La sfida esigente dell’educazione: “vivere” con gli alunni la grammatica del cuore
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In una località della provincia di Frosinone, nostalgica icona di un tempo passato, c’è una piccola scuola primaria: cinque aule, grandi finestre, un largo corridoio e, all’esterno, un cortile.
In classe quarta, ventitré alunni: alcuni tranquilli e sereni, altri vivaci, fragorosi, talvolta un po’ litigiosi. “Una classe terribile!” mi fu sussurrato il 18 novembre 2010, non appena assunsi servizio. Il primo impatto non fu semplice. Indomiti e fieri i nuovi allievi, esuberanti un po’ troppo, rumorosi all’eccesso. In realtà, più che “terribile”, la classe a me appariva “pittoresca”. Un vociare incessante, palline di carta e aeroplanini che volteggiavano in aria, sforbiciatine di capelli al compagno di banco, un taglietto al grembiulino, uno sgambetto di qua, qualche parola fuori posto di là… e poi, banchi spostati, qualche sedia rovesciata, zaini in disordine sul pavimento: per raggiungere la porta, bisognava essere campioni di slalom! Superato un problema di salute e riacquistata una splendida vitalità, io avevo scelto quella sede vagheggiando un ambiente tranquillo… ma non sembrava davvero l’ideale! Ogni volta che tornavo a casa bramavo solo il silenzio: niente televisione, niente telefono, isolamento completo. Mio marito mi osservava preoccupato… era diventato invisibile ai miei occhi! Mi dirigevo verso la mia camera e mi lasciavo scivolare nel letto, esausta: con la testa sotto le coperte mi sentivo al sicuro, come un bambino nel grembo materno. Come sopravvivere a tanto trambusto? Forse… potevo urlare! Ma non era il mio stile pedagogico, e la mia voce, ahimè, non avrebbe superato quella degli alunni. Potevo elargire punizioni! Non era la scelta migliore. Sconsolata, mi resi conto che nessun pedagogista sarebbe potuto venire in mio soccorso. Una simile situazione non era contemplata in nessun manuale didattico. Mi sentivo sfinita. Nello sconforto, illuminante intuizione, cominciai a recitare la preghiera allo Spirito Santo: “…Consolatore perfetto… dolcissimo sollievo… Nella fatica riposo, nella calura riparo, nel pianto conforto. O Luce beatissima, invadi nell’intimo il cuore dei tuoi fedeli. Senza la Tua forza nulla è nell’uomo”… Senza la Tua forza nulla è nell’uomo… Ripetei più volte nella mia mente questa frase... Era la risposta che cercavo!
In una splendida mattina di fine autunno un tenue sole faceva brillare le fiammeggianti foglie degli alberi, leggermente agitate dal vento. Era uno spettacolo che ti riempiva gli occhi e il cuore di gratitudine ed io giunsi a scuola piena di felicità. Appena entrata in classe, mi feci il segno della croce e rimasi qualche attimo in silenzio mentre chiedevo al Signore di donarmi la Sua forza. Allora vidi quarantasei-occhi-quarantasei che mi scrutavano. Nell’aula era calato un insolito silenzio. L’alunno più ardito mi chiese spiegazioni, ed io gli risposi: “Capita spesso che voi bambini vi comportiate come se non ci fosse l’insegnante. Non prestate ascolto e, in tal modo, non potete comprendere. Come vedete, con le mie sole forze io non posso farcela ad educarvi… Ho bisogno di aiuto. E chi mai potrà darmelo? Così, prego il Signore di ispirarmi le parole giuste per arrivare al vostro cuore ed al vostro intelletto”. Mi accorsi di aver colto davvero nel segno: i bambini, forse sorpresi dalla mia sincerità, erano rimasti seri seri ad ascoltare. Nei giorni successivi cominciarono ad essere in sintonia con me, ed a sorridere quando, con qualche frase spiritosa, cercavo di allentare la fatica della lezione. Si erano fatti più attenti ed io, ormai, conoscevo i loro nomi: così potevo chiamarli, interessarli, coinvolgerli. Avevano acquisito un buon ritmo di lavoro ma non c’era ancora armonia fra loro e, come note di un pianoforte scordato, le incomprensioni e i bisticci spesso li dividevano. Ero certa, però, che un varco per penetrare nel loro animo presto l’avrei trovato. Un giorno, togliendomi dalle mani una pesante cartella, un alunno mi chiese: “Maestra, perché oggi non la diciamo tutti insieme, ad alta voce?” - Diciamo cosa? - risposi. “Ma la preghiera che fai tu a mente la mattina!”. Quella richiesta inattesa mi lasciò dubbiosa. D’improvviso, riaffiorarono nella mia mente gli echi delle falsità che erano state diffuse prima che io arrivassi in quella scuola, quando “una voce” mi aveva preceduta seminando angoscia fra i genitori. Ipocritamente, la voce aveva suscitato discordia annunciando: “In questa scuola verrà un’insegnante che in classe fa solo religione!”. Questa l’accusa, questo il motivo per il quale bisognava “stracciarsi le vesti” e protestare… Neanche fosse stata una bestemmia!
