“Una normale infanzia gay” (?)
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(Sant’Antonio Maria Granelli – 1789-1846)

“Una normale infanzia gay” (?)
“Quanto al coming out precoce… se son rose fioriranno”. A dirlo è lo psichiatra e psicanalista Vittorio Lingiardi, docente alla Sapienza, intervistato da Laura Piccinini a chiusura di un servizio dal titolo “Una normale infanzia gay. Piccoli outing”, pubblicato sull’ultimo numero di D, supplemento de La Repubblica.
Nel servizio di sei-pagine-sei, viene dato conto del blog BornThisWay, fondato da Paul V. circa un anno fa, in cui sono riportate foto e testimonianze di bambini di ieri, oggi adulti, che raccontano quando per la prima volta si sono sentiti “diversi” e come sono state le reazioni dei famigliari, degli insegnanti, degli amici.
Un esempio. La foto di Julia, scattata nel 1988 quando aveva sei anni e odiava la Barbie, e lei che racconta come a 12 anni si sia innamorata di una compagna. “Allora ne ebbi la certezza – scrive – ero e sono una colossale lesbica”. (“Colossale”? Forse la puntigliosa non frequenta la gente “giusta”, ma in quarantotto anni non le è capitata una volta che sia una di sentire ‘sono un/una eterosessuale colossale’!).
Il servizio prosegue con “Quando il tuo bambino di 7 anni te lo dice. Una madre e un padre di fronte a una rivelazione improvvisa e precoce”…
Amelia, pseudonimo usato nel blog, scrive: “Tenuto conto che mio figlio ha da sempre una vera e propria cotta per Blaine di Glee (personaggio apertamente gay della serie televisiva, ndt) e che si riferisce a lui chiamandolo ‘il mio boyfriend’, pensavo che ci fossero buone possibilità che un giorno mi avrebbe detto ‘Sono gay’. Ma mio figlio ha solo 7 anni. (…) Un giorno ero al telefono con un mio parente (…) e parlavo apertamente della cotta di mio figlio per Blaine. (…) ‘Non stiamo dicendo che sia etero e non stiamo dicendo che è gay. Stiamo dicendo semplicemente che lo amiamo per quello che è’. All’improvviso ho sentito la voce di mio figlio alle mie spalle. ‘Sì, lo sono’, ha detto. ‘Sei cosa, tesoro?’, ho chiesto. ‘Gay. Io sono gay’. (…) Da quel giorno ogni volta che salta fuori la parola ‘gay’, mio figlio annuncia raggiante ai presenti: ‘Io sono gay!’. Lo dice con grande naturalezza. (…) Adesso io ho un bambino piccolo che con gioia dichiara: ‘Io sono gay’. E io sono fiera di essere la sua mamma”.
Questo è quanto. Gli aggettivi usati, il tono enfatico, lo stile educativo di Adele si commentano da sé, ma desidero comunque spendere qualche parola.
Una “infanzia normale”
Premetto che non sono un’aliena (ma c’è sentore che tra non molto partirà una raccolta firme per i matrimoni tra alieni: asessuati ma con le antenne molto, molto “sensibili”… Brr…).
Sono stata, come tutti, bambina, e da bambina ho avuto gli amici (maschi e femmine) che han tutti. Poi sono cresciuta e ho continuato a incontrare e ad ascoltare bambini. Poi sono diventata mamma e, oltre ai miei figli, han sempre girato per casa tanti loro coetanei. Ora sono zia e vedo i miei nipotini e la numerosa truppa dei loro amichetti.
Insomma: chi di noi non ha detto o non ha sentito i bambini dire: “Da grande farò l’astronauta”; “io sono Spider Man”; “quell’attore lì è il mio moroso” (ma può essere il compagno di classe, o la compagna…). Chi non ha guardato due bambine giocare e dire: “facciamo che io ero il papà e tu eri la mamma e loro (le bambole, ndr) i nostri bambini”?
