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Come un prodigio...

Autore:
Saro, Luisella
Fonte:
CulturaCattolica.it
...O mio tronco che additi,
in questa ebrietudine tarda,
ogni rinato aspetto coi germogli fioriti
sulle tue mani, guarda:

sotto l'azzurro fitto
del cielo qualche uccello di mare se ne va;
né sosta mai: perché tutte le immagini portano scritto:
"più in là!".

Si posa sulle mani, lo sguardo. Mani scarne: le dita ossute, abitate dall’artrosi e segnate dagli anni. Una sull’altra, stringono per l’ultima volta e per sempre la corona del Rosario.
Sono in obitorio, sola, a vegliarla, e mentre recito la Coroncina della Divina Misericordia che tante volte, in questi giorni, il cuore ha pregato pensando a lei, appoggio la mia mano calda sulle sue, ormai rigide e fredde.
Penso a due giorni fa, a quando, mattina e pomeriggio, sono andata in ospedale a farle compagnia. E alle sue mani, che accarezzavo senza stancarmi: ancora calde di febbre e di vita.
Anche in ospedale, mentre pregavo, continuavo a guardarle, queste sue mani dalla sapienza antica.
Ora la rivedo nel suo laboratorio di sarta, quando col metro prendeva attenta le misure e le scriveva su piccoli fogli bianchi con la grafia di una volta o, gessetto e poi forbice in mano, segnava e tagliava la stoffa portata dalle clienti. E penso alla precisione e alla velocità con cui, fino a pochi mesi fa, senza occhiali sapeva far passare il filo nella cruna dell’ago. Quanti punti, uno di seguito all’altro! Ordinati, precisi, saldissimi al rovescio e sempre invisibili sul diritto…
Prima la scelta del modello, poi l’imbastitura, poi la prova davanti allo specchio, poi gli spilli per riprendere qui o lì. Al termine le rifiniture, impeccabili.
La rivedo seduta alla sua macchina da cucire: lo sguardo attento e mani veloci ad accompagnare il tessuto mentre l’ago sale e scende a fare il suo lavoro.
Portavi un pezzo di stoffa e ritiravi il vestito, la giacca, la gonna che tutte ti invidiavano perché “pezzo unico”, fatto solo per te. Su misura.
Ecco. Penso alla sua scatola di latta piena di rocchetti di filo dai mille colori, al sacchetto dei bottoni di tutte le fogge e di tutte le misure, ai ritagli di stoffa; penso al laboratorio, al piano terra di casa sua, in cui qualche lavoro solo era abbozzato, altri già terminati, pronti da consegnare e sempre c’era qualche vecchia veste da allargare, da stringere, da rattoppare e allora capisco perché a catturare il mio sguardo, in ospedale e in obitorio, sono le sue mani.
Penso che la nostra vita, in fondo, è un po’ così: stoffa che, dalla notte dei tempi, Mani sapientissime hanno pensato, disegnato, tagliato, cucito per noi, per farla diventare “abito su misura”. Unico e irripetibile. Non “prodotto in serie”. (…anche solo una pince, o un bottone, o qualche millimetro di lunghezza, mi dico, rende diversa una gonna sartoriale, a prima vista uguale ad un’altra…).
Mani laboriose e semplici, quelle della mia vecchia sarta, che per tutta la vita ha confezionato abiti seguendo le linee del corpo che aveva di fronte, cercando di valorizzarne i pregi e di minimizzarne i difetti. Strumenti umili ma esperti che, nelle fasi di creazione, mi hanno insegnato che l’utile e il bello possono e devono convivere. Sempre. E che tutto, volendo, si può sistemare, aggiustare, rinnovare. Quanta attenzione e quanto impegno, quando c’era da recuperare un capo a cui la cliente era affezionata! Una sfida che, vinta, le riempiva il cuore di contentezza bambina. Forse ancor più della gioia di fronte ad un abito nuovo di zecca. Dai suoi gesti pazienti, nel tempo ho capito che guai disperare, perché mai nulla è perduto.
A volte le sedevo accanto e osservavo, in silenzio, il suo lavoro. Non riuscivo a immaginare cosa sarebbero potuti diventare quei pezzi di stoffa accostata. Lei, invece, “sapeva”. Dopo qualche giorno ripassavo e vedevo l’abito terminato, appeso e in bella vista. Chissà quanto apprendistato… E che esperienza, che precisione, ora, per arrivare alla meta: a fare, di due metri e mezzo di tessuto, “quella veste lì”, perfetta per chi l’indosserà! Allora ridevamo: per la mia ‘poca fede’ e perché, sempre, aveva ragione lei: solo a lavoro terminato - mi diceva ogni volta - si percepisce la bellezza. Solo allora. Proprio come nella vita. Solo alla fine “capiremo”. Quando vedremo tutto e tutto si farà chiaro.
E così le sue vecchie mani, ora immobili, mentre la veglio con la commozione di una figlia che veglia sua madre, mi conducono ad altre mani: alle Mani sapientissime del Creatore, che han pensato, voluto, amato infinitamente lei e ciascuno di noi. “Ti ho modellato nelle profondità della terra e ti ho formato nel grembo di tua madre. Ti ho scolpito nei palmi delle mie mani e ti ho nascosto nell'ombra del mio abbraccio. Ti guardo con infinita tenerezza e ho cura di te con una sollecitudine più profonda che quella di una madre per il suo bambino”.
Penso a questo e il mio cuore è grato perché so che, di lei, neanche un capello del capo andrà perduto. La sento “al sicuro”, come sento “al sicuro” la mia vita e quella di tutti coloro che amo.
Prima di tornare a casa, guardo ancora una volta questa donna semplice e laboriosa. Il volto è sereno, in pace. E mentre scosto il velo e la bacio sulla fronte, mi regala un altro prezioso segreto: l’ultimo. Tutti i punti (chilometri e chilometri di punti…) che, uno di seguito all’altro, china sulla sedia ha pazientemente, amorevolmente dato nella sua vita, sono stati la sua scala specialissima per arrivare fino al Cielo…

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