Cosa importa, poi, se quel “fa religione” implicava un lavoro intenso, scientifico, uno studio accurato sulla preziosità e sulla difesa della vita, sui valori, sulla famiglia? Iniquamente, veniva occultata ad arte la mia attività di insegnante di italiano, di matematica, di scienze, di informatica, di storia, di geografia; allo stesso modo venivano ignorati i magnifici lavori didattici realizzati in tanti anni di scuola e un curriculum denso di studi giuridici e pedagogici. Nella nuova scuola ero “una che fa solo religione”. E pensare che Gold Indire del MIUR mi aveva egregiamente premiata per il miglior lavoro informatico dell’anno, e l’aveva pubblicato fra le gold practices sulla Banca Dati Nazionale! Sarebbe bastato guardare un attimo indietro: mai mi erano mancati pubblici riconoscimenti. Il 24 maggio 2002, l’avvocato Antonio Buongiovanni, Presidente del Rotary Club, nell’ambito di un convegno di bioetica e di difesa della vita, mi aveva convocata con gli alunni sul palco dell’Aula Pacis dell’Università di Cassino, per presentare il nostro libro “Ho voglia di vivere”. Erano presenti il magistrato on. Carlo Casini, il Prof. Paolo Vigo, Magnifico Rettore dell’Università e S.E. Mons. Bernardo D’Onorio, Abate Ordinario di Montecassino. C’era anche l’onorevole Olimpia Tarzia, Presidente delle Politiche Familiari. Gentilissima, mi inviò una meravigliosa mail ringraziandomi per la significativa testimonianza che il mio impegno, combinato con l’entusiasmo dei bambini della mia classe, aveva prodotto.
E nell’aprile 2008 anche il Cardinale Camillo Ruini, al quale avevo donato il mio libro “La grammatica del cuore”, mi aveva scritto rallegrandosi per il mio lavoro didattico.
Ancora, il 15 luglio 2010, il professore Guido Petter, ordinario nell’Università di Padova, mi scriveva dal Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione: “… Le esprimo la mia ammirazione per la cura che ha posto nel raccogliere e presentare la documentazione relativa ai cinque anni di insegnamento con quel gruppo di bambini… Penso siano stati davvero fortunati ad avere un’insegnante come lei!… Credo che questi Suoi allievi conserveranno per tutta la loro vita il ricordo di una maestra che li ha aiutati a crescere, ha voluto loro bene...”
Eppure, nella nuova scuola, aleggiava ancora il soffio di una vile presentazione. Ciò mi spinse a rispondere all’alunno che, se i compagni lo desideravano, potevano recitare a mente una breve preghiera. Così, la mattina mi capitava di vedere i bambini restare qualche attimo in silenzio per pregare. Presto, però, essi tornarono a chiedermi di recitarla tutti insieme. Insistentemente.
La loro richiesta era un desiderio profondo del cuore ed ogni mia perplessità si dissolse dinanzi alla schiettezza e alla semplicità che leggevo nei loro visi. Così decidemmo di iniziare le nostre attività scolastiche con una invocazione: “Vieni, Spirito Santo, manda a noi dal cielo un raggio della Tua luce, illumina le nostre menti, riempi i nostri cuori!”. Quindici secondi ogni mattina… e un anno intero di benefici. Conquistata la fiducia dei miei allievi, pian piano vidi il loro atteggiamento mutare. Attraverso l’ascolto e il dialogo, stava maturando in essi un interesse autentico, una nuova sensibilità germogliava; così, mentre facevo lezione di matematica o di scienze, in classe si percepiva una profonda tensione cognitiva. Ero certa che lo Spirito Santo stesse operando invisibili miracoli nei cuori. Una volta, in un’intervista, Claudio Risé ebbe a dichiarare: “Il maestro è una figura dell’anima, è qualcuno a cui tu, allievo, riconosci la capacità di insegnarti qualcosa che hai bisogno di apprendere per vivere come soggetto, e non come schiavo… Il maestro è formatore e suscitatore di libertà… Essere maestri vuol dire mettersi in ascolto del magister interiore: il Padre, che ci cerca, e senza stancarsi parla dentro di noi”.
Con piacevole sorpresa, cominciai a ricevere bigliettini da Alisia, orsetti disegnati da Emanuele, lettere di Alessia. Nei quaderni, spiccavano i cuori di Eleonora, i fiori di Alina, le frasi affettuose di Claudia, di Federica, e di tanti altri. Trascorse così il primo anno con loro: a volte reso difficile da chi, ignobilmente, aveva solcato il terreno con calunnie; altre volte denso di autentiche soddisfazioni. Ora, in quarta, gli alunni sono più maturi, si lasciano interrogare volentieri, e sono impazienti di lasciare una traccia del loro cammino nella scuola primaria. Per questo, vorrebbero che scrivessi un libro insieme a loro. Un alunno, quest’anno, ha voluto imparare tutta l’invocazione allo Spirito Santo: l’ha cercata su internet e ne ha fatto fotocopie per i compagni. Insieme la recitano, meditandola parola per parola. Ne hanno colto il significato e il valore, ne hanno compreso la profondità e sperimentato l’aiuto nelle difficoltà. Hanno pregato per i nonni malati, per un nonno volato in cielo, per la mamma di un’alunna che era in ospedale, per un piccolo amico operato al cuore. Sono incredibili i bambini! Il loro animo è una miniera di sentimenti preziosi. Mi stupiscono tutti i giorni perché ti accorgi che stanno lì ad attenderti, a chiedersi chissà quali belle cose impareranno oggi. Quando spiego, ora c’è un silenzio profondo e ci sono occhi che ti fissano intensamente per capire e accogliere nella mente ogni parola. Mi commuove vederli così: basta solo interessarli un pochino toccando le corde del loro essere, coinvolgendoli emotivamente. Se poi li gratifichi con un complimento, sono capaci di travolgerti con un abbraccio affettuoso. La loro attenzione è sorprendente. E’ un piacere vederli lavorare sereni. E’ una gioia ammirare la diligenza, la precisione e la cura con cui eseguono i compiti: i quaderni raccontano i loro progressi, l’entusiasmo, la passione per le cose che fanno. In cambio desiderano essere ascoltati, elogiati, anche rimproverati se necessario, ma sempre nel rispetto della loro dignità. Hanno bisogno di fiducia e di comprensione, come anche di regole precise, di autorevolezza e di autorità. Mi tornano in mente le parole di S.E. mons. Lorenzo Chiarinelli, vescovo emerito di Viterbo: “L’educazione è una sfida esigente. Una delle tentazioni delle insegnanti è quella di nascondersi dietro la materia che insegnano. Oggi, c’è urgenza di educatori che insegnino a vivere i valori. Nella sfida dell’educazione, al primo posto va collocata la relazione con l’alunno. Ove non si riesca a stabilire il rapporto, il processo educativo è fallito in partenza. Se fondiamo solo sulla disciplina, abbiamo già chiuso. L’educazione autentica è educazione ad esercitare la propria libertà…”. Com’è vero! Senza relazione con l’alunno, si fallisce: non può esserci educazione. L’esperienza didattica con questi ragazzi ne è una conferma.
E se qualche volta può accadere che la loro libertà superi certi limiti, manifesto loro un mio segreto sogno: “Ragazzi, sto pensando di andare in pensione!”. Allora Silvia, con un sorriso incantevole, replica prontamente: “Maestra, ci potrai andare solo quando noi andremo al liceo!” - Come mai? - rispondo preoccupata, dal momento che mi terrorizza l’idea di invecchiare a scuola. “Quando saremo alle medie - risponde - noi ci affacceremo alla finestra della scuola, qui di fronte, e continueremo a vederti e a salutarti!”. Che dire? Mattia mi ha svelato che ha letto il mio libro solo sedici volte e che ogni volta si commuove. Come non ringraziarli per il loro affetto? Gaia, Michela, Manuel, Marika, Tommaso, Francesco (ce ne sono tre), Giuseppe, Alex, Domenico, Filippo, Mattia, Leonardo… ora li ho ricordati tutti! Dolci o irrequieti, silenziosi o loquaci, ubbidienti o impertinenti… Comunque ragazzi attivi e laboriosi. Pochi giorni fa, nel corso della Fiera del Libro 2012, a conclusione di un percorso logico-poetico, hanno presentato “Matematica e Bellezza”: fede e ragione, un binomio sapientemente coniugato da alunni di dieci anni. Questi sono oggi i ragazzi di quarta. Sicuramente vivaci e un po’ chiacchieroni, ma ricchi interiormente, desiderosi di impegnarsi per migliorare, capaci di amore e devozione per la vita. Ragazzi che studiano. Ragazzi che pregano. Nessuno glielo ha chiesto. Era un desiderio accovacciato nel loro cuore chissà da quanto tempo e, prorompente, è affiorato alla prima occasione. E la prima occasione è stata una nuova insegnante. “Una che fa religione”. Insieme a matematica, scienze, tecnologia e informatica! E’ scritto nei salmi: “Mi avevano spinto con forza per farmi cadere, ma il Signore è stato mio aiuto. Mia forza e mio canto è il Signore, egli è stato la mia salvezza… Alzano i fiumi la loro voce, alzano i fiumi il loro fragore. Ma più potente delle voci di grandi acque, più potente dei flutti del mare, potente nell’alto è il Signore”.
Oggi, 25 maggio, è il giorno del compleanno di mia madre: devo a lei ogni insegnamento germogliato nel mio animo, ogni grammatica del cuore esercitata nella mia vita e tutta la bellezza della matematica che insegno ai miei allievi. A lei, che mi guarda da un cielo di Luce, dono oggi questo pensiero, frutto del suo amore, insieme alla mia gioia e soddisfazione di insegnante.