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Differenziazione politica ma non diaspora culturale

Autore:
Oliosi, Don Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
Ogni coscienza è chiamata a discernere ogni scelta politica alla luce dei valori fondamentali, non negoziabili e a guardare al bene comune

Sono fissate per il 13/14 aprile le elezioni politiche. Non è, questo, di pertinenza della Chiesa come tale. La Chiesa non prende “nelle sue mani la battaglia politica” (Deus caritas est, n. 28). “E quindi confermiamo – card. Bagnasco, Prolusione all’apertura del Consiglio episcopale permanente, n. 6 – la linea di non coinvolgimento, come Chiesa, e dunque come clero e come organismi ecclesiali, in alcuna scelta di schieramento politico o di partito… Questo non coinvolgimento è, a ben guardare, il contrario del disinteresse e del disimpegno, ma un contributo concreto alla serenità del clima, al discernimento meno distratto, alla concordia degli animi.
“Inoltre, questo atteggiamento complessivo della Chiesa – come diceva Giovanni Paolo II al Convegno ecclesiale di Palermo il 23 novembre 1995 – “non ha nulla a che fare con una “diaspora” culturale dei cattolici, con il loro ritenere ogni idea o visione del mondo compatibile con la fede”. L’irrilevanza della fede non può essere un obiettivo dei credenti, ai quali “come cittadini, sotto la propria responsabilità”, spetta “un compito della più grande importanza”, in rapporto “alle grandi sfide nelle quali porzioni della famiglia umana sono maggiormente in pericolo: le guerre e il terrorismo, la fame e la sete, alcune epidemia terribili…”. Così precisava Benedetto XVI al Convegno ecclesiale di Verona, dove ha subito aggiunto: “Ma occorre anche fronteggiare con pari determinazione e chiarezza di intenti, il rischio di scelte politiche e legislative che contraddicono fondamentali valori e principi antropologici ed etici radicati nella natura umana dell’essere umano, in particolare riguardo alla tutela della vita umana in tutte le sue fasi, dal concepimento alla morte naturale, e alla promozione della famiglia fondata sul matrimonio, evitando di introdurre nell’ordinamento pubblico altre forme di unione che contribuirebbero a destabilizzarla, oscurando il suo carattere peculiare e il suo insostituibile ruolo sociale” (Benedetto XVI, Verona, 19 ottobre 2006). E’ alla luce di questi valori fondamentali – ha affermato il card. Bagnasco, Presidente della Cei – che “ognuno è chiamato a discernere, poiché si tratta di valori che costituiscono da sempre l’essere stesso della persona umana, di ogni concreta persona umana, embrione o in coma, comunque uomo, in tutta la sua dignità (Benedetto XVI, 9 marzo 2008).
La Chiesa, nel suo impegno pastorale, apprezza il grande bene della ragione e – soprattutto oggi – la difende sia da pretese razionalistiche, che vorrebbero restringere gli orizzonti solo all’empiricamente verificabile con la tendenza a dare il primato all’irrazionale, al caso e alla necessità anziché ricondurla al Logos creatore, aperta alle grandi questioni del vero e del bene, sia dalla presunzione di certi fideismi che facilmente evitano la fatica del pensare. L’enciclica Fides et ratio di Giovanni Paolo II, come gli innumerevoli interventi di Benedetto XVI sul tema della ragione, i cui spazi vanno allargati, ne sono luminosa speranza. Questi valori sono riproposti dal Vaticano II cui sta a cuore primariamente “ogni persona umana”, salvando la quale si edifica l’umana società attraverso il bene di ogni uomo concreto con un’economia sociale. “E’ ogni uomo, dunque, ma l’uomo integrale nell’unità di corpo e anima, di cuore e di coscienza, di intelligenza e volontà, che sarà il cardine di tutta la nostra esposizione” conciliare (Gaudium et spes, n. 3). In questa logica il Concilio metteva l’attenzione su una serie di rischi – che diremmo oggi non negoziabili, sempre il card. Bagnasco – in quanto minano il bene costitutivo di ogni persona ossia “tutto ciò che è contro la vita stessa, come ogni specie di omicidio, il genocidio, l’aborto, l’eutanasia e lo stesso suicidio volontario; tutto ciò che viola l’integrità della persona umana, come le mutilazioni, le torture inflitte al corpo e alla mente, gli sforzi per violentare l’intimo dello spirito; tutto ciò che offende la dignità della persona umana, come le condizioni disumane di vita, le incarcerazioni arbitrarie, le deportazioni, la schiavitù, al prostituzione, il mercato delle donne e dei giovani, o ancora le ignominiose condizioni di lavoro…; tutte queste cose, e altre simili, sono certamente da riprovare e mentre guastano la civiltà umana, ancor più inquinano coloro che così si comportano, che quelli che le subiscono” (GS n. 27) In questa medesima linea, il Concilio ha diffusamente parlato del bene fondamentale e ineguagliabile della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna (GS 47 – 52). Come ha parlato dell’educazione e della sua “estrema importanza”, e della libertà che essa invoca… Davvero non c’è nulla di improvvisato in quello che la Chiesa oggi ricorda agli uomini e alle donne di buona volontà. Si tratta di offrire una parola pacata e serena a quanti saranno eletti nel Parlamento della XVI legislatura. Non possiamo tacere quello che raccogliamo dalla voce diretta della gente tra la quale e per la quale noi vescovi con i nostri sacerdoti viviamo condividendo pure tensioni e sofferenze, fino a subire minacce attese più urgenti e i problemi indilazionabili che la popolazione avverte con crescente disagio e per i quali attende risposte credibili, concrete e rapide. In estrema sintesi e semplificando potremmo parlare del “problema della spesa”, dall’aumento dei salari minimi alla difesa del potere di acquisto delle pensioni, dall’emergenza abitativa alle iniziative di sostegno della maternità, dalle misure per una maggiore sicurezza nei posti di lavoro, al miglioramento di alcune fondamentali infrastrutture a servizio anche dei pendolari…dall’altra vorremmo che all’indomani del voto ci fosse una spinta convergente, nel rispetto dei ruoli che il corpo elettorale vorrà assegnare, per affrontare realmente queste situazioni, stando al largo dalle strumentalità e dalle speculazioni, per dare un miglioramento effettivo alle condizioni di vita della parte più consistente della popolazione.
Dobbiamo uscire dall’individualismo, dal pensare egoisticamente solo a se stessi e alla propria categoria nella dimenticanza di tutti gli altri: ce la faremo se anche la politica farà la sua parte. Essa peraltro ha un’insopprimibile valenza di esemplarità. Occorre che il personale politico questo lo tenga presente per sempre, abbandonando a sua volta una politica troppo politicizzata, per restituire alla stessa uno spessore etico che solo può fare da collante. Sono queste le questioni che interpellano la Chiesa e il Paese nell’analisi del presidente della Cei al Consiglio episcopale permanente.