Non è che non si debbano ascoltare i piccoli, ci mancherebbe. Ma possibile che non sappiamo più “aspettare”, neanche nell’ambito, delicatissimo, della crescita affettiva e sessuale, che – non lo dice la puntigliosa, lo dicono fior fiore di medici e di studiosi – ha i “suoi tempi”, le “sue fasi”?
Non se ne può più con il politically correct che non solo ci propone (impone) ogni giorno in ogni tipo di media (verificare per credere!) servizi con a tema LGBT, ma pretende di insegnarci come dobbiamo fare i genitori e/o gli educatori, spronandoci a disquisire su etero, gay, lesbiche, bisessuali, transessuali, con bambini di sette anni o anche meno, a cui non gliene frega un emerito, perché mentre l’adulto impartisce lezioni di gender, loro stanno semplicemente facendo i giochi di ruolo che, da sempre, abbiamo fatto tutti alla loro età? Altro che telefono azzurro!
Da piccola volevo fare la principessa ed ero perdutamente innamorata di Aldo Reggiani, il Dick Shelton dello sceneggiato La freccia nera. Innamorata da non riuscire a prender sonno.
Non ho ricordi che i miei genitori mi abbiano comprato un castello, né che al telefono parlassero ai miei parenti della mia cotta per Dick. Son cose che dicono i bambini, a cui va dato il peso che meritano. Vale lo stesso per tutti i legami affettivi e per tutte le “fiamme” che tutti abbiamo avuto da bambini, nella nostra “infanzia normale”, serenamente vissuta.
Lasciate in pace i bambini!
Viene piuttosto da chiedersi se non sia da preoccuparsi (e molto seriamente) per quello che lo psichiatra Vittorio Lingiardi giustamente avverte come un pericolo, e cioè “l’adultizzazione dei linguaggi e dei costumi affettivi dei bambini”.
Siccome fino a prova contraria i bambini hanno come modelli gli adulti e ciò che propongono i mezzi di comunicazione (pensati e gestiti dagli adulti), eccoci al nodo della questione. Il servizio su D, gli articoli che ogni giorno vengono pubblicati in cartaceo o sul web, i libri, i programmi, le interviste a LGBT, le fiction, i reality… sono come un grande imbuto che al fondo si stringe, si stringe e fa uscire il seguente condensato di “pillole di saggezza (?) postmoderna”: “Sesso maschile e sesso femminile” sono parole e concezioni antiquate; adesso è corretto (obbligatorio?) parlare di gender. Gli etero? Roba (sì: “roba”) di altri tempi. Suvvia, si adeguino!
E pazienza se LGBT sono, nel mondo, una minoranza esiguissima. Minoranza esiguissima, sono, in realtà, una lobby potentissima che detta legge (o si appresta a dettarla) e già sta facendo una capillare operazione “culturale” (parolona!), con l’intento di modificarci.
“Una normale infanzia gay”, titola il servizio su D. Noi chiediamo che ai bambini (tutti!) venga garantita una “infanzia normale”, dove per “normale” non si intende “etero” (trovatemi un-bambino-uno che sia interessato a sapere cosa significhi!), ma non si intende nemmeno “gay”, o “trans”. “Infanzia normale” significa LASCIATELI IN PACE! Lasciate stare i bambini! Lasciate che giochino, che si divertano, che facciano quello che, alla loro età, abbiamo avuto la possibilità di fare tutti.
Il coming out a 7 anni fa ridere. E fanno piangere (e allarmare!) quelli che, seriamente, ci scrivono su sei pagine.
P.S.: Dopo la chicca di Lingiardi: “Coming out precoce… se son rose fioriranno” (e porteranno, magari, al tanto agognato matrimonio tra LGBT, ndr), siccome ormai c’è da aspettarsi di tutto, probabilmente, nel prossimo servizio affine, comparirà la postilla : “Auguri e… figli neutri”.
“A 7 anni???”. A 7 anni. Perché no?