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Liberi perché figli

Fonte:
CulturaCattolica.it

L’aggettivo italiano libero deriva dal latino. I liberi, in latino, erano i figli. Liberi perché figli. Chi non apparteneva ai liberi rientrava nel numero degli schiavi. Questo la dice lunga sulla nostra pretesa autonomia. Se l’appartenenza ci rende figli e ci libera in quanto veicola l’amore che dà consistenza alla persona, la rivendicazione di una libertà come assenza di legami svela la sua menzogna. Non c’è libertà senza figliolanza, senza sentirsi parte di qualcuno che precedendoci ci ha trasmesso la vita, ci ha pensato e amato. “Solo quando riconosce l’amore originario che gli ha dato la vita, l’uomo può accettare se stesso, può riconciliarsi con la natura e con il mondo”, come ha detto Benedetto XVI ai partecipanti all’incontro promosso dal Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia. Il concetto di libertà, di appartenenza, di amore sono intrecciati in una relazione profonda che svela la natura dell’uomo. Che è domanda e attesa amorosa, non rivendicazione di diritti come certa cultura edonista e nichilista vuole far credere. È proprio mettendo in discussione i fondamenti dell’essere umano che si è fatta strada la mentalità relativista e scientista che “preannunciava la scomparsa delle religioni ed esaltava una ragione assoluta, staccata dalla fede, una ragione che avrebbe scacciato le tenebre dei dogmatismi religiosi e avrebbe dissolto il mondo del sacro, restituendo all’uomo la sua libertà, la sua dignità e la sua autonomia da Dio” (udienza 4.5.2011). Ma si tratta di una vittoria apparente, non solo perché il XX secolo, con le tragedie che lo hanno segnato, ha messo in crisi il progetto di poter vivere a prescindere da Dio, ma anche perché “dopo aver perso la somiglianza con Dio a causa del peccato, l’uomo rimane ad immagine del suo Creatore. Egli conserva il desiderio di colui che lo chiama all’esistenza. L’uomo è per sua natura homo religiosus, come è homo sapiens e homo faber. L’uomo “digitale”, come quello delle caverne, cerca nell’esperienza religiosa la via per superare la sua finitezza e per assicurare la sua precaria avventura terrena. Del resto, la vita senza un orizzonte trascendente non avrebbe un senso compiuto e la felicità è proiettata spontaneamente verso un futuro”. Così, oggi, parlare di preghiera e di senso religioso significa toccare un nervo scoperto dell’uomo post moderno. È una questione tutt’altro che risolta, anche dove sembra che Dio sia scomparso dall’orizzonte di vita. Un recente articolo informava di come in Cina sia in atto un forte risveglio religioso, tenuto nascosto dal potere, segno di esigenze inestirpabili che affiorano inevitabilmente, nonostante un contesto sfavorevole e la propaganda atea dominante. In una lettera, un missionario italiano in Giappone racconta dell’elevato numero di suicidi registrati a seguito del terremoto. Non avere speranze, non avere alcuna fede, toglie le forze, porta a decisioni estreme. C’è bisogno che l’uomo recuperi la sua dimensione originaria, che riprenda la consapevolezza di essere creatura limitata e bisognosa, dipendente da un amore che la supera e “dotata di una straordinaria dignità”. Per essere figli, perciò liberi.

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