«Io sono qui»
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(Talete di Mileto)

Al Meeting ho fatto un esperimento. Ho voluto provare a guardare la vita da altri punti di vista che non fossero il mio. Va così di moda il relativismo, mi sono detta. Vediamo che succede.
E siccome quando decido, decido, e non ci sono mezze misure, non ho scelto due punti di vista a caso. Ho scelto due estremi, o almeno così mi sembrava. Ho provato a vedere il mondo, e la vita, dal punto di vista del dottor Mario Melazzini e dei suoi pazienti, come lui malati di Sla, e poi ho provato a guardare il mondo, e la vita, dal punto di vista dell’astronauta Paolo Nespoli.
Un malato (e mica di una roba da poco!) e un sano-sanissimo, selezionato per due importanti missioni nello spazio (e non si dica che è roba da poco neanche questa!). Uno che vede il mondo dalla prospettiva e dall’altezza della sua “carrozza” (è così che la chiama) e uno che per un po’ l’ha visto da più di 400 chilometri di altezza.
Non credo che al Meeting ci fossero due persone apparentemente più diverse tra loro, non credo. E’ per questo che le ho scelte per il mio esperimento sul relativismo. Ho voluto capire, seguendole, dove mi avrebbe condotto il loro sguardo.
Non sto a scendere nei dettagli, perché questo articolo vuol essere un invito a vedere con attenzione l’opera d’arte (letteralmente) che è il film-documentario Io sono qui, per la regia di Emmanuel Exitu, e ad approfondire la storia di questo medico che ha accettato di far riprendere la sua vita per una settimana senza censurare nulla della sua storia spigolosa, né del dolore e della fatica sua e dei pazienti che segue. E perché chi legge vale la pena approfondisca anche l’esperienza straordinaria vissuta da Paolo Nespoli nelle due missioni in orbita.
Ma siccome ogni esperimento porta ad un esito, sapete cosa ho scoperto? Che persino una posizione relativista, se vissuta onestamente, senza pre-giudizi, porta dritta dritta alla verità dell’uomo. Una verità che esiste, ed è uguale per tutti. Sono le sue domande di senso, è il suo “naturale” attaccamento alla vita; è il suo rapporto, inestirpabile, con l’infinito.
Due persone così diverse, in condizioni così diverse, con storie così diverse, in due saloni diversi, in due giornate diverse, di fronte alla vita (propria) e di fronte alla Vita hanno testimoniato la stessa passione, la stessa gratitudine, la stessa umiltà, lo stesso stupore. Non solo. E’ una sfida la Sla ed è una sfida ogni missione spaziale. E’ un riprogrammarsi continuo per Mario Melazzini, in seguito alla scoperta della diagnosi, ed è stato un riprogrammarsi continuo per Paolo Nespoli, in assenza di gravità. E’ far fronte con intelligenza ed equilibrio ai problemi nuovi che si presentano a te e ai pazienti come te colpiti da una malattia degenerativa che in ciascuno segue però percorsi diversi, ed è la stessa messa in opera di un’intelligenza “pratica” anche nell’ingegnere di volo quando deve fronteggiare situazioni impreviste durante la permanenza nello spazio.
Ho visto i pazienti seguiti dal dottor Melazzini indicare con le pupille le lettere sul monitor del computer per comunicare pensieri, desideri, stati d’animo quando la Sla gli ha rubato la voce. Ho visto Paolo Nespoli e i suoi compagni di missione scervellarsi per costruire con materiale di fortuna delle “funi” per saldare un gigantesco pannello solare. Ho visto entrambi fare sempre di necessità virtù, senza mai rassegnarsi. E guardando la realtà dal loro punto di vista ho imparato quanto è prezioso, per l’uomo, ogni secondo scandito dall’orologio.
Ho visto l’infinitamente grande, nelle foto che ci ha regalato l’astronauta italiano in missione nello spazio, e l’infinitamente piccolo che, da lassù, sembra tutto ciò che c’è quaggiù.
Anche nella settimana di Mario Melazzini raccontata nel film ho visto l’infinitamente grande. Nell’inaugurazione di una splendida mostra di dipinti, eseguiti da un’artista malata di Sla; nell’ironia di Saverio; nel coraggio e nella forza dei famigliari. E tante altre volte ancora.
Ho visto bellezza in cielo e dal cielo, ed ho visto bellezza nelle piccole grandi sfide quaggiù.
Ed ho capito quanto, sempre, sono importanti i particolari: quelli che normalmente consideriamo solo “dettagli”. Due gocce di profumo, per un malato che non ha smesso, malato, di essere uomo. Ed anche in cielo: nella navicella o nelle attività extraveicolari, dove sono proprio i dettagli a fare la differenza.
Al Meeting ho provato a guardare al mondo e alla vita con gli occhi di questi due uomini diversissimi e “speciali”. Ho capito che il loro sguardo conduce alla stessa mèta: il centro del cuore. Lì c’è l’impronta di Dio. L’infinito.