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Roberto e Sabrina, storia di un Amore

Autore:
Spreafico, Sabrina
Fonte:
CulturaCattolica.it
Quando tocchi con mano la tua impotenza e la fragilità di essere uomo, ti senti spogliato di tutto, sei piccolo e povero, creatura davanti al Creatore e stai davanti a Dio come fa un neonato con sua madre, totalmente dipendente

Roberto e Sabrina erano e rimangono i "nostri ragazzi", perché quando io e mio marito eravamo giovani sposi loro facevano parte di un gruppo di adolescenti a cui facevamo catechismo.
Con loro abbiamo condiviso il nostro primo anniversario di matrimonio, le feste di carnevale, il loro matrimonio, il battesimo dei loro bambini, le serate a cena a discutere con Roby che aggrediva la vita con la sua caparbietà e il suo sarcasmo, e con Sabrina paziente e tenace.
Quando la malattia è entrata nella loro storia abbiamo capito come questi "ragazzi" fossero per noi maestri, non erano più loro che chiedevano consigli, che raccontavano a noi le loro pene amorose nella speranza di essere aiutati a capire, ma condividendo la vita i ruoli si erano ribaltati e loro senza bisogno di parole, insegnavano a noi che c'è un amore che va oltre il dolore, e anche oltre la morte, perchè è un amore che "non ci diamo da soli".
Sabrina ha accetatto di raccontare la loro storia e di condividerla con noi, perchè sia anche per noi motivo di riflessione, non solo sul dolore e sulla morte, ma sul valore del matrimonio.


“Non credo che vi sia un legame diretto tra sofferenza e infelicità. Non ritengo che la prima determini direttamente la seconda. Credo, al contrario, che si possa provare una qualche forma di felicità anche in un grande momento di sofferenza”.

Lascio parlare di sofferenza chi ha sperimentato direttamente sulla sua pelle la sofferenza.
Le parole sopra riportate sono state scritte da Roberto, mio marito, e sono contenute in un libro di don Chino Pezzoli, fondatore della comunità di recupero per tossicodipendenti nella quale lui ha lavorato come psicologo per 12 anni.
Roberto è venuto a mancare lo scorso 30 giugno, a causa di una malattia che, da quando è stata scoperta, gli ha permesso di vivere altri tre anni.
Quando mi è stato chiesto di scrivere di questa nostra vicenda, mi sono sentita dapprima esitante e anche un po’ timorosa, ma poi ho pensato che forse non è nemmeno giusto tenere solo per sé un’esperienza che ha cambiato profondamente la nostra vita e ci ha fatto incontrare più da vicino Dio.

