“Porta a scuola i tuoi sogni”
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(Dante, Purgatorio, XXVII, 130-132; 139-142)

Ad Alessandro Baricco piace la scuola. L’ha detto. Ne ha anche fondata una.
Eppure nel video presentato per la campagna “Porta a scuola i tuoi sogni”, promossa dal ministro dell’Istruzione Francesco Profumo, non convince. E non convince per un motivo sostanziale. C’è un grande assente, in quel video: l’insegnante, che è innanzitutto educatore.
Badate bene: nel video si parla spesso di adulti, ma sono sempre adulti lontani. Sono seduti in una veranda e parlano tra loro e guardano. Al massimo si alzano per pigliare al volo i ragazzi che cadono nei dirupi. Ci sono ma non ci sono, ed è questo, forse, il motivo vero per cui arranca la scuola, arranca l’educazione, arrancano i giovani.
Questo è il mondo immaginato da Baricco: gli adulti sotto una veranda, i giovani, soli, nel bosco, e un prato da attraversare per approdare al mondo dei grandi. Un prato dissestato, con qualche mina qua e là, non si sa dove. Lo scrittore si scusa per gli adulti distratti che siamo diventati. Si scusa perché il mondo con tutte le nuove tecnologie ha fatto sparire i segnali. «Il prato fa abbastanza senso: i vecchi cartelli son caduti e non abbiamo messo segnali nuovi», dice.
Ma le immagini che propone non raccontano ciò che dà sostanza all’educazione; non parlano di rapporti umani tra giovani e adulti. Non ci si guarda mai negli occhi in questa storia in cui i ragazzi sono soli nel bosco e gli adulti al di là del prato, in fondo in fondo. Non ci si parla. E lo spiega, Baricco: è come se i codici fossero diventati diversi. E’ come non ci si capisse più.
Ascolto e mi dico che siamo la prima generazione che ha abdicato al suo ruolo educativo nei confronti della generazione successiva. Scusateci, non siamo più capaci.
Sono strani questi adulti seduti sotto la veranda. Frustrati e presuntuosi. Si scusano per la distrazione, per l’inadeguatezza, ma pongono titanicamente se stessi come l’approdo finale. «Voi siete in quel bosco. Noi grandi: i vostri professori, il ministro, noi siamo di qua, siamo sotto la veranda dove stanno i grandi. E voi dovete attraversare quel prato… I ragazzi, guardandoci, dovrebbero poter dire: “E’ là che voglio arrivare”».
Fossi uno studente, non mi basterebbe. Non vorrei diventare come Baricco. Fossi uno studente, non vorrei diventare come la prof. Saro.
Non sono uno studente. Sono un’insegnante e non mi basta. Prendersi carico, prendersi cura, prendersi a cuore i giovani è un’altra cosa. Io, almeno, dai miei maestri ho imparato questo. Che compito degli adulti è accompagnare i ragazzi; fare un pezzo di strada con loro in quel prato. Tenerli per mano, poi mollarli pian piano e seguirli con lo sguardo. Sostenerli e lasciarli andare. Ed essere grati quando i nostri figli trovano la loro strada, quando l’allievo supera il maestro pieno di limiti che per lui siamo stati. Il coronamento del nostro ruolo non siamo noi. Non siamo noi l’approdo del viaggio che compiono i giovani che ci sono affidati. L’approdo non è nemmeno una veranda, una casa, un muro, perché il cuore è fatto per l’infinito e perché aveva ragione Montale: «Tutte le immagini portano scritto più in là».
QUI BARICCO
E QUI UN ALTRO MODO DI EDUCARE
E DI GUARDARE LA REALTÀ