Domenica, muore un tifoso, partita sospesa e poi?
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E’ morto investito da un autobus nella piazzola di un autogrill, stava andando alla partita Parma-Juventus.
Aveva da poco riottenuto il diritto di partecipare alle manifestazioni sportive, diritto che aveva perso nel 2005 a causa della sua partecipazione agli incidenti del 6 gennaio 2005 tra ultras parmigiani e quelli bianconeri.
Si legge sulla stampa che era un militante della sinistra antagonista, e attivo nell'ambito dei centri sociali di Parma, i genitori hanno espresso la preoccupazione che Matteo non venga dipinto come un teppista, i vicini lo descrivono come un bravo ragazzo.
Quando si è diffusa la notizia dell'incidente che ne ha causato la morte, la partita è stata sospesa ed in perfetto stile italiano per un po’ di settimane si parlerà di sospendere le trasferte, di istituire un maggiore controllo fuori dagli stadi e bla bla bla, poco dopo tutte le belle proposte rimarranno tali.
Vorrei però capire una cosa, se si è trattato di un incidente stradale, tragico, perché il povero Matteo è morto all’istante, ma un incidente, allora la partita non doveva essere sospesa e Matteo è una vittima della strada, dell’errore umano, di una tragica fatalità.
A ben guardare chissà quante altre volte andando alla partita accadono incidenti stradali, la colpa non è certo del calcio, che, infatti, non si ferma in base al colore della sciarpa che le persone coinvolte nell’incidente portano al collo.
Se invece non è stato un incidente o almeno non solo un incidente, perché secondo voci raccolte sul posto, l’autista stava fuggendo in fretta e furia per sottrarre l’autobus all’irruenza di alcuni ultras, allora diventa più comprensibile il fatto di sospendere la partita per evitare scontri tra tifoserie, ma resta il dilemma, può un paese essere ostaggio degli ultras?
Può dirsi sport quello che si gioca in stadi dove la fede calcistica ti espone a rischi non sempre prevedibili, dove non è consigliato portare i bambini?
Può essere civile, un paese dove la domenica si spendono fior di soldi dei contribuenti per pagare forze dell’ordine che hanno il compito ingrato di rischiare la vita per arginare la brutalità di certo genere umano che sfoga con la scusa del calcio, violenza e frustrazioni?
Sia chiaro, con tre figli che giocano a calcio ho abbastanza esperienza di quanto accade sui campi di calcio di periferia, dove i genitori dei piccoli atleti danno il peggio di sé, dove “ti aspetto fuori” detto ai genitori della squadra avversaria o all’arbitro, non è l’invito per l’aperitivo del dopo-patrtita, la violenza non è solo quella che approda in tv, quella di chi aspetta la domenica per individuare un nemico contro cui combattere, inizia nei campetti di periferia, dove giocano "pulcini" che vanno dal mister per farsi allacciare le scarpe.
Non so se Matteo stesse passando accidentalmente davanti all’autobus in manovra, o se il conducente stesse fuggendo da un luogo che considerava insicuro, ma che ci sia posti il problema di sospendere la partita la dice lunga, sul fatto che lo sport è ostaggio di certa gente che vive la domenica come il giorno in cui si individua un nemico e contro di esso si sfogano rabbia e frustrazioni.
Questo “sport” non fa bene a nessuno, è solo l’indicatore di una decadenza, di un bisogno urgente di adulti capaci di assumersi la responsabilità di essere educatori.
Genitori, mister, arbitri, non si salva nessuno, la responsabilità è corale, chiunque ha a che fare con i giovani e con la loro passione, la loro voglia di giocare, di competere, di vincere, deve inevitabilmente assumersi la responsabilità di educare, non può pensare che sia un compito che spetta ad altri, la domenica dedicata alla sport non può essere a rischio di “sconfitta dell’umano” ogni settimana.