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Famiglia: quello che gli occhi hanno visto, il cuore non dimentica

Fonte:
CulturaCattolica.it
Dice un proverbio malgascio: “quello che gli occhi hanno visto, il cuore non dimentica” e in fondo la famiglia è questo, lasciare che i figli per primi, vedano cose che il loro cuore non potrà scordare.

Quest’anno abbiamo festeggiato trent’anni di matrimonio.
Ne è passato di tempo da quando giovani, con la testa piena di progetti, con il fisico asciutto che immagini non debba mai deteriorarsi, con l’entusiasmo di chi si sente amato e non si lascia scalfire dai dinieghi di chi ostacola un matrimonio non abbastanza à la page, né dalle difficoltà economiche, sostenuti dalla fede, dall’amore e da grandi amicizie, ci siamo avvicinati all’altare certi che sarebbe stato “per sempre”.

Era il 24 aprile, all’entrata in Chiesa della sposa il cielo era nuvoloso, dopo la cerimonia iniziò a diluviare, il cielo era buio e faceva freddo, il coro cantava Jubilate Deo e io uscendo dalla sacrestia cantavo con loro - non si è mai vista una sposa così contenta - mi disse un amico.

Non c’era diluvio universale che potesse scalfire la mia certezza d’aver fatto la cosa buona. Non era stato facile, né indolore decidere, ma quello era l’uomo della mia vita.
Il giorno dopo splendeva un sole stupendo, con un vecchio Simca1000 scolorito e ammaccato da una grandinata, partimmo con una meta approssimativa per il viaggio di nozze, in auto non c’era navigatore, né aria condizionata e nemmeno la radio, noi cantavamo a squarciagola con i finestrini abbassati. Toscana, Umbria e poi risalita sino alle nostre radici, il Veneto, tutto era bellissimo, nuovo, eccitante.
Abbiamo viaggiato molto, visto poco, sazi del nostro finalmente stare insieme.
Oggi i ragazzi viaggiano, convivono, noi non eravamo mai stati in un albergo, non avevamo mai passato una notte insieme, la nostra alcova amorosa era stata la nostra mitica auto, il tempo per noi era sempre “tempo rubato”.
Quante discussioni su come doveva essere la nostra famiglia –sei figli, ce ne vogliono almeno sei – diceva il mio futuro marito, - un camper, compreremo un camper – non eravamo certo a corto di sogni e progetti, poi ci pensa la vita a perfezionarli, perché l’architetto è un Altro.

I primi mesi di matrimonio furono i più difficili, confesso qualche volta ho persino pensato che mia madre avesse ragione. Lui non era l’uomo per me (troppo ordinato e preciso), i detti materni, lapidari e ripetuti come un mantra, mi tornavano in mente tutti: “descantate bauca, i matrimoni sono tutti uguali - il vero amore non esiste - i omani xe tutti precisi”

Si trattava di difficoltà da rodaggio, a distanza di trent’anni, guardando indietro ne abbiamo fatta di strada, ma la cosa più bella che abbiamo costruito è la nostra famiglia, con i nostri errori, le nostre incompetenze, le nostre debolezze e le nostre diversità, ma insieme.

Quattro figli, tre nostri e uno “adottato” , buoni amici con cui camminare, e un punto certo a cui guardare .
Non è che serva altro, poi camminando s’inciampa sempre e s’impara.
A volte con i figli avresti dovuto fare altro, ma non l’hai fatto, ma anche loro sanno che siamo genitori imperfetti, l’unica certezza è che ci vogliamo bene, è che a distanza di trent’anni quando è venerdì e finalmente papà rientra dopo una settimana di lavoro passata lontano, noi ci sediamo tutti a tavola, apriamo una bottiglia di vino e ci sentiamo “famiglia”.
Li guardo crescere, oramai sono uomini, così differenti, eppure, li ho nutriti con lo stesso cibo, li guardo, a volte vorrei sorreggerli, correggerli, la cosa più dura e lasciarli scegliere, anche sbagliare, guardarli a distanza, fargli sapere che ci sei ma che la vita è la loro.

