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La frode di Ulisse

La Divina Commedia è veramente un miracolo: dentro quelle terzine ci siamo tutti noi, con le nostre paure e le nostre disperazioni, con il nostro inestirpabile desiderio di amore e perdono

Sono andato a vedere quel kolossal musicale che è l'opera di mons. Marco Frisina sulla Divina Commedia (www.ladivinacommediaopera.it), allestita in un apposito teatro tenda nella zona di Tor Vergata a Roma e prossima a migrare, dopo il mese di febbraio, in altre città d'Italia.
Consiglio vivamente a chi ci legge di non perdere questo spettacolo: è imponente per le scene, le soluzioni registiche, le coreografie; è coinvolgente per la forza delle musiche; è commovente per come rende con efficacia le straordinarie potenzialità del testo di Dante.

La Divina Commedia è veramente un miracolo: dentro quelle terzine ci siamo tutti noi, con le nostre paure e le nostre disperazioni, con il nostro inestirpabile desiderio di amore e perdono, con i nostri abbattimenti, i nostri slanci, la nostra grandezza e piccolezza di uomini.

L'opera di mons. Frisina, inoltre, permette di comprendere meglio soprattutto le grandi figure dei dannati infernali. Il loro è un modo perverso e tragicamente errato di intendere e cercare l'amore: Paolo e Francesca, Pier delle Vigne, il conte Ugolino gridano all'amore, ma non conoscono l'amore autentico, perché l'hanno rifiutato. Ed è per questo che il loro grido è ancor più struggente.

Ma chiudo qui con l'opera di mons. Frisina, non senza prima averlo ringraziato per avermi fatto comprendere finalmente la figura dell'Ulisse dantesco. E' la musica di Frisina che mi ha illuminato, guidandomi a quella che ritengo l'interpretazione più logica del celeberrimo canto XXVI dell'Inferno.

Per me l'Ulisse della Commedia era un vero e proprio problema. Mi sembrava che Dante mancasse di consequenzialità. Ulisse è punito in quanto consigliere fraudolento. Ma, come tutti sapete, questo suo peccato non è che accennato di sfuggita. Nel colloquio con Dante, il grande eroe greco si mette invece a parlare della sua ultima folle avventura: quel suo viaggio al di là delle Colonne d'Ercole, conclusosi tragicamente con il naufragio definitivo.

Dante ci ha lasciato dei versi immensi e immortali, quelli dell'orazion picciola che Ulisse fa al suo equipaggio, ai suoi amici, per motivarli ad affrontare il grande passo: "Considerate la vostra semenza:/ fatti non foste a viver come bruti,/ ma per seguir virtute e canoscenza" (Inf. XXVI, 118-120). Poche parole, che definiscono la grandezza dell'uomo, la consapevolezza di un grande destino, di una centralità nel Creato (è Dante uomo medievale a scrivere queste cose, e non si capisce perché dobbiamo continuare passivamente ad ingurgitare l'idea di un Medioevo che a tutto ciò era estraneo). Sono versi così veri e grandi, che hanno lasciato il segno nella storia della letteratura (basti pensare a come li cita Primo Levi in Se questo è un uomo).

Ma era appunto questo il mio rovello: se Ulisse è l'immagine dell'Uomo, se le sue parole le leggiamo come una glorificazione e un'esaltazione della grandezza dell'uomo, dove va a finire il peccato d'Ulisse? Dove va a finire la sua frode, l'inganno di cui si è macchiato?

Mi sembra che ci sia una sola spiegazione convincente, che unisce il racconto dell'ultimo viaggio di Ulisse alla pena che egli sconta. Ed è che quelle parole in realtà sono un atroce inganno. Sì, quella bellissima, quell'eccezionale, quella sublime orazion picciola è l'ultimo grande inganno di Ulisse. Egli usa tutta la sua arte, tutta la sua capacità di ingannare, tutto il suo carisma, per piegare la volontà recalcitrante del suo equipaggio, per spingerlo oltre i limiti fissati all'uomo. Il suo è un folle volo, e lui lo sa. Ma vuole farlo, ha deciso di farlo. E siccome non può farlo da solo, ha bisogno di portarsi dietro i suoi compagni.

Eccolo allora utilizzare dei nobilissimi argomenti e ingannare così i suoi uomini. Così tutto diventa coerente e Dante, attraverso questo episodio, ci presenta un Ulisse genio della frode, che non si arresta davanti a niente, neanche davanti alla propria possibile autodistruzione.

In tempi come i nostri l'Ulisse dantesco diventa allora estremamente attuale. Pensate a quanti scienziati ci sono oggi in giro pronti ad usare nobili argomenti, ad innalzare il genio dell'uomo che è sempre pronto a sfidare i limiti pur di giungere a violare l'inviolato. Immaginate, che so, un Veronesi motivare in questo modo i suoi giovani assistenti, in nome del progresso dell'Umanità e dei nuovi grandi scenari che si apriranno alle conquiste dell'uomo.

Quanto sangue è stato versato nella storia (soprattutto in quella più recente), a causa di uomini che sbandieravano ideali altissimi e intanto distruggevano gli altri e se stessi. Quanti dittatori abbiamo visto sorgere, capaci di infuocare gli animi con le loro orazioni e poi cadere vittime dei loro folli voli. In realtà erano solo degli ingannatori, dei fraudolenti.

Oggi si sta scherzando col fuoco, con l'embrione e col suo DNA, con quanto di più sacro l'umanità ha mai riconosciuto (le nostre "Colonne d'Ercole"!), ma molti vanno avanti proprio in nome del bene dell' umanità, forti di quel "fatti non foste a viver come bruti".

Sono parole convincenti, alte e sublimi, da premio Nobel, ma possono essere dette solo per mettere in atto un'autentica frode. Come quella di Ulisse.

Ed è come se Dante ci ammonisse ancora oggi: attenti, non date ascolto ai moderni ulissidi! Dietro le loro più belle intenzioni c'è solo un "folle volo"!

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