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Quando la democrazia diventa Moloch

Autore:
Mattioli, Vitaliano
Fonte:
CulturaCattolica.it

Moloch dalle antiche popolazioni medio orientali era considerato una divinità alla quale si offrivano i bambini. Questa pratica era diffusa anche in Israele, nonostante che la legge di Mosè prevedesse la morte di colui che immolava o soltanto consacrava il proprio figlio a Moloch (Lev., 18, 21; 20, 2-5).
La democrazia è ritenuta la forma più valida di governo, tenendo conto che nessuna è la migliore in assoluto. Sorta nel mondo greco, significa “governo del popolo”. Tucidide ci riporta il discorso di Pericle agli ateniesi, nel quale ne dà la definizione: “Noi abbiamo una forma di governo che non guarda con invidia le costituzioni dei vicini… Quanto al nome, essa è chiamata democrazia, perché è amministrata non già per il bene di pochi bensì di una cerchia più vasta” (Storie, II, 37, 1).
Questo ‘governo’ tuttavia il popolo non lo esercita direttamente ma in forma traslata, delegando il potere ad alcuni ritenendoli suoi legittimi rappresentanti mediante normali elezioni. Per cui gli uomini scelti per governare non devono mai dimenticare che non devono far prevalere i propri interessi ma la volontà del popolo che li ha eletti proprio per questo. Il diritto romano aveva la convinzione che il popolo ‘crea’ il diritto (Cfr. Ulpiano, Digesto, I, 4, 1; Giuliano, Digesto, I, 3, 32).
Ci sono alcune conseguenze. Da una parte i governanti non hanno il diritto di far prevalere una propria idea personale, quella di una esigua minoranza, quando invece il popolo ha evidenziato opinioni del tutto diverse. Sarebbe tradire il proprio mandato e la fiducia accordata dal popolo. Dall’altra parte è vero che il popolo ‘crea’ il diritto; ma qui s’intende il diritto positivo. Esiste invece un altro diritto, quello naturale, sul quale né il popolo né i governati hanno potere, ma che devono tutelare e rispettare. Questa legge è scritta nel cuore dell’uomo (cfr. Rom., II, 15) e “non è altro che la partecipazione della creatura razionale alla legge eterna” (Summa Th., I-II, q. 91, a. 2). Aristotele, riferendosi alla città, mette insieme questi due aspetti: “La felicità si realizza solo con la virtù e che si può dichiarare felice una città tenendo presente non soltanto una parte di essa, ma tutti i cittadini” (Politica, VII, 1329 a). Nel contesto religioso abbiamo almeno due conferme. Una viene da una frasetta introduttiva ai Dieci Comandamenti: “Io sono il Signore tuo Dio” (Es., XX, 2), quel Dio che ti ha creato e ti ha fatto uscire dall’Egitto. Devi modellare la tua vita su queste norme semplicemente perché sono IO a dartele. Il che significa che esiste una normativa pre-umana, divina, sulla quale l’uomo non deve mettere le mani ma solo accettarla e viverla. L’altra è tratta dalla lettera di S. Paolo ai Romani: “Non c’è autorità se non da Dio” (Rom., XIII, 1). Il che significa che la fonte di ogni autorità è divina; per questo deve modellare la sua legislazione umana (positiva) su quella divina (naturale).
Del resto non c’è bisogno di scomodare la Bibbia per comprendere questo principio elementare. Già sei secoli prima dei Comandamenti, il re Hammurabi nel Prologo al suo Codice legislativo, in due passi aveva ribadito questi concetti. “Io Hammurabi, principe devoto, che onora gli dei al fine di instaurare la legalità nel suo paese…”, dove ‘devoto’ significa ‘religioso’. Questo significa riconoscere una divinità sopra di lui, alla quale prima di tutto deve ‘ossequio’ (virtù della religione) per poter governare con saggezza il popolo. Il Prologo conclude: “Dal momento che Marduk mi ha ordinato di guidare il popolo con giustizia, di instaurare nel paese una condotta morale, allora io ho stabilito l’equità e la giustizia nel paese e ho apportato benessere al popolo nel tempo del mio regno”. In queste righe Hammurabi riconosce che il suo potere gli è stato conferito dal dio Marduk, ma non per suoi interessi personali bensì per realizzare il bene del popolo secondo giustizia instaurando un comportamento la cui moralità non la stabilisce lui ma la divinità, fonte della norma morale. Qualche secolo dopo Tucidide ci riporta un discorso del generale greco Nicia (470-413) nel quale dice di stesso: “sono vissuto osservando molte pratiche religiose verso gli dei” (Tucidide, Storie, VII, 77, 2). Questo è l’onore più grande per un governante.