Per festeggiare i trent’anni abbiamo fatto un viaggio, scusa banale lo so, ma ottima per andare a vedere un pezzo di mondo lontano. Abbiamo viaggiato con una coppia di amici che festeggiavano lo stesso anniversario, probabilmente con sentimenti simili ai nostri nel cuore.

Abbiamo viaggiato con un pulmino attraversando sull’unica strada la RN7 il Madagascar, la nostra guida si chiamava Vincenzo il piccolo, originario di Tanà, della tribu dei Merina, ci ha accompagnati a conoscere la sua terra e la sua gente, con le loro tradizioni, i loro fadi (tabù) e strada facendo abbiamo parlato di tutto, della sua educazione e istruzione ricevuta dai padri Oroniani, del suo italiano studiato leggendo la Bibbia, della sorte del suo paese dove la mancanza di istruzione fa più danni della mancanza di cibo, del suo matrimonio con una donna di un’altra religione.
Conversare con lui era piacevole, una persona profonda, che aveva fatto un cammino di fede, ora lontano dalla pratica religiosa diceva: – senza Dio non si può vivere – Un uomo che non ha battezzato i figli per rispetto alla religione materna, ma che non dava per scontate le sue scelte.

Ci siamo lasciati a Tulear regalandogli il libro di Aldo Cazzullo e Angelo Scola “La vita buona. Un dialogo sulla Chiesa, la fede, l'amore, la vita e il suo senso”.
Visti i discorsi fatti la sera davanti a una birra THR, ci era sembrato non fosse un caso che quel libro fosse capitato nel nostro zaino.
Rientrando in Italia riflettevo con gli occhi ancora sazi del colore dei tramonti repentini, degli sguardi malinconici e dei sorrisi.
Era stato un viaggio che non avevo mai immaginato di fare, un viaggio fatto anche di molti silenzi, di serate passate a guardare la via lattea, di camminate faticose e silenziose sui sentieri dei parchi naturalistici a riempirci gli occhi di scampoli di cielo.

Poi siamo rientrati, la vita ha ripreso il suo corso, ma quello che incontri lascia sempre un segno.
I giorni scorsi Vincenzo il piccolo ci ha scritto una mail e noi ci siamo stupiti delle sue parole, dice che gli ha fatto bene vedere il nostro amore – quanta affezione ho visto in voi, vi amate molto bene, e mi ha fatto pensare a migliorare il mio matrimonio-.
Ma come? Se abbiamo parlato così poco, se stremati dalla fatica a tratti abbiamo anche sonnecchiato, se eravamo persino seduti su sedili lontani perché io devo documentare con la mia macchina fotografica e avevo bisogno di stare a portata di finestrino… Eppure, Vincenzo deve aver colto quello che noi diamo per scontato.
In risposta gli ho parlato del viaggio del Papa a Milano, dell’incontro mondiale delle famiglie e lui così mi ha scritto.

E' vero: "... solo il Suo amore e il Suo perdono ci fanno amare e perdonare. Noi siamo fatti a sua immagine e somiglianza." Nel libro che mi avete regalato a Tulear, l'attuale Cardinale vostro di Milano afferma : "La vera rivoluzione è Dio". E don Luigi Orione, il tortonese, diceva : "Solo la Carità salverà il Mondo". E io penso che se marito e moglie non cercano insieme di vivere questa Carità, che fa parte delle tre virtù teologali, cioè perdono vicendevole, pazienza e amore, con l'attaccamento a Dio e la fede alla Sua misericordia divina, la coppia cadrà. Per finire, quando vedete il Papa fra poco, salutatelo per favore!!! Ditegli di venire anche in Madagascar dove la povertà corrode e affligge tanti figli di Dio.
Ciao, Salutami tutti!!
Vincenzo dall'Isola Rossa.


Dice un proverbio malgascio: “quello che gli occhi hanno visto, il cuore non dimentica” e in fondo la famiglia è questo, lasciare che i figli per primi, vedano cose che il loro cuore non potrà scordare.

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