Quando le comuniste erano contro l'aborto domestico
- Autore:
- Curatore:
- Fonte:

«La scienza ha compiuto notevoli passi creando condizioni impensabili rispetto al passato per una generazione libera e responsabile, i cui protagonisti restano tuttavia la donna e l’uomo e la loro capacità di armonizzare ragione e natura». Stiamo parlando del rapporto tra i sessi e della responsabilizzazione dell’uno nei confronti dell’altro sui temi della procreazione. «Altra cosa è l’aborto, in cui non ci riesce davvero di scorgere alcuna affermazione della libertà della donna quest’ultima, può certo, con l’aborto interrompere in modo traumatico un processo naturale; ma per farlo deve colpire se stessa, e tutto ciò che di umano, oltre che naturale e istintuale, è per lei l’inizio della sua maternità». Le parole riportate non appartengono a qualche pio devoto, sono bensì le riflessioni contenute in La questione femminile in Italia - 1970-1977 scritto da Adriana Seroni, membro del Pci, togliattiana e femminista che si adoperò, non poco, per introdurre l’attuale legge sull’interruzione di gravidanza. La Seroni era instancabile nell’ammonire che il ricorso all’aborto non poteva essere letto come un’affermazione di libertà per la donna, ma al contrario come il prezzo pesante che le donne erano chiamate a pagare a causa della deresponsabilizzazione del partner e della insufficiente tutela offerta alla maternità dalle nostre istituzioni. Nel 1976 sul n° 39 di Rinascita scriveva testualmente: «La legge (194) in sé non basta a risolvere i problemi enormi posti dall’aborto. D’altro canto, se non è chiaro che c’è un dopo, che c’è un oltre la legge sull’aborto; se sfugge progressivamente ogni rapporto con il sociale perché lì può sempre annidarsi una limitazione della libertà della donna, dove si arriva a finire? No alle strutture sanitarie perché inadeguate ed insufficienti; no ai medici perché autoritari; no alle istituzioni perché repressive, no ad ogni limite temporale indicato all’aborto perché riduttivo della libertà. Così facendo si innesca un processo di idee il cui sfocio non può essere che il self help, l’aborto autogestito, praticabile fino a 22 settimane, realizzabile senza alcuna effettiva garanzia sul terreno sanitario.» Adriana Seroni non poteva sapere che quel self help oggi ha un nome, Ru486, e neppure che a fronteggiare contro l’aborto domestico non c’è più nessun compagno.