Il Santo Padre rileva l’insieme di continuità nei principi e discontinuità a livelli diversi la natura della vera riforma conciliare. “Così, ad esempio, se la libertà di religione viene considerata come espressione dell’incapacità dell’uomo di trovare la verità e di conseguenza di non poter essere accettata da colui che crede che l’uomo è capace di conoscere la verità e di conseguenza diventa canonizzazione del relativismo, allora essa da necessità sociale e politica è elevata in modo improprio a livello metafisico ed è così privata del suo vero senso, con la conseguenza di non poter essere accettata da colui che crede che l’uomo è capace di conoscere la verità di Dio e, in base alla dignità interiore della verità, è legato a tale conoscenza. Una cosa completamente diversa è invece il considerare la libertà di religione come una necessità derivante dalla convivenza umana, anzi come una conseguenza intrinseca della verità che non può essere imposta dall’esterno, ma deve essere fatta propria dall’uomo solo mediante il processo di convincimento. Il Concilio Vaticano II, riconoscendo e facendo suo col Decreto sulla libertà religiosa un principio essenziale dello Stato moderno, ha ripreso nuovamente il patrimonio più profondo della Chiesa. Essa può essere consapevole di trovarsi con ciò in piena sintonia con l’insegnamento stesso di Gesù (Mt 22,21), come anche con la Chiesa dei martiri, con i martiri di tutti i tempi. La Chiesa antica, con naturalezza, ha pregato per gli imperatori e per i responsabili politici considerando questo suo dovere (1 Tm 2,2); ma, mentre pregava per gli imperatori, ha invece rifiutato di adorarli, e con ciò ha respinto chiaramente la religione di Stato. I martiri della Chiesa primitiva sono morti per la fede in quel Dio che si era rivelato in Gesù Cristo, e proprio così sono morti anche per la libertà di coscienza e per la libertà di professione della propria fede – una professione che da nessuno Stato può essere imposta, ma invece può essere fatta propria solo con la grazia di Dio, nella libertà di coscienza. Una Chiesa missionaria. Che si sa tenuta ad annunciare il suo messaggio a tutti i popoli, deve impegnarsi per la libertà della fede. Essa vuole trasmettere il dono della verità che esiste per tutti ed assicura al contempo i popoli e i loro governi di non voler distruggere con ciò la loro identità e le loro culture, ma invece porta loro una risposta che, nel loro intimo, aspettano – una risposta con cui la molteplicità delle culture non si perde, ma cresce invece l’unità tra gli uomini e così anche la pace tra i popoli”. | Il cardinale Angelo Scola, alla Luce della Dignitatis humanae e della attuale evoluzione degli Stati democratico-liberali occidentali (che non combattono la religione come nell’ateismo marxista finito nel 1989) sviluppano l’idea più insidiosa dell’indifferenza, definita come “neutralità”, delle istituzioni statuali rispetto al fenomeno religioso e per questo si presenterebbe a prima vista come idoneo a costruire un ambito favorevole alla libertà religiosa di tutti. Si tratta di una concezione ormai assai diffusa nella cultura giuridica e politica europea, che tende, nell’attuale globalizzazione, a divenire universale creando un nuovo sistema di vita. Sotto una parvenza di neutralità e oggettività delle leggi, si cela e si diffonde, con i potenti mezzi di comunicazione – almeno nei fatti – una cultura fortemente connotata da una visione secolarizzata dell’uomo e del mondo, priva di apertura al trascendente. In una società plurale essa è in sé legittima ma solo come una tra le altre. Se però lo Stato la fa propria finisce inevitabilmente per limitare o addirittura impedire la libertà religiosa. La libertà religiosa appare oggi come l’indice di una sfida molto più vasta: quella della elaborazione e della pratica locale e universale, di nuove basi antropologiche, sociali, cosmologiche della convivenza propria della società civili in questo terzo millennio, senza un minimo di condivisione ragionevole. |