Oh Madonna, tu sei la sicurezza della nostra speranza!
- Autore:
- Curatore:
- Fonte:
(Umberto Saba, Meditazione)

L’ho cercata ma non esiste un’altra parola, no. E’ stato un “privilegio” accompagnare la zia Nora, “bambina” di… 95 anni, fino alle soglie del Mistero. E’ accaduto esattamente due anni fa e il ricordo ancor oggi è nitidissimo.
In verità è lei che, con la discrezione che ha caratterizzato tutta la sua vita, ha accompagnato e guidato me, ricordandomi che siamo sempre «nelle mani di Dio» e che, vivendo intensamente, giorno per giorno, sarà – lo diceva alzando al Cielo i suoi occhioni azzurri ed allargando le braccia – «sarà quel che Dio vorrà».
Mi ha insegnato ad affidarmi totalmente e con serenità al disegno di Dio, perché – ne era certissima – «sa Lui quel che è Bene per noi!».
(…Se ora penso alla delicatezza con cui il Signore, in quella notte di due anni fa, tra la domenica e il lunedì, ha deciso di prenderla per mano per condurla a Sé, non posso che dire che, nella sua semplicità d’animo, aveva proprio ragione!…).
In quell’ultimo periodo, bisognosa di tutto, ci ha regalato la parte più bella e più preziosa di sé: la bambina che era.
Lo stupore riconoscente quando ci vedeva entrare in camera, in ospedale; la gratitudine per qualsiasi cosa facessimo, perché per lei non era mai scontata.
Non saprei dire quanti «grazie!» ho sentito quei giorni, perché ogni volta che le porgevo la tazza era un «grazie!» e anche quando gliela prendevo dalle mani e l’appoggiavo al tavolino. E poi «grazie!» se le passavo il fazzoletto, «grazie!» se le sistemavo il golfino, «grazie!» perché c’ero; «mille grazie!» quando me ne andavo.
Mi ha insegnato quanto è prezioso il tempo. Ho capito che il tempo va donato prima che ce lo portino via.
Mi ha insegnato il valore del pudore e della purezza, che in lei sono rimasti invidiabilmente bambini anche a 95 anni, anche nel 2010.
Mi ha testimoniato quanto è importante l’educazione.
«Ci si alza in piedi, quando arriva il medico!» – mi aveva detto sottovoce in Pronto Soccorso a Pordenone – «perché il dottore ha tanto da fare ed è gentile se spende il suo tempo con noi!». E voleva alzarsi, anche se stava male; fare quel delizioso inchino che era solo suo, per dire «Riverisco» e ringraziare il medico con le dovute maniere.
Mi ha insegnato che per farsi capire le parole a volte non servono: basta lo sguardo. Basta il movimento delle mani.
(…Quanti sguardi più loquaci di mille parole, ci ha regalato in quei giorni di ospedale, con l’ossigeno che l’aiutava a respirare e le forze che di giorno in giorno venivano meno! E come “parlavano” le sue mani!…).
Una bambina. Una bambina che ti veniva voglia di prenderla in braccio e di cullarla, tanto si era fatta piccina! Ma una bambina con la saggezza e la forza interiore di una donna che ha vissuto quasi un secolo. E con la fede dei veri cristiani “adulti”, che, come aveva ben compreso, sono coloro che, proprio grazie alla maturità raggiunta in un lungo e paziente cammino di fede, si riconoscono “piccoli”: figli che si abbandonano fiduciosi sul palmo della mano del Padre.
Una fede salda come la roccia, perché salda nella sequela fedele al Papa e alla Chiesa. Una fede che era penetrata in tutte le fibre del suo essere.
Da dieci giorni praticamente non mangiava più. Non riusciva ad inghiottire nulla che non fosse liquido. Non le andava giù un chicco di riso, un pezzetto minuscolo di carota, una stellina della minestra. Eppure quella domenica aveva chiesto con umiltà di accostarsi all’Eucaristia, scusandosi e chiedendo al sacerdote il “permesso”, perché era da un po’ che non stava bene e dunque negli ultimi tempi non aveva potuto recarsi da sola in chiesa, a riconciliarsi con il Padre buono.
Quanto deve aver amato Gesù, questa donna piccola e fragile, se quella domenica, poche ore prima che il suo cuore cessasse di battere, L’ha mendicato, pur sapendo che un’Ostia per lei era grandissima e poteva anche non riuscire ad ingoiarla. E invece Gesù sì, è entrato in lei!
Mi ha commosso la naturalezza con cui quella sera ci ha raccontato questa cosa che per noi (che vedevamo da una settimana che beveva un goccino e poi basta) era a dir poco sconcertante. Per lei no. «Si capisce che ce l’ho fatta, a fare la Comunione!», ci ha detto candidamente.
La guardavo e l’ascoltavo e pensavo tra me: «Di quanto poco spazio hai bisogno, Gesù, per entrare in noi, per “farti” noi, a patto che desideriamo incontrarTi con cuore sincero!».
Mi ha insegnato pure questo.
Il sabato sera, tenendoci la mano, abbiamo recitato le orazioni (proprio come facevo con Giulia e Alberto, i miei figli, quand’erano piccoli). Le abbiamo recitate insieme, ma si era molto affaticata, e così il giorno successivo, prima di salutarla, ho accostato la bocca al suo orecchio e, tenendole la mano, le ho detto che le avrei recitate solo io e che bastava che le ripetesse con il cuore e che si limitasse a dire “Amen”. Ma quelle parole: le parole semplici delle preghiere che hanno accompagnato tutti i giorni della sua lunga vita, erano così profondamente dentro di lei che qualcuna… le “scappava”. Allora le stringevo più forte la mano, come a ricordarle che avevamo fatto un patto e che era opportuno che lo rispettasse, affinché non le mancasse il fiato. Annuiva con la testa e ricambiava la stretta di mano per dirmi: «Sì, scusa, hai ragione, ho capito… Ma è proprio più forte di me…».
Terminate le orazioni, era felice. Guardandoci, ha fatto lentamente e scandendo bene le parole il segno di croce e “nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”, sorridendo ci ha detto: «Ora sono pronta per la buona notte».
Ha avuto ragione anche in questo!
La sua “buona notte” è stata l’alba di un giorno di luce. E’ stato l’incontro con la Divina Misericordia di Gesù, che tanto ha implorato, chiedendo l’intercessione di santa Faustina Kowalska. E’ stato il sorriso della S. Vergine che da allora – ne sono certa – sta cullando, nel Suo materno, tenerissimo abbraccio, questa “bambina” di 95 anni, che ha amato la Madonna più della sua vita.