Un programma da bