“Se Gesù va a un reality per salvare il mondo”
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(Nicolás Gómez Dávila, In margine a un testo implicito)

“Se Gesù va a un reality per salvare il mondo”. Titola così Repubblica la recensione, a firma di Massimo Vincenzi, del romanzo di John Niven “A volte ritorno”.
Ipotizziamo. Ipotizziamo che il giornalista abbia recensito correttamente il testo (non lo leggerò e dunque mi fido). Data una sbirciata al riassunto dell’opera dello scrittore scozzese, rispetto al giudizio di Vincenzi “racconto avvincente e credibile (…) gran bel libro, perfettamente riuscito”, dico tra me de gustibus e non intendo aggiungere altro. Siccome, però, quel che si sceglie di riportare, in una recensione, e il risalto che si dà ad alcuni passaggi piuttosto che ad altri, ed anche le parole che si usano, raccontano, indirettamente, il pensiero del recensore, è di questo che scriverò. Così, anche solo per fare chiarezza sui termini, per mettere i puntini sulle i. Per ricordare a Massimo Vincenzi, ed anche a John Niven, ed anche a Repubblica, che è bene che ognuno stia al suo posto e che non ci mettiamo a dare lezioni a Dio su come debba agire, anche perché, caro Vincenzi che recensisce Niven che si inventa il suo Gesù, spiacenti, ma – Parola, Tradizione, Magistero della Chiesa docent – in tutto ciò che scrivete siete proprio fuori binario. Deragliamento totale.
La trama, come riportata nell’articolo, racconta di Dio che per qualche giorno se ne va in vacanza a pescare. Siccome quelli che in cielo sono giorni, in terra diventano secoli, risulta che dal 1600 al 2011 Dio… si è distratto e così, rientrato al lavoro, dev’essere aggiornato dalla sua segretaria.
Ecco il riassunto di Massimo Vincenzi: “Lui, incupendosi sempre di più, scopre cosa è accaduto in sua assenza (…) e poi ancora apprende dei massacri perpetrati in suo nome: l’odio per i gay, la rabbia cieca degli antiabortisti, la furia degli integralisti islamici, la pedofilia nella Chiesa”.
Non entro nel merito del libro che, come dicevo, non ho letto e non leggerò. Entro però nel merito delle scelte lessicali operate dal giornalista di Repubblica.
Parto da “massacro”, che inconfutabilmente significa “carneficina, uccisione efferata”. Se “massacro” a proposito della “furia degli integralisti islamici” ci sta, è possibile parlare di “massacro” per l’odio (ammesso che esista) nei confronti dei gay? Risulta a Vincenzi (e/o a Niven) che la Chiesa, in nome di Dio, dal 1600 ad ora abbia compiuto delle “carneficine” nei confronti degli omosessuali? O che la pedofilia (gravissima, senza ombra di dubbio!) sia un “massacro in nome di Dio”?
Ancora più scorretto, ingiustificato, indifendibile, l’uso del termine “massacro” in riferimento alla “rabbia cieca degli antiabortisti”. Guarda un po’ come va il mondo: osi scrivere “carneficina” per riferirti al miliardo di bambini a cui, solo nell’ultimo secolo, si è impedito di nascere, e rischi, oltre agli insulti, una denuncia. E però è un “massacro” – ipse dixit evangelium secundum Republicam – la “rabbia cieca degli antiabortisti” (rabbia? cieca?). Forse il politically correct ritiene che “ferisca” più la difesa della vita intesa come valore non negoziabile, che un raschiamento o la pillola Ru486. Peccato che una ferita non è un omicidio e che i numeri non sono un’opinione. Neanche le parole. Massacro vuol dire una cosa sola, chiarissima.
E poi: ne avrà dette di scemenze, il romanzo di Niven, ma in un tempo come il nostro in cui ogni desiderio vorremmo diventasse legge, vedi un po’, nel suo riassuntino, cosa va a scegliere Vincenzi come errore imperdonabile compiuto dagli uomini? Dio, assente per qualche secolo, perché a pesca di trote, una volta tornato ad occuparsi delle cose di quaggiù scopre, fuori di Sé, che – scrive il giornalista – “quelli sulla Terra hanno messo fuori legge la marijuana che Lui ‘aveva creato per i suoi figli prediletti’”. Domanda per Niven & Vincenzi: non è che per caso, anziché consultare i sacri testi, giusto per informarvi un po’ su vita, morte e miracoli del Protagonista del romanzo (di solito, per correttezza, si fa così…), avete preferito optare per un più moderno e maneggevole opuscolo radical chic?
Il giornalista continua poi con la trama. “Ma che è successo?”, scrive. “Che combinano le sue creature? Che ne è stato del suo unico vero comandamento? Quel ‘fate i bravi’ che Lui aveva affidato a ‘quel falsario’ di Mosè, che invece deluso dall’apparente pochezza del testo ne aveva inventato dieci di sana pianta?”.
Dunque: Vincenzi riassume Niven, che, cassati i dieci comandamenti, si è inventato un Dio tutto suo, che avrebbe genericamente detto ai Suoi figli un insipido - ma à la page - “fate i bravi” (che poi è esattamente la linea editorial-moralistico-giustizialista dell’evangelium Republicae, quando parla d’altri. Che sia un caso?).
Assolutamente moderna, bipartisan, ecumenica e anche un po’arcobaleno (peccato che non c’entri nulla col Cristianesimo) pure questa frase messa in bocca a Gesù da John Niven e scelta dal recensore: “Ce l’avete una mezza idea di quanto fate girare le palle a Dio? Vi regalano un Pianeta e voi che fate? Tempo cinque minuti lo trasformate in una discarica”.
Cari signori Niven & Vincenzi, aveste viaggiato meno di fantasia e dedicato qualche mezz’oretta in più a cercare di conoscere il Protagonista (vero) del romanzo (inventato), avreste capito che, per Dio, c’è una gerarchia chiara, chiarissima, tra l’essere umano e il pianeta. Sì, c’è. Perché l’essere umano (uomo, donna, vecchio, bambino, feto, embrione, sano, malato, deforme…) è creato “ad immagine e somiglianza Sua”. Il pianeta (lettera minuscola) no. E Cristo, per ogni essere umano (uomo, donna, vecchio, bambino, feto, embrione, sano, malato, deforme…), è morto in croce, e poi, per la sua salvezza (dell’essere umano, non del pianeta!) è risorto.
Egregi Niven & Vincenzi, sapete una cosa? A far riflettere di più, nelle cose che dite, alla fine sono, banalmente, l’ortografia e le scelte lessicali. Partiamo dall’ortografia, che non è un’opinione. Scrivere Pianeta con la lettera maiuscola significa considerare la natura una divinità, mentre essa è finalizzata all’uomo, che pur è tenuto a prendersene cura e a non sfruttarla in modo selvaggio ed egoistico. L’approccio alla natura deve essere responsabile, ma affinché ciò sia possibile è indispensabile riconoscere alla persona umana una dignità superiore alla natura, che è esattamente – guarda un po’! – quel che ha sempre fatto Dio, senza bisogno di consigli.
E poi il lessico. Posto che, tra le tante minchiate inventate da Niven, quella espressa nel titolo dell’articolo si verifichi, abbiate fede che, se proprio proprio Gesù dovesse scegliere di andare a un reality, con buona pace di Repubblica non ci andrebbe per salvare “il mondo”. Ci andrebbe per salvare… l’uomo. Fosse anche l’ultimo e il più scalcagnato sulla faccia della terra.