All’inizio è stata una vera e propria tegola in testa, il giorno del suo primo intervento e quindi della diagnosi, mi sono sentita “schiacciare” da quello che ci si andava prospettando da lì in poi e che non sapevo minimamente come affrontare… si può far finta di niente, sperando che sia solo un brutto incubo e augurarsi che passi alla svelta oppure si può decidere di vivere insieme la realtà che viene data in quel momento.
Abbiamo scelto, quasi senza dircelo direttamente, nella confidenza silenziosa di chi si vuole bene da tanto tempo, che avremmo imparato l’una dall’altro a gestire questo mondo nuovo e abbiamo cominciato così a percorrere il nostro cammino nelle strade difficili e a volte dolorose della malattia. Lui caparbio e tenace nel combattere il suo male, io vicina a lui a sostenerlo.
Roby aveva tante domande, si è sempre interrogato molto sul senso dell’esistenza e sul dolore, si è chiesto anche il perché del suo dolore, ma questo non gli ha impedito di continuare a vivere la vita in pienezza, non si è fermato davanti alla sua malattia e alle fatiche che questa comportava, ha continuato a godere dei volti che aveva intorno, delle relazioni, si è dedicato al suo lavoro, è andato avanti a essere il papà stupendo che era sempre stato.
Abbiamo potuto sperimentare come a volte nella vita, ci sono domande a cui umanamente non riesci a rispondere, anzi può diventare logorante volere a tutti i costi capire.
Non si può sempre capire, ma c’è un’alternativa: affidarsi e amare.
Ci è venuto naturale affidarci a Dio fin da quando ci siamo sposati, infatti per il nostro matrimonio avevamo scelto la pagina di Vangelo sulla fiducia nella provvidenza divina “non state con l’animo in ansia… il Padre vostro sa che ne avete bisogno…” (Lc 12, 22-32), allora non potevamo immaginare che un giorno questo affidamento non sarebbe stato più solo un ideale a cui tendere…
Quando tocchi con mano la tua impotenza e la fragilità di essere uomo, ti senti spogliato di tutto, sei piccolo e povero, creatura davanti al Creatore e stai davanti a Dio come fa un neonato con sua madre, totalmente dipendente. Solo lì l’affidamento è diventato il centro e il senso del nostro vivere, lo abbiamo vissuto direttamente nella nostra carne e il Signore si è fatto vicinissimo a noi. Non ci è stata tolta la sofferenza, non è avvenuto un miracolo, ma ci è stata data la grazia di avvertire in modo quasi tangibile la presenza amorevole di Dio, non riesco a spiegare in altro modo la forza che ha accompagnato i nostri giorni più duri e che ci ha fatto sentire, nonostante tutto, bene e desiderosi soprattutto di amare.
Quando i ritmi della malattia si fanno incalzanti e appaiono evidenti i segni di una “terminalità” ormai prossima, ti accorgi ancora di più come l’unica cosa che conta veramente è solo l’amare, amare molto, amare incondizionatamente. Quanto ti viene in qualche modo tolto in termini di tempo, di quantità del tempo da vivere, ti viene abbondantemente restituito in termini di qualità del tempo che ti è dato, un tempo donato, appunto un “presente” da vivere pienamente.
I gesti ordinari e ripetitivi di ogni giorno, il pranzo, la cena, la cura del corpo, la compagnia, una risata, una coccola acquistano un significato immenso, li custodisci dentro di te come tesoro prezioso e cerchi di fissare nella memoria quel volto amato, la voce, un abbraccio, sapendo che da lì a non molto affiderai tutto questo tuo tesoro al “per sempre” della vita eterna.
E’ estremamente doloroso lasciare andare chi ami, per questo motivo, per rendere meno duro questo passaggio, mi piace pensare che il mio Roby sia passato direttamente dal mio abbraccio all’abbraccio di Dio, non c’erano mani più sicure a cui poterlo affidare per trovare finalmente riposo dopo tante battaglie, e mi piace guardare alla nostra vita insieme come a una lunga camminata in cui ci siamo reciprocamente accompagnati e sostenuti.
Ora rimane la gratitudine, un profondo senso di gratitudine a lui, alla vita stessa, a Dio, per tutti gli anni che abbiamo passato insieme, per la vita che abbiamo vissuto, anche i momenti più difficili, ne è valsa veramente la pena, nonostante quanto abbia comportato, nonostante purtroppo sia durato troppo poco.
Rimane il dolore, a volte insopportabile, ma non c'è nessuna amarezza, c’è una grande consolazione senza la quale sarebbe impossibile vivere e superare certe prove, è l’ultima parola di Gesù che non è il saluto definitivo dell’addio ma l’arrivederci pieno di speranza della risurrezione.
Lascio che sia Roby a concludere, con un suo pensiero che accompagna me e i miei bambini lungo le vie della nostra quotidianità e che nutre di speranza il nostro oggi.
“Vivere la gioia significa cogliere ogni aspetto dell’esistenza come respiro dell’Eterno.
Il limite allora non impedisce di apprezzare l’uomo, il dolore non preclude la possibilità di essere felici, la morte non vanifica il senso del vivere.”

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