Il T.A.R. Lombardia e l'eutanasia
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Dall’autorizzazione alla sospensione dell’alimentazione, in capo al tutore di Eluana; all’obbligo di sospensione dell’alimentazione di Eluana, in capo a tutte le strutture sanitarie, pubbliche o private, del territorio nazionale.
Il Tar della Lombardia accoglie il ricorso di Beppino Englaro e annulla il provvedimento con cui la Regione Lombardia, il 3 settembre, aveva negato alle cliniche lombarde l’autorizzazione a interrompere l’alimentazione di Eluana, la donna in stato vegetativo da ormai 17 anni.
Sostiene il tribunale che «il diritto costituzionale di rifiutare le cure è un diritto di libertà assoluto, il cui dovere si impone nei confronti di chiunque intrattenga con l’ammalato il rapporto di cura, non importa se operante all’interno di una struttura sanitaria pubblica o privata».
Così, Eluana «quale malata in fase terminale avrà anche il diritto a che le siano apprestate tutte le misure» che le garantiscano «un adeguato e dignitoso accudimento accompagnatorio della persona, durante tutto il periodo successivo alla sospensione del trattamento di sostegno vitale».
E’ dunque sancita la pretesa nei confronti dello Stato di ottenere la sospensione dell’alimentazione.
E’ dunque sancito il diritto ad ottenere dalle strutture sanitarie l’accompagnamento di Eluana ad una morte “dignitosa” (la cd. “buona morte”).
E’ dunque sancita, in altre parole, l’eutanasia (però solo per via giudiziale; dal momento che, anzi, il nostro ordinamento giuridico contiene norme opposte, punendo l’omicidio del consenziente o l’aiuto al suicidio!).
Si ha un bel dire – sia da parte della Corte di Cassazione, che da parte del T.A.R. Lombardia – che «tale ipotesi non costituisce, secondo il nostro ordinamento, una forma di eutanasia, bensì la scelta insindacabile del malato a che la malattia segua il suo corso naturale fino all’inesorabile exitus».
Qui non si è meramente di fronte al rispetto di una scelta personalissima (come quella di non farsi curare) (libertà negativa, che impedisce allo stato di imporre comunque la cura, salvo che nei casi espressamente previsti per legge dall’art. 32, secondo comma, Cost.).
Qui si è di fronte alla pretesa che la struttura sanitaria ponga in essere – lei stessa – comportamenti commissivi e “facere” specifici, che realizzino ed attuino un aiuto/accompagnamento all’exitus inesorabile della malattia, ossia alla morte (come detto vietata al momento nel nostro ordinamento).
Non si può giocare con le parole.
Come chiamare ciò se non con il termine eutanasia?
Allora, mi pare si dovrebbe ripensare seriamente alla decisione assunta dalla Corte Costituzionale, ed alla sua ordinanza peraltro preliminare (senza quindi affrontare la questione nel merito) che non ha ravvisato nella fattispecie una invasione di campo da parte della giurisprudenza nel terreno normativo.
Non si tratta di riservare determinate materie al Parlamento.
Si tratta di non utilizzare sentenze (in tutti i campi) per “creare” diritti non (non ancora) previsti dall’ordinamento, colmando veri e propri vuoti normativi, in presenza anzi di norme di contenuto addirittura opposto a quelle create.