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Attesa e silenzio

Fonte:
CulturaCattolica.it

No, non muovetevi c’è un’aria stranamente tesa c’è un gran bisogno di silenzio siamo come in attesa. No, non parlatemi bisognerebbe ritrovare le giuste solitudini stare in silenzio ad ascoltare … L’attesa è il risultato, il retroscena di questa nostra vita troppo piena. E’ un andar via di cose dove al loro posto c’è rimasto il vuoto”. Così la canzone di Giorgio Gaber, L’attesa, moderna versione di un bisogno dell’uomo di sempre. Cerchiamo, ci affanniamo continuamente rincorrendo cose che ci lasciano con un bisogno profondo di significato che resta incolmato da qualsiasi bene che possiamo procurarci. Trovarci vuoti è la miglior e più solida conferma che siamo fatti per l’infinito; non per un bene ma per “il bene”! . Leopardi espresse acutamente questa intuizione in un suo pensiero: “L’uomo e il vivente anche nel momento del maggior piacere della sua vita, desidera non solo di più, ma infinitamente di più che egli non ha, cioè maggior piacere in infinito, e un infinitamente maggior piacere, perocché egli sempre desidera una felicità e quindi un piacere infinito” (Zibaldone 4126). L’essere umano non è mai tranquillo ed è propria questa irrequietudine a ricordargli continuamente che la sua natura è grande. La nostalgia, il senso di mancanza, l’inquietudine sono le spie che ci ricordano che dobbiamo vivere all’altezza della nostra natura. Tradire il desiderio d’infinito che è in noi, sarebbe chiuderci in una gabbia, indossare l’abito consunto dell’abitudine e della rassegnazione. Trovarsi, dunque, in una posizione di attesa – consapevole, densa di domanda e di silenzio –, pone in una posizione di favore. Innanzitutto perché apre all’ascolto, alla scoperta dell’Altro nascosto sta le pieghe dell’esistenza. Abbiamo bisogno di ri-scoprire il silenzio per lasciar parlare la voce interiore, la voce del cuore. Lì risiede il desiderio di infinito che ci costituisce. E il silenzio ci svela che tutte le “esperienze umane, quali l’amicizia, l’esperienza del bello, l’amore per la conoscenza: ogni bene sperimentato dall’uomo protende verso il mistero che avvolge l’uomo stesso; ogni desiderio che si affaccia al cuore umano si fa eco di un desiderio fondamentale che non è mai pienamente saziato. … L’uomo, in definitiva, conosce bene ciò che non lo sazia, ma non può immaginare o definire ciò che gli farebbe sperimentare quella felicità di cui porta nel cuore la nostalgia. Non si può conoscere Dio a partire soltanto dal desiderio dell’uomo. Da questo punto di vista rimane il mistero: l’uomo è cercatore dell’Assoluto, un cercatore a passi piccoli e incerti. E tuttavia, già l’esperienza del desiderio, del “cuore inquieto” come lo chiamava sant’Agostino, è assai significativa. Essa ci attesta che l’uomo è, nel profondo, un essere religioso, un “mendicante di Dio” (Benedetto XVI, udienza 7/11). Attesa e silenzio aprono alla speranza che la promessa costitutiva del nostro cuore trovi risposta. Come scrisse Clemente Rebora poco prima della conversione nella bella poesia “Dall’immagine tesa”: verrà, forse già viene. Facciamo nostra la vigilanza che il tempo di Avvento richiede prendendo sul serio l’attesa del nostro cuore. Vivendo “come se Dio ci fosse”.
Dall’immagine tesa / vigilo l’istante
con imminenza di attesa – /e non aspetto nessuno:
nell’ombra accesa / spio il campanello
che impercettibile spande / un polline di suono –
e non aspetto nessuno: / fra quattro mura
stupefatte di spazio / più che un deserto
non aspetto nessuno: / ma deve venire;
verrà, se resisto, / a sbocciare non visto,
verrà d’improvviso, / quando meno l’avverto:
verrà quasi perdono / di quanto fa morire,
verrà a farmi certo / del suo e mio tesoro,
verrà come ristoro / delle mie e sue pene,
verrà, forse già viene / il suo bisbiglio.

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