A base della legge naturale, primaria normativa morale, c’è il profondo rispetto per le persone e per la loro dignità di esseri ‘umani’. Senza il riconoscimento del primato della legge naturale le democrazie sono condannate ad essere poco più di una tirannia della maggioranza o di una minoranza capricciosa al potere che vuole ‘imporre’ le proprie regole di vita.
Ai giorni nostri si assiste con molto rammarico alla dissacrazione di questi principi elementari. Senza elencare i singoli casi nei quali a livello legislativo si obliterano tali punti di riferimento, mi fermo ad analizzare il caso ‘Olanda’ per quanto riguarda il c.d. partito dei pedofili. Il tribunale dell’Aja ha recentemente respinto il ricorso di alcune associazioni che chiedevano che tale nuovo partito fosse bandito dalla società olandese. Motivazione: “La libertà di espressione, di riunirsi, inclusa la libertà di organizzarsi in un partito politico, sono le basi di una società democratica”. Il Presidente della Corte, giudice Hofhuis, ha inoltre stabilito che tale partito “non ha commesso un crimine, ma chiede solo una riforma costituzionale” (Crf. Marina Corradi, “Cade l’ultimo tabù”, in Avvenire, 18 luglio 2006, p. 1).
Nessuno nega il fatto di poter fondare un partito politico. Ma sorge una domanda iniziale: quanto di ‘politico’ c’è nel partito dei pedofili? Finora a livello legislativo si era salvato un principio basilare: l’inviolabilità dell’infanzia. Ora si vuol abrogare anche questo. L’Europa moderna mai si era spinta fino a questo punto. Contro la vita incipiente si è ammesso tutto: dallo sfruttamento e manipolazione degli embrioni fino alla loro soppressione in laboratorio o nel corpo della mamma che doveva essere invece il rifugio sicuro e tranquillo, che nessuno poteva violare. Adesso invece non solo si viola l’infanzia, ma questo si vuol far passare come ‘legittimo’, cosa di ‘normale’ amministrazione. Ecco perché la Corradi ha scritto: “Cade l’ultimo tabù”. Ecco perché il giudice ha definito “non crimine” tale comportamento.
Possibile che solo Cristo ha difeso l’infanzia con la famosa condanna circa lo scandalo ai bambini: “Se uno sarà di scandalo a uno di questi piccoli che credono in me, è meglio per lui che gli sia legata al collo una molo d’ asino e sia precipitato nel fondo del mare” (Mt., XVIII, 6)?
Se la base della democrazia è la facoltà di potersi radunare in partiti, è anche vero che la democrazia non è un assoluto, non è un Moloch al cui dispotismo si possono sacrificare impunemente i bambini. Guai quando la democrazia viene ritenuta un Moloch.
Purtroppo questo capita quando rifiutando la legge naturale assoluta, si assumono come linea di comportamento ‘opinioni’ umane soggettive. Andando al di là del principio di bene e di male, ci si situa in un orizzonte a-morale, privo di fondamenta oggettive e di punti di riferimento. Si rimane imprigionati nel relativismo. Privato di valori assoluti, l’uomo rimane vittima del proprio capriccio o dell’arbitrio di alcuni che prepotentemente, brutalmente, in qualunque modo vogliono imporre il loro modo capriccioso di vivere obbligando gli altri ad accettarlo come legittimo.
Da questi comportamenti anarchici, vissuti contro la virtù, non si può pretendere che scaturisca la felicità di una nazione, come già ammoniva Aristotele. Scendendo sempre più in basso, l’essere umano si disumanizza ponendosi ad un livello inferiore degli stessi animali. Ancora Aristotele ci illumina: “L’uomo che, se ha realizzato i suoi fini naturali, è il migliore degli animali, quando non ha né leggi né giustizia è il peggiore… Perciò senza virtù l’uomo è il più empio e il più feroce degli esseri” (La Politica, I, 1253 a).
Platone ci invita a meditare sui disastri che possono scaturire da queste scelte: “L’insaziabilità di libertà e la noncuranza del resto non mutano anche questa costituzione e non la preparano a ricorrere fatalmente alla tirannide?... Finiscono con il trascurare del tutto le leggi scritte o non scritte per essere assolutamente senza padroni… Ecco dunque l’inizio, donde viene la tirannide… L’eccessiva libertà non può che trasformarsi in eccessiva schiavitù” (La Repubblica, VIII, 562 c, 563 d, 564 a).
Esiste una tirannide politica, forma di governo, ma esiste una tirannide peggiore, la dittatura del pensiero, quando alcuni vogliono per forza esigere che la collettività accetti come leciti e normali i loro costumi ed abitudini di vita. L’Europa purtroppo sta avvicinandosi verso questa forma di tirannide.

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