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Otto settembre. Festa della Natività di Maria Santissima.

Autore:
Saro, Luisella
Fonte:
CulturaCattolica.it
Giotto, Natività di Maria, Cappella degli Scrovegni

Mentre cammino verso la chiesa, mi accompagna, come un ritornello, questa affermazione di André Frossard: “Il Dio cristiano sa contare fino a uno”. E’ vero. Dio si rivolge alla singola persona, con un nome e un cognome; ad ogni creatura, alla quale ha pensato ab aeterno.
Sono quasi arrivata davanti alla chiesa e, riflettendo sulla giornata di oggi, mi dico che, pensandoci bene, la nostra redenzione è iniziata con la nascita di questa bimba, che il Signore ha scelto come Madre di Suo Figlio. Una bambina che è entrata nella storia e nel mondo con quegli occhi lì, quel volto lì, quelle mani lì, quel carattere lì… E che l’opera di salvezza per ognuno di noi, prima ancora che in una grotta e in una mangiatoia, è cominciata in una casa: la casa in cui Anna ha dato alla luce sua figlia.
E così, mentre mi torna in mente, nei dettagli, lo splendido affresco in cui, nella Cappella Scrovegni, Giotto racconta la nascita della Vergine, sono arrivata ad un’altra casa. Muri, finestre, luci di candele e la presenza perenne, reale e concreta, di Dio.
Sono ormai prossima ad entrare e penso a quanto sciocchi sono coloro che credono che il Cristianesimo sia regole, teorie, umanitarismo, morale, buoni sentimenti e non ri-conoscono l’evidenza di una Presenza reale, incontrabile qui ed ora. In un luogo, che è casa e tempio: la chiesa. E in una compagnia: la Chiesa. Il Corpo di Cristo.
Sono arrivata.
C’è una cosa che, da sempre, mi colpisce e mi commuove: la porta socchiusa delle chiese. Spesso finemente lavorate, come preludio della bellezza (e della Bellezza!) che dentro ci attende, sono porte ampie, generalmente, quelle delle chiese. E’ misericordia, invito ad entrare in un luogo “grande”, promessa del centuplo rispetto a ciò che ci si lascia dietro le spalle: la quotidianità con il luccichio menzognero dei suoi idoli.
E quegli usci, appena accostati, a raccontare l’amore con la maiuscola: la delicatezza di un Padre e di una Madre disponibili, sempre, ad accogliere i propri figli, rispettando la libertà che passino per casa oppure no. Spesso, o solo ogni tanto, o anche… mai. Un Padre e una Madre dalla pazienza infinita.
Mi ha sempre commosso e rassicurato la casa del Signore aperta quasi a tutte le ore.
Senza campanelli, citofoni, appuntamenti da prendere in anticipo, liste d’attesa, sai che Lui è lì, sempre. Pronto ad ascoltare e ad offrire conforto e protezione invulnerabile a chiunque, ogni volta che il cuore lo desideri.
Se sono di fretta, quando passo davanti entro anche solo per un saluto. Ma pregare a casa o pregare in chiesa non è la stessa cosa e allora cerco di regalarmi dei momenti tutti per me. Come oggi. Qui, a far memoria dell’“origine”, e della direzione giusta che deve prendere il mio cuore.
Con la mano scosto l’uscio, varco la soglia e scelgo un banco.
Mentre medito e prego, entra ed esce tanta gente e, osservando ciò che accade intorno a me, mi accorgo che lì, nella casa di Dio, in fondo càpita un po’ quel che càpita in tutte le case, in famiglia: un figlio che, prima di uscire, si avvicina veloce solo per regalarti un bacio, o un sorriso; chiacchiere più lunghe, a raccontarsi la giornata, o a chiedere aiuto o consigli; occasioni di gioia e di festa; condivisione del dolore… Ma anche lunghi momenti silenziosi, in cui le parole non servono perché c’è solo bisogno di sentire la forza di un abbraccio che rincuora.
