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Karl Unterkircher: "siamo nati e un giorno moriremo"

Fonte:
CulturaCattolica.it

Mio padre la montagna non l’ha mai capita, perché non l’ha mai conosciuta.
Quand’ero piccina, ogni volta che alla televisione raccontavano di scalatori che partivano per mete difficili e rischiose lui commentava senza mezze misure, "se i more no i me fa pecà", niente pietà per chi si cerca la morte.

Mi sono tornate in mente le sue parole quando ho letto quanto scriveva il 28 giugno al campo base l’alpinista italiano Karl Unterkircher morto sul Nanga Parbat: «Siamo nati e un giorno moriremo. In mezzo c'è la vita. Io la chiamo il mistero, del quale nessuno di noi ha la chiave. Siamo nelle mani di Dio... e se ci chiama... dobbiamo andare. Sono cosciente che l'opinione pubblica non è del mio parere, poiché se veramente non dovessimo più ritornare, sarebbero in tanti a dire: "Cosa sono andati a cercare là? ... Ma chi glielo ha fatto fare?". Una sola cosa è certa, chi non vive la montagna, non lo saprà mai!».

Non calcolava mio padre, che a modo suo anche lui scalava altre montagne, sfidava altre insidie.
Saltava da un’impalcatura all’altra dei cantieri edili, senza pensare alla fatica e al pericolo e quando era in vena di ricordi, non raccontava le emozioni delle vette e le notti tra i ghiacci, raccontava degli edifici costruiti, delle case ristrutturate a cui aveva ridato giovinezza.
Raccontava del sole cocente di luglio che cuoce la pelle di chi lavora, raccontava le fatiche di chi dormiva nelle baracche allestite nei cantieri, pranzava nei loculi di cimiteri in costruzione cercando riparo dalle intemperie almeno per l’ora del pranzo, del freddo che taglia le dita e dei fuochi accesi nei bidoni in mezzo ai cantieri dove cercare il tepore che ripristini la circolazione del sangue, non lo sapeva mio padre, ma raccontava la sua montagna.

E non andava fiero delle vette raggiunte, delle bandiere piantate, ma delle case “portate a tetto”, dove una volta si issava la bandiera italiana.
Raccontava le volte che sentiva di aver scampato la morte, precipitando da un'impalcatura su una sega circolare che qualcuno aveva da poco spenta, o quando aveva messo un piede in fallo cadendo a terra su un luogo dove sino a momento prima c’era un cumulo di mattoni che qualcuno aveva appena spostato, evitando così che lui si fratturasse la spina dorsale.

Raccontava la vita mio padre, e la vita è sempre una sfida, una strada verso il Mistero, e se non è la montagna è altro a segnare la via.

"Siamo nati e un giorno moriremo. In mezzo c'è la vita. Io la chiamo il mistero, del quale nessuno di noi ha la chiave".

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