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Ho conosciuto don Giussani

Fonte:
CulturaCattolica.it
In memoriam - 22 febbraio 2005-2012

Sì, l’ho conosciuto.
Ho iniziato così la risposta ad una mail che mi è arrivata ieri da un affezionato lettore di CulturaCattolica.it che a volte mi scrive nonostante non ci siamo mai visti in volto.
“L’ho conosciuto”, ho scritto. E mentre le dita cercavano, sulla tastiera, le lettere dettate dalla memoria del cuore, dentro si sono mossi tanti ricordi belli.
Nella mail di questo amico, ad un certo punto c’era scritto: “Leggendo sul sito gli articoli con le frequenti citazioni di don Giussani, sto conoscendo un pochino questo grande e santo sacerdote che forse tu hai anche conosciuto personalmente. Ti confesso che io non ne so nulla, tranne che è stato il fondatore di CL. Io ho avuto altre esperienze di Chiesa, ma le frasi di Giussani che leggo sul sito mi colpiscono molto!”
Leggevo, francamente un po’ stupita che già solo qualche frase di don Giussani che talvolta riprendiamo nei nostri articoli avesse potuto suscitare in questo amico tanta “attrazione” (da “ad-trahere”, e cioè “trarre verso”: non verso le parole; proprio verso don Giussani!). Stupita, ho provato gratitudine, perché se è vero che le cose che scriviamo, i giudizi che diamo su ciò che accade lasciano trasparire il metodo che abbiamo imparato dal carisma che abbiamo incontrato, significa che la strada che seguiamo, il compito che svolgiamo è buono, e cioè per il bene.
Leggendo questa mail, ho sentito, però, come un… pizzicotto e, nella domanda di questo amico, una provocazione, perché è proprio vero: “Il cristianesimo non è una religione. Sono persone che hanno incontrato Cristo”. E così, al suo interrogativo nascosto tra le righe “tu forse l’hai conosciuto personalmente…”, ho risposto, perché il cristianesimo “passa” attraverso don Giussani. Passa attraverso me.
Sì, l’ho conosciuto. Ho raccontato a quest’amico che, quattordicenne, ho incontrato don Giussani e quanto sia stato per me “padre”, e guida preziosissima. Gli ho scritto che è stato lui ad educarmi a prestare attenzione ai “segni” della vita e a farmi comprendere, in questo modo, quale fosse la mia strada. Non ero così vicina a don Giussani da poter dire che lui sapesse chi fossi; che si ricordasse di me: lo vedevo e lo sentivo agli incontri di GS, o degli universitari. Ma non era (e non è) indispensabile essere appiccicati ad una persona perché essa influisca così potentemente, così definitivamente sulla tua vita. La sua voce, le sue pause, i suoi occhi, il suo modo di citare gli autori che amava, la sua attenzione all’umano, la sua passione per Cristo, la sua fedeltà alla Chiesa sono stati per me contagiosi anche da… lontano. Anche quando, agli incontri, ero in un angolo, o seduta in ventesima fila.
Sentivo lui, sentivo i miei insegnanti (e frequentavo il liceo classico in una scuola cattolica!) e ho capito che avrei fatto l’insegnante. Ho capito “come” avrei fatto l’insegnante: in nessun altro modo se non in “quel” modo: il suo.
Ho raccontato questo, anche se più in breve, all’affezionato lettore di CulturaCattolica.it che ieri mi ha inviato la mail e, rispondendogli, ho capito una cosa. Scrivere in questo sito è importante. Non solo perché ciascuno di noi collaboratori avverte su di sé la responsabilità del compito, indelegabile, di un giudizio chiaro sulla realtà, secondo il criterio della fede e secondo il metodo che proprio da don Giussani abbiamo imparato. E’ importante perché in questo modo nascono rapporti belli: virtuali perché passano attraverso la rete, eppure verissimi. E così il web si fa… carne: le parole destano in chi le legge uno sguardo più attento sulla realtà, e il desiderio – come in questo caso – di conoscere il carisma che seguiamo. Diventano sostegno e coraggio per l’assunzione di un compito personale, di testimonianza cristiana, nelle circostanze della vita. Sono un aiuto nel giudizio. Sono… un’amicizia che nasce. Che, in una vita che si possa definire pienamente vissuta, è la cosa che conta di più.

“Il fatto è che occorre un amico, ma non un amico in quanto genio, non dei rapporti che raggiungano le vette dell’intelligenza, dei rapporti di impeccabile eleganza e raffinatezza, ma semplicemente un Amico. Vale a dire autentici rapporti di prossimità, pienamente umani, nei quali uno dona se stesso e non ciò che è suo, e accoglie me e non ciò che è in me. Questo è forse possibile? Se davvero non fosse possibile allora tutta la vita si coprirebbe di una coltre disperatamente cupa, poiché senza questo, qualsiasi agire sensato risulterebbe impossibile. Il ‘fare’ fine a se stesso, le ‘opere’ in sé, tutto ciò che non è illuminato e ‘benedetto’ dall’autenticità dei rapporti personali, mi sembra del tutto inutile. Ogni ‘opera’ ha per me un valore puramente simbolico, in quanto espressione e creazione di relazioni personali, non un contatto soltanto esteriore, ma un’unità interiore”.
(P.A. Florenskij, Lettere a Belyi)

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