Qualcuno entra, recita sottovoce una preghiera davanti alla statua della Madonna (oggi è il Suo compleanno!), Le regala un fiore, fa un segno di croce e se ne va.
Altri sostano più a lungo, in contemplazione. In ginocchio davanti a Lei, alle immagini dei Santi – la famiglia di Dio – o di fronte al Santissimo. E allora il colloquio è così intimo che per pudore abbassi lo sguardo, perché temi di varcare confini inviolabili.
C’è chi scosta piano l’uscio e resta in piedi, in fondo alla navata, e non sai se è di fretta o se – proprio come succede a casa – non si avvicina al crocifisso, o al tabernacolo, o all’altare della Madonna Addolorata, sulla cappella a sinistra, o alla statua lignea della S. Vergine del Rosario perché non si sente degno. E’ una distanza del cuore che conosci sia come figlia, sia come madre, questa, e perciò non ti scandalizzi. E’ umana, pensi. E ti ritrovi a recitare una preghiera perché, un passetto alla volta, tutti impariamo l’umiltà di chiedere scusa, se sappiamo di aver mancato in qualcosa, per poi correre tra le braccia di chi abbiamo tradito e ritrovare, finalmente, la pace perduta.
Ma oggi entrano anche tanti bambini. Aiutati, ripetono, ad alta voce, le preghiere più semplici e più belle (e che tenerezza vedere adulti – genitori o nonni – che da subito affidano i figli o i nipoti alla protezione e alla guida di un Padre e di una Madre più grandi… E quanto vorresti poter recitare “Ave, o Maria, piena di grazia, il Signore è con Te…” con la loro semplicità e la loro purezza…).
A volte sono giovani, quelli che fanno sosta in chiesa a svuotare e a riempire il cuore. Li guardi, mentre accendono una candela, e quel segno è un grazie, o una richiesta di aiuto, di difesa, di salvezza. O forse è il loro modo per continuare a sentirsi lì, saldi in Dio, anche una volta usciti. O magari, come capita spesso a te, chiedono, a quel fuoco, di sciogliere il groviglio nero che hanno dentro affinché entri, nell’animo, uno spiraglio di luce.
E’ piena di fiammelle che ardono, oggi, la chiesa. Sembrano candeline degli auguri…
Quando senti che il passo è più lento, sono anziani che si accostano alla statua della Vergine o al crocifisso, o pregano davanti al tabernacolo, gli occhi a cercare la lampada rossa che arde, segno della presenza permanente e reale di Cristo. Le rughe della vita hanno insegnato loro un rispetto riverente ed un modo speciale di stare in chiesa e, una volta di più, ti accorgi di quanto c’è da imparare, dai vecchi.
Nella preghiera del loro corpo vedi quell’abbandono totale a Dio Padre che in te, spesso, ancora, è rigidezza, resistenza. Il loro capo inclinato, le mani giunte, la concentrazione, il coinvolgimento totale della mente e del cuore, mentre colloquiano con il Signore o sono, silenziosi, in adorazione, non nascono solo dal fatto che hanno più tempo libero di te: meno cose da fare, meno pensieri… Prostrati, ti insegnano l’umiltà del cuore che ancora non sai e che richiederà – ne sei certa – l’esercizio di tutta una vita.
Oggi, otto settembre, festa della Natività di Maria Santissima, penso a questa giovane che, amata da sempre e “tirata fuori dal nulla”, si è fidata, ha accettato le vie del Signore e, nella Sua regale umiltà, ha detto mille e mille volte il suo “sì”.
Oggi, come la Madonna, garanzia di un destino buono anche per la mia vita, mi raccolgo in preghiera, in ginocchio, nella casa del Signore e del popolo che Gli appartiene e come Lei, certa e riconoscente, recito il mio Magnificat.
“Grandi cose ha fatto anche in me l’Onnipotente…”

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