del partito(quale ne sia il colore),servi di tutti, perché non avranno respirato la libertà, - la vera libertà che fa padroni di se' stessi e rispettosi e tolleranti degli altri, - fin dai banchi di scuola, di una scuola veramente libera” [L. STURZO, Politica di questi anni. Consensi e critiche (dal settembre 1946 all’aprile 1948), Zanichelli, Bologna 1954,261].
Egli sogna una scuola vera, libera, gioiosa, piena di entusiasmi giovanili, sviluppata in un ambiente adatto, con insegnanti impegnati alla nobile funzione di educatori, che non può germogliare nell’atmosfera pesante creata dal monopolio burocratico statale.
La definizione che egli diede dell’educazione è sintetizzata in modo chiaro e preciso in un articolo del 1947: “Parlando di educazione dell’uomo comune, mi intendo riferire in primo luogo alla scuola, ma allo stesso tempo alla famiglia, alle chiese, all’ambiente delle comunità locali, alla stampa, alla radio, al cinema, ad altre attività integrative quali le opere sociali e di assistenza, in una parola a tutto quel che direttamente o indirettamente contribuisce ala formazione infantile e giovanile. Varie le ragioni di simile approccio al problema educativo: prima fra tutte che l’uomo nasce, cresce e si sviluppa socialmente; non esiste né può esistere un uomo educato in segregazione: perderà perfino la nozione dell’uomo. La coesistenza umana è così necessaria all’esistenza individuale come è necessaria l’aria per respirare. Il bambino acquista prima la nozione dell’altro da sé – madre, nutrice, infermiera, il compagno o la compagna di giuoco – che la nozione di se stesso. Prima che il bambino arrivi alla scuola ha già subito un processo educativo (o antieducativo) i cui effetti non svanisco-no facilmente”..
Ha quindi un senso annoverare don Luigi Sturzo tra gli educatori del Novecento; un educatore a tutto tondo, giacché la sua azione in primis di sacerdote, e poi di amministratore locale, di politico e di studioso, ebbe sempre come cifra dominante educare le masse ad evolversi, a prendere coscienza della loro dignità di persone, a partecipare alla costruzione di una società realmente aperta e democratica. La libertà, posta alla base del concetto sturziano di democrazia, è conoscenza, quindi è istruzione ed educazione.
Luigi Sturzo fu uno strenuo difensore della libertà di educazione come caratteristica si uno Stato veramente democratico . L'educazione per Sturzo si riferisce «in primo luogo alla scuola, ma allo stesso tempo alla famiglia, alle chiese, all’ambiente delle comunità locali, alla stampa, alla radio, al cinema, ed altre attività integrative quali le opere sociali e di assistenza, in una parola a tutto quel che direttamente o indirettamente contribuisce alla formazione infantile e giovanile».
Don Luigi Sturzo critica la riduzione della scuola a diplomificio. Consapevole di quanto sia estesa l’aspirazione al “pezzo di carta” come passaporto per l’ascesa sociale ed economica, Sturzo avverte che nell’immaginario collettivo il diploma era ritenuto il “talismano” capace “di aprire le porte dell’impiego stabile”, ambizione avvertita tanto dai giovani quanto dalle loro famiglie: “I parenti vogliono le scuole, ma principalmente vogliono il diploma, sia che i figli abbiano o no studiano; anzi, meno hanno studiato e più pretendono quei certificati”.
Per mutare questa “perniciosa psicologia” generale, egli propone di capovolgere il problema: ad aprire le porte all’impiego avrebbe dovuto bastare lo studio, non il diploma, in quanto ogni scuola avrebbe rilasciato il proprio diploma non in nome della repubblica italiana, ma in nome proprio, mettendo sul mercato la propria tradizione, efficienza e autorità. Ogni scuola avrebbe dovuto essere valutata per quello che sapeva offrire in termini di qualità, a partire dalla più sperduta scuola elementare per giungere all’università. Si tratta di una questione per la quale Sturzo è consapevole di essere impopolare, giacché il presupposto della sua tesi si fonda su due parole, libertà e responsabilità, che “lo statalismo vigente tende ad abolire in tutti i rami della vita pubblica”.
Nel 1959 alcuni mesi prima della morte in un Appello ai Siciliani scriveva che per un autentico progresso civile ed economico bisognava puntare su “scuole serie, scuole importanti, scuole numerose, scuole che insegnano anche senza dare diplomi, al posto di scuole che danno diplomi e certificati fasulli a ragazzi senza cultura”.

Michele Pennisi Arcivescovo di Monreale