Il discorso di Giovanni Paolo II “No alla diaspora culturale”: Palermo 1995
Giovanni Paolo II arriva a Palermo il 23 novembre 1995 e dà l’orientamento di fronte a scelte politiche che ogni coscienza credente è chiamata a discernere, valido anche oggi: “Il nostro non è il tempo della semplice conservazione dell’esistente, ma della missione”. E’ un invito alla “conversione pastorale” nella direzione della nuova evangelizzazione, con un nuovo rapporto tra cattolici, mentre si delinea il passaggio dalla “prima repubblica” alla “seconda Repubblica”. E il Papa dà una nuova direttiva sostitutiva della precedente sull’unità politica in un’unica aggregazione, la DC, “sempre nella libera maturazione della coscienza”. “La Chiesa non deve e non intende coinvolgersi con alcuna scelta di schieramento politico o di partito”. Legittima quindi la differenziazione politica ma essa “non ha nulla a che fare con una diaspora culturale dei cattolici”. Chi si riconosce nel Vangelo e si presenta come cattolico non può “ritenere ogni idea o visione del mondo compatibile con la fede”, né aderire a “forze politiche e sociali che si oppongono, o non prestino sufficiente attenzione ai principi della dottrina sociale della Chiesa sulla persona e sul rispetto della vita umana, sulla famiglia, sulla libertà scolastica, la solidarietà, la promozione della giustizia e della pace”.

Il discorso di Benedetto XVI “Fede amica dell’intelligenza”: Verona 2006
A Verona, il 19 ottobre 2006 Benedetto XVI mette in guardia da una concezione del mondo in cui “Dio sembra divenuto superfluo anzi estraneo” e che dunque riduce l’uomo a “semplice prodotto della natura, come tale non realmente libero e di per sé suscettibile di essere trattato come ogni altro animale”. Di fronte al rischio del relativismo morale, della dittatura del relativismo, il Papa invita i fedeli a una “multiforme testimonianza” per far” emergere soprattutto quel grande “sì” che in Gesù Cristo Dio ha detto all’uomo e alla sua vita, all’amore umano, alla nostra libertà e alla nostra intelligenza”. L’Italia “è un terreno favorevole” per questa testimonianza. “La Chiesa, infatti, qui è una realtà molto viva, che conserva una presenza capillare in mezzo alla gente”. Anche in futuro, dunque, occorre dar prova di “una fede amica dell’intelligenza e una prassi di vita caratterizzata dall’amore reciproco e dall’attenzione premurosa ai poveri e ai sofferenti”. E dunque, aggiunge il Papa, “i nostri “no” a forme deboli e deviate di amore e alle contraddizioni della libertà, come anche alla riduzione della ragione soltanto a ciò che è calcolabile e manipolabile” sono “piuttosto dei “sì” all’amore autentico, alla realtà dell’uomo come è stato creato da Dio”. Perciò “occorre fronteggiare il rischio di scelte politiche e legislative che contraddicono fondamentali valori e principi antropologici ed etici radicati nella natura dell’essere umano”. Vita, famiglia, libertà di educazione, bene di ogni uomo o natura sociale dell’economia, del civile, del sociale, del culturale, del politico, soprattutto.
“Dobbiamo essere sempre pronti a chiunque ci domandi ragione della nostra speranza… Dobbiamo rispondere ‘con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza’, con quella forza mite che viene dall’unione con Cristo. Dobbiamo farlo a tutto campo, sul piano del pensiero e dell’azione, dei comportamenti personali e della testimonianza pubblica. La forte unità che si è realizzata nella Chiesa dei primi secoli tra una fede amica dell’intelligenza e una prassi di vita caratterizzata dall’amore reciproco e dall’attenzione premurosa ai poveri e ai sofferenti ha reso possibile la prima grande espansione missionaria del cristianesimo nel mondo ellenistico – romano. Così è avvenuto anche in seguito, in diversi contesti culturali e situazioni storiche. Questa rimane la strada maestra dell’evangelizzazione: Il Signore ci guidi a vivere questa unità tra verità e amore nelle condizioni proprie del nostro tempo, per l’evangelizzazione dell’Italia e del mondo di oggi”

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