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Adottare gli embrioni, i fondi americani e le perplessità italiane

Autore:
Morresi, Assuntina
Fonte:
Il Foglio 13.5.2005

Da queste parti c’è chi li chiama riccioli di materia, per dire che sono poco più di niente. Oltreoceano invece c’è chi pensa che “come un fiocco di neve, ognuno di questi embrioni è unico, con il potenziale genetico unico di un essere umano individuale”: è George W. Bush, che nel 2002 ha stanziato un milione di dollari per la campagna “adotta un embrione”. In effetti non si può rimanere indifferenti di fronte alle fotografie che scorrono sul computer: bambini belli e sorridenti, ma che sappiamo essere sopravvissuti a una lunghissima gravidanza innaturale, per mesi e mesi sospesi in un utero artificiale di azoto liquido, a 200 gradi sotto zero, scampati agli esperimenti di laboratorio. Bambini vivi.

Dal punto di vista tecnico, ben poco di nuovo: embrioni congelati sono disponibili fin dagli anni 80, e dai 90 in molti centri di fertilità oltre alla donazione di gameti si prevede quella di ovuli fecondati, cioè di quegli embrioni “avanzati” da trattamenti di fecondazione in vitro e successivamente congelati per un tempo indefinito.

La novità viene proprio da quella parola, “adotta”. All’annuncio della campagna è scoppiata una guerra mediatica, che ha visto in prima fila molte associazioni abortiste: Kate Michelman, presidente della National Abortion and Reproductive Rights Action League temeva che questa fosse la svolta per equiparare i diritti degli embrioni a quelli dei bambini, mentre Suzanne Martinez, dirigente della Planned Parenthood Federation of America, ha dichiarato che “il tentativo di cambiare il vocabolario riguardo agli embrioni è parte di una strategia più ampia volta a elevare il feto a ‘personalità’”.

L’analogia fra embrioni e fiocchi di neve non era casuale: l’agenzia californiana “Nightlight Christian Adoption” – in opera dal 1959 nel settore delle adozioni nazionali e internazionali – dal 1997 ha esteso la propria attività agli embrioni congelati, adottando lo “Snowflakes (fiocchi di neve) Frozen Embryo Adoption Program”, in cui per la prima volta sono state utilizzate per gli embrioni le stesse procedure seguite per l’adozione di bambini. Ed è il programma Snowflakes ad aver ricevuto il contributo più sostanzioso dall’amministrazione americana: 500.000 dollari nel 2002 e 329.000 nel 2004, assegnati per motivi ideologici, denuncia Arthur Caplan, direttore del Centro di Bioetica dell’Università della Pennsylvania, a Filadelfia.

In un certo senso Caplan ha ragione: pur avendo usufruito del finanziamento anche organizzazioni che promuovono sia la donazione che l’adozione di embrioni, o che addirittura sostengono, come la Resolve, la ricerca sulle cellule staminali embrionali, qualora non si trovi altra collocazione per gli embrioni “sovrannumerari”, hanno fatto la parte del leone i fiocchi di neve della Nighlight Cristian Adoption, unica – fra le associazioni finanziate – estranea al circuito medico legato a problemi di fertilità e dedita esclusivamente a programmi di adozione. La filosofia del programma è semplice.

L’ha spiegata JoAnn Eiman, illustrando Snowflakes nel corso del programma televisivo C4 News, lo scorso anno: “Non penso che gli embrioni possano essere trattati in modo diverso dai bambini. Se una vicina viene da te, ha sette bambini, e dice: ‘Realmente non possiamo dare loro da mangiare, e quindi due ne doniamo alla ricerca, due li distruggiamo, due li stiamo per congelare e l’ultimo lo teniamo, solo quel bambino’, quale sarebbe la tua risposta?”.

