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L’enciclica tedesca

Fonte:
CulturaCattolica.it
A proposito di alcune letture deil discorso del Papa all'Università di Regensburg

Sul nostro sito CulturaCattolica.it e nella newsletter che inviamo regolarmente agli iscritti abbiamo definito il viaggio del Papa nella sua patria e il suo insegnamento «l’enciclica tedesca». È di una bellezza e profondità notevole, e lo ritengo un autentico punto di riferimento per ogni uomo che sia appassionato della verità e del proprio destino.
Certo che per capire quello che il Papa ha detto non bastano i titoli dei giornali o delle varie televisioni: anche in questo caso si può dire che c’è stato il viaggio reale e il viaggio mediatico. E che il viaggio reale è molto più interessante delle varie letture che ne sono state date. Tra queste letture ha fatto molto scalpore quella riguardante l’islam, e che sta infiammando il dibattito mondiale, secondo la quale il Papa avrebbe offeso l’islam per il suo riferimento alla Jihad.

«Ho letto le notizie sul discorso del Papa con meraviglia e orrore – ha detto Bardakoglu, Gran Muftì di Turchia –, è un discorso molto provocatorio, ostile e pregiudiziale. Spero che non rifletta un’ostilità che alberga nel mondo interiore del Papa». «Esso rivela – ha continuato il dignitario islamico – un atteggiamento presuntuoso, viziato ed arrogante di chi sa di avere dietro di sé il potere economico dell’Occidente. [...] Anche nei forum islamici che solitamente pubblicano i video e i comunicati di Al Qaida appaiono messaggi aggressivi. Il più significativo, firmato da un certo “Tabarakallah”: «Diciamo a questo Papa quello che ha detto la spada di Allah, Khalid Bin Walid, al capo dei romani: “Noi siamo venuti per bere il sangue dei romani e non troviamo nulla di più buono del sangue dei romani”».

E qui annota Magdi Allam sul Corriere di oggi:

«La lezione da trarre è che l’Occidente e la cristianità la smettano di considerarsi la causa di tutto ciò che succede, nel bene e nel male, in seno all’islam e nel resto del mondo. L’ideologia dell’odio è una realtà ancestrale che esiste in seno all’islam sin dai suoi esordi, per il rifiuto di riconoscere e di rispettare la pluralità delle comunità religiose che sono fisiologiche data la soggettività del rapporto tra il fedele e Dio e l’assenza di un unico referente spirituale che incarna l’assolutezza dei dogmi della fede.

Ma tema del discorso è stato «Fede e ragione» e per questo il rifiuto di ogni fondamento religioso alla violenza e alla intolleranza.
Vale la pena di leggere le parole del Papa, così come sono state pronunciate:

«Nel settimo colloquio l’imperatore [bizantino Manuele II Paleologo] tocca il tema della jihād, della guerra santa. Sicuramente l’imperatore sapeva che nella sura 2, 256 si legge: “Nessuna costrizione nelle cose di fede”. È una delle sure del periodo iniziale, dicono gli esperti, in cui Maometto stesso era ancora senza potere e minacciato. Ma, naturalmente, l’imperatore conosceva anche le disposizioni, sviluppate successivamente e fissate nel Corano, circa la guerra santa. Senza soffermarsi sui particolari, come la differenza di trattamento tra coloro che possiedono il “Libro” e gli “increduli”, egli, in modo sorprendentemente brusco che ci stupisce, si rivolge al suo interlocutore semplicemente con la domanda centrale sul rapporto tra religione e violenza in genere, dicendo: “Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava”. L’imperatore, dopo essersi pronunciato in modo così pesante, spiega poi minuziosamente le ragioni per cui la diffusione della fede mediante la violenza è cosa irragionevole. La violenza è in contrasto con la natura di Dio e la natura dell’anima. [...]
L’affermazione decisiva in questa argomentazione contro la conversione mediante la violenza è: non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio. L’editore, Theodore Khoury, commenta: per l’imperatore, come bizantino cresciuto nella filosofia greca, quest’affermazione è evidente. Per la dottrina musulmana, invece, Dio è assolutamente trascendente. La sua volontà non è legata a nessuna delle nostre categorie, fosse anche quella della ragionevolezza».
Ritorna qui, come si può ben vedere, la convinzione di Tommaso d’Aquino secondo cui umano coincide con ragionevole e con morale.
E questa è la sfida che il Papa lancia al mondo di oggi:

«Si tratta [...] di un allargamento del nostro concetto di ragione e dell’uso di essa.» [...] «Solo così diventiamo capaci di un vero dialogo delle culture e delle religioni – un dialogo di cui abbiamo un così urgente bisogno. Nel mondo occidentale domina largamente l’opinione, che soltanto la ragione positivista e le forme di filosofia da essa derivanti siano universali. Ma le culture profondamente religiose del mondo vedono proprio in questa esclusione del divino dall’universalità della ragione un attacco alle loro convinzioni più intime. Una ragione, che di fronte al divino è sorda e respinge la religione nell’ambito delle sottoculture, è incapace di inserirsi nel dialogo delle culture».

Allora:

«Il coraggio di aprirsi all’ampiezza della ragione, non il rifiuto della sua grandezza – è questo il programma con cui [...] entriamo nella disputa del tempo presente. “Non agire secondo ragione, non agire con il logos, è contrario alla natura di Dio”, ha detto Manuele II, partendo dalla sua immagine cristiana di Dio, all’interlocutore persiano. È a questo grande logos, a questa vastità della ragione, che invitiamo nel dialogo delle culture i nostri interlocutori. Ritrovarla noi stessi sempre di nuovo, è il grande compito dell’università».

Questo è il compito e la sfida che attende tutti noi. Ogni altra lettura parziale non può portare al bene dell’uomo.

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