Quando NON è accanimento terapeutico

Abbiamo chiesto a Clemetina Isimbaldi, Medico pediatra dell'ospedale di Lecco, di aiutarci a capire perché il caso di Eluana non possa definirsi accanimento terapeutico
Vai a "Ultime news"

Per accanimento terapeutico si intende un “Trattamento di documentata inefficacia in relazione all’obiettivo, a cui si aggiunga la presenza di un rischio elevato e/o una particolare gravosità per il paziente con un’ulteriore sofferenza in cui l’eccezionalità dei mezzi adoperati risulta chiaramente sproporzionata agli obiettivi della condizione specifica ” (Manni C, Accanimento terapeutico in rianimazione e terapia intensiva, 1996).
Nel caso di Eluana Englaro l’alimentazione per sondino non costituisce accanimento terapeutico. Oltre ai vari organismi che si sono già espressi a riguardo nel nostro paese, tra i primi il Comitato Nazionale di Bioetica che il 30/09/2005 si espresse così: “Il malato in stato vegetativo ha diritto alla alimentazione a idratazione artificiali”.In tale documento, che invitiamo a riprendere in considerazione, erano già scritte le motivazioni alla inaccettabilità della sospensione dell’alimentazione mediante sondino naso-gastrico in pazienti in stato vegetativo persistente (Svp).
Le riassumiamo come segue:
- non è corretto associare la condizione dello Stato vegetativo persistente al coma
- il problema bioetico centrale è costituito dallo stato di dipendenza dei pazienti in Svp dagli altri: necessitano di acqua e cibo, ma non sono in grado di provvedervi autonomamente
- le persone in Svp richiedono un’assistenza ad alto e a volte altissimo contenuto umano, ma a modesto contenuto tecnologico
- la tragicità, per quanto estrema, di uno stato patologico, quale indubbiamente va ritenuto lo Svp, non può alterare minimamente la dignità delle persone affette e la pienezza dei loro diritti: non è quindi possibile giustificare in alcun modo non solo la negazione, ma nemmeno un affievolimento del diritto alla cura, di cui godono al pari di ogni altro essere umano
- per giustificare bioeticamente il fondamento e i limiti del diritto alla cura e all’accudimento nei confronti delle persone in Svp, va quindi ricordato che ciò che va loro garantito è il sostentamento ordinario di base: la nutrizione e l’idratazione, sia che siano fornite per vie naturali che per vie non naturali o artificiali. Nutrizione e idratazione vanno considerati atti dovuti eticamente (oltre che deontologicamente e giuridicamente) in quanto indispensabili per garantire le condizioni fisiologiche di base per vivere (garantendo la sopravvivenza, togliendo i sintomi di fame e sete, riducendo i rischi di infezioni dovute a deficit nutrizionale e ad immobilità). Acqua e cibo non diventano infatti una terapia medica soltanto perché vengono somministrati per via artificiale; si tratta di una procedura che (pur richiedendo indubbiamente una attenta scelta e valutazione preliminare del medico), a parte il piccolo intervento iniziale, è gestibile e sorvegliabile anche dagli stessi familiari del paziente (non essendo indispensabile la ospedalizzazione)
- si dovrebbe dunque escludere la possibilità che essa si configuri di norma come "accanimento terapeutico". (...) Nella misura in cui l’organismo ne abbia un obiettivo beneficio nutrizione ed idratazione artificiali costituiscono forme di assistenza ordinaria di base e proporzionata (efficace, non costosa in termini economici, di agevole accesso e praticabilità, non richiedendo macchinari sofisticati ed essendo, in genere, ben tollerata). La sospensione di tali pratiche va valutata non come la doverosa interruzione di un accanimento terapeutico, ma piuttosto come una forma, da un punto di vista umano e simbolico particolarmente crudele, di "abbandono" del malato
- la predetta sospensione è da considerarsi eticamente e giuridicamente illecitatutte le volte che venga effettuata, non sulla base delle effettive esigenze della persona interessata, bensì sulla base della percezione che altri hanno della qualità della vita del paziente

Nel caso di Eluana Englaro sono evidenti le condizioni di stabilità del quadro clinico cioè la non imminenza di morte, la beneficialità dei mezzi (la vita) associata alla non gravosità dei mezzi stessi, dunque la mancata evidenza di accanimento. La motivazione a sospendere le cure, anche negli Svp, è che ci sia imminenza di morte, non che la vita sia ritenuta indegna di essere vissuta.