Snowflakes prevede innanzitutto la verifica dei requisiti delle famiglie che chiedono l’adozione, includendo ovviamente per le donne quelli fisici necessari per portare a termine una gravidanza. Le famiglie genetiche esprimono delle preferenze riguardo alle caratteristiche delle famiglie adottive, compresa la possibilità di poterci entrare in contatto. Per l’adozione è preferita una famiglia rispetto alle madri single, e sono esclusi gli omosessuali. La famiglia adottiva si impegna inoltre a non ridurre il numero di feti nel caso di gravidanze gemellari, e per questo viene consigliato di impiantare al massimo tre embrioni per ogni tentativo.

Pur affermando di venire incontro al desiderio di coppie con problemi di fertilità, l’organizzazione che supporta Snowflakes afferma esplicitamente di non incoraggiare in alcun modo la produzione di embrioni sovrannumerari ma di tentare una soluzione a un problema pre-esistente, ovvero quello degli embrioni inutilizzati.

Dall’inizio del programma fino al dicembre 2004, per 199 famiglie genetiche che hanno scelto 130 famiglie adottive, sono nati 67 bambini. Le gravidanze ancora in corso nello scorso dicembre erano 14. Gli embrioni congelati negli Usa sono circa 400.000.

E’ dell’inizio di marzo la notizia che anche in Europa si sta dando corso all’adozione di embrioni: a Barcellona l’Istituto Marques della clinica Cima ha dato il via a un programma di adozione per sottrarre gli embrioni congelati all’utilizzo in laboratorio, o comunque a morte sicura per congelamento perpetuo. Le gravidanze in atto sono già 14. Don Oreste Benzi è un convinto sostenitore dell’iniziativa, mentre le posizioni ufficiali della Chiesa cattolica sembrano attestarsi su una certa prudenza, quando non diffidenza. Monsignor Elio Sgreccia insieme ad Angelo Fiori fin dal 1996 esprimeva perplessità a proposito, soprattutto perché “ogni soluzione che si intende proporre per la salvezza di questi embrioni non dovrebbe mai costituire una giustificazione ex post di quei procedimenti di procreazione artificiale che hanno prodotto il surplus di embrioni e il loro congelamento. Per evitare questa ambigua pseudogiustificazione, nel momento in cui si decidesse di dar corso alla cosiddetta adozione degli embrioni congelati, si dovrebbe (anche per dovere deontologico oltre che per istanza etica) stabilire il divieto di proseguire nel congelamento, tanto più che tale congelamento può di fatto essere evitato come prevede e auspica anche il Comitato nazionale per la Bioetica. (…) Anche altri sono i gravi problemi della donna ‘adottante’. (…) Bisognerà decidersi a stabilire a cosa serva la bioetica. Forse a dare copertura a qualsiasi manipolazione? A pagare qualsiasi prezzo per giustificare ogni perversa conseguenza degli atti biomedici inziali?”. Tuttora monsignor Sgreccia giudica questa procedura auspicabile, ma poco praticabile.

Una recente dichiarazione sullo stesso argomento rilasciata all’agenzia Zenit dalla dottoressa Navarini, docente della facoltà di Bioetica all’Ateneo pontificio Regina Apostolorum, ribadiva sostanzialmente gli stessi concetti: un atto di per sé buono come l’adozione di embrioni, all’interno di una logica innaturale quale quella della fecondazione in vitro e del congelamento degli embrioni inutilizzati, può avere conseguenze comunque negative, e non sempre prevedibili. Effettivamente molti centri di fertilità offrono programmi sia di adozione che di donazione di embrioni, sottolineandone il costo minore rispetto a un ciclo di inseminazione artificiale, senza prevedere alcuna limitazione a ulteriori congelamenti di embrioni in sovrannumero, avallando in sostanza l’intera procedura di fecondazione artificiale, e spesso non escludendo esplicitamente la “donazione” a fini di ricerca.

Il programma Snowflakes, invece, nell’ottica di una identificazione assoluta fra embrione e persona, sembra offrire maggiori garanzie; soprattutto, come gli stessi operatori ammettono, “Snowflakes ha usato il suo programma di adozione anche per influenzare il dibattito attuale, nei corridoi del potere di Washington, sul diritto alla vita, sull’aborto, e in particolare riguardo alla ricerca sulle cellule staminali embrionali”.

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