Preti di frontiera. Quale?
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(Benedetto XVI, Porta Fidei)

Desolante.
Non so trovare un’espressione diversa da questa, a commento dello scritto dei “preti di frontiera”, pubblicato ieri su Il Messaggero Veneto. L’han firmato in undici e l’han chiamato “Lettera di Natale”. Un testo fitto fitto, denso denso, pessimista pessimista, in cui c’è di tutto di più tranne Lui, il protagonista del Natale: Dio che irrompe nella storia e si fa Bambino. Niente. Neanche a cercarlo con la lente di ingrandimento. Quando si parla di Gesù (due o tre volte, vuoi mai che si risulti esagerati), è il “Maestro di Nazaret”, “l’Uomo di Nazaret”.
In effetti son tutti discorsi da adulti, quelli che si leggono. No, non da cattolici adulti, ché l’aggettivo “cattolico” non compare mai. Discorsi da adulti e basta, anzi: discorsi da vecchi. Gente senza speranza, impegnata a “cercare la verità” (lettera minuscola) che uno che si dica cristiano non può non avere già incontrato (con la lettera maiuscola) in Cristo che è (Lui!) Via, Verità e Vita. Dunque adulti e basta. Cattolici no e neanche cristiani, per le ragioni di cui sopra.
Gente che parla al mondo con lo sguardo chino e disperato del mondo, con le parole del mondo. E che definisce il nostro tempo “doloroso e complesso” non perché – come è drammaticamente vero - si sta minando dalle fondamenta l’umanità dell’ uomo, o il valore della famiglia, o non si san dare più ragioni per vivere, ma per i motivi che basta aprire Repubblica, la nuova bibbia quotidiana, e fare copia-incolla. Eccoti bella e pronta la “lettera di Natale” dei preti (?) di frontiera. E infatti, insieme all’inevitabile strizzata d’occhio al politically correct (omosessuali, trans, sacerdozio alle donne, revisione del celibato dei preti…) si legge di “finanza autoreferenziale, licenziamenti, crisi, proteste, tagli, illegalità, corruzione, evasione fiscale, pace, riduzione delle armi, omertà, impunità, libertà, responsabilità, democrazia, bene comune, coerenza, sobrietà, essenzialità, condivisione…” Non sono parolacce, intendiamoci. Ma quale sarebbe la speranza che, da preti (?), a Natale, costoro testimonierebbero al mondo? “Manca ogni prospettiva per il futuro”, scrivono. (Allegria!) E ancora: “La causa è strutturale ed esige un’altra visione del mondo”. Bene, d’accordo. Venendo al dunque? In politica – dicono – l’apporto di “chi si ispira al Vangelo” potrà contribuire alla “intelligente e alta mediazione legislativa, mentre assume come criterio sempre e comunque i poveri, i sofferenti, gli emarginati”. Una Chiesa che “non consideri nessun valore ‘non negoziabile’ (e te pareva, ndr), proprio perché reputa fondamentale ascoltare, e quindi dialogare con le persone sulle loro storie di vita”.
Leggo e rileggo per trovare qualcosa di diverso dal solito sbrodolamento sull’”inclusione, la mediazione, il dialogo, la sintesi…” o dal refrain “tutte le religioni per me pari son”, ma nisba. Puntuale come in ogni loro lettera (questa è la decima… sic!) solito sbrodolamento e solito refrain. In fondo in fondo in fondo, come pronunciato sottovoce, sperando non disturbi, “il Dio umanissimo di Gesù di Nazaret che… può essere riferimento per tante donne e uomini del nostro tempo, proprio perché ci insegna a vivere e amare, soffrire e morire nel modo più umano possibile”. Quale, non è dato sapere, perché i firmatari avranno anche imparato tante cose dal “Maestro di Nazaret”, ma evidentemente non han capito che… trattasi del Risorto.
Un dettaglio? No.
Che respiro diverso, allora, a pochi giorni dal Natale, rileggere anche solo questo passaggio scritto da Benedetto XVI nella “sua” lettera: il Motu Proprio Porta Fidei, per l’inaugurazione dell’Anno della fede. Fa bene a me, fa bene a tutti. Anche ai preti (?) di frontiera. Se cercano speranza non devono guardare lontano. E’ qui.
«In questo tempo teniamo fisso lo sguardo su Gesù Cristo, “colui che dà origine alla fede e la porta a compimento” (Eb 12,2): in lui trova compimento ogni travaglio ed anelito del cuore umano. La gioia dell’amore, la risposta al dramma della sofferenza e del dolore, la forza del perdono davanti all’offesa ricevuta e la vittoria della vita dinanzi al vuoto della morte, tutto trova compimento nel mistero della sua incarnazione, del suo farsi uomo, del condividere con noi la debolezza umana per trasformarla con la potenza della sua Risurrezione».