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Giussani, Martini e l'obbedienza

Fonte:
CulturaCattolica.it

Questi giorni ci hanno segnato per la scomparsa del Card. Martini E’ stato mio Vescovo per tanti anni (ricordo ancora l’accoglienza che con i parrocchiani abbiamo fatto al suo ingresso in Milano, come anche la Visita pastorale che fece nella mia parrocchia) e ho avuto la possibilità di incontrarlo personalmente qualche volta. L’impressione è sempre stata quella di avere di fronte a me un signore: rispettoso, attento e cordiale.
Negli anni ho cercato di essere fedele al suo magistero, pur cogliendo i punti di differenza rispetto alla educazione ricevuta.
Poi, quando per limiti di età ha rinunciato alla guida della Diocesi, ho continuato a seguire i suoi insegnamenti, e sinceramente spesso ne ho colto una differenza rispetto al Magistero che non riuscivo – e non riesco – ad accettare. Quello che però mi ha colpito è che queste sue posizioni «discutibili» sono emerse dopo, quando potevano essere espresse come libere opinioni, così che l’accettarle o il rifiutarle non riducesse l’obbedienza che si deve al proprio Vescovo. In questo mi pare stia il significato del riconoscimento che il Card. Martini è stato «figlio fedele della Chiesa».
Riprendo qui quanto don Giussani disse nella intervista sulla storia del movimento di CL rilasciata al giornalista Robi Ronza [Luigi GIUSSANI, Il Movimento di Comunione e Liberazione. Conversazioni con Robi Ronza, Jaca Book, Milano 1987], perché mi pare spieghi bene il senso autentico della obbedienza nella Chiesa, che mantenendo la chiarezza del giudizio, non si trasforma né in relativismo né in disobbedienza (come a volte ci hanno fatto pensare i tanti «apologeti» che in questi giorni hanno fatto a gara per spiegare chi era “veramente” il Card. Martini).

Ecco i testi dell’intervista a Don Giussani:

p. 140: Sono poi sorti gruppi di assistenza ad handicappati, spesso gestiti in forma cooperativa. A Milano, tra l’altro, si è avviato un gruppo di solidarietà, chiamato «Hospitale», che ha per scopo quello di rendere da ogni punto di vista meno penosa la situazione di quei malati, per definizione sempre gravi, che da altre e lontane località del Paese vengono a Milano, od ovunque altrove vi siano centri ospedalieri particolarmente specializzati, per sottoporsi a cure e ad interventi chirurgici che non sono possibili nei luoghi di abituale residenza loro e delle loro famiglie. Il gruppo, composto da una parte di medici ospedalieri e dall’altra di famiglie disponibili a forme varie di accoglienza, è sorto in risposta al ripetuto appello del cardinale di Milano, Carlo Maria Martini a favore di una solidarietà con coloro che egli definisce «gli ultimi».
pp. 182-183: Malgrado il cardinale Colombo, soprattutto preoccupato della reazione di molti parroci (i quali ci accusavano di sottrarre i giovani all’attività dei circoli parrocchiali impegnandoli troppo nell’ambiente scolastico e di lavoro), mantenesse un certo distacco nei confronti del Movimento, la prossimità culturale e dottrinale di quest’ultimo alla tradizione ambrosiana, di cui egli era un così vivace assertore, faceva sì che un’intesa sostanziale tra CL e il presule della Chiesa ambrosiana si mantenesse in concreto, anche al di là di quel distacco di cui si diceva. Con l’attuale presule, il cardinale arcivescovo Carlo Maria Martini, le cose sono inevitabilmente cambiate per delle ragioni oggettive (il cardinale Martini ha percorso un itinerario spirituale e intellettuale suo), che comunque non intaccano quella precisa volontà di costante riferimento all’autorità episcopale del luogo che, come già ebbi occasione di affermare, è uno degli elementi caratteristici dell’esperienza di CL. Con il cardinale Martini, infatti, il governo culturale e dottrinale della diocesi di Milano ha cominciato a muoversi nell’ambito di una scuola di pensiero teologico direi rahneriana. Stando così le cose, noi non possiamo che restare fedeli alla nostra identità ed alla tradizione cui sempre ci siamo riferiti con viva attenzione al nuovo, nella certezza che lo Spirito Santo saprà rendere fertile per la Chiesa la coesistenza a Milano e nella sua diocesi di due posizioni pur tra loro originalmente eterogenee. Un elemento di rilievo del nuovo pensiero teologico è anche un’accentuazione del ruolo della Chiesa locale che, mentre sottolinea giustamente l’importanza di un nesso organico tra tutte le esperienze ecclesiali nella vita della diocesi in unità col Vescovo, sembra esigere da esse una generale uniformità, intesa come condizione facilitante della loro convivenza e collaborazione; sembra esigere insomma un’omologazione che, tanto più nel nostro caso, è difficile da concepire.
D. Questo che riflessi ha sulla vita di un Movimento che, come CL, ha sempre così sottolineato il rapporto ed il legame con il Vescovo?
R. Vuol dire che CL domanda e continuerà a domandare al Vescovo quella libertà dei Figli di Dio, che è un diritto dato dal battesimo, poi ampiamente riconosciuto anche dal diritto canonico. In secondo luogo, vuol dire anche che CL cercherà di servire gli scopi pastorali che il Vescovo propone applicando ad essi la propria esperienza. In terzo luogo, significa che laddove sembrasse ingiusta una prassi introdotta di vita cristiana comune, CL deve accettare i sacrifici e le rinunce che ne conseguono, vivendo nell’obbedienza a Dio il proprio carisma così come la situazione lo permette.


Ed ecco i giudizi che, in questi anni, sul sito, abbiamo espresso. Da un lato l’indimenticabile riflessione del Card. Martini sull’insegnamento della Religione Cattolica nella scuola, ripreso magistralmente da Paolo Mieli, in un convegno che abbiamo promosso a Milano con la presenza di più di 500 docenti di religione, dall’altro alcune note critiche su temi eticamente sensibili, che ci hanno trovato su posizioni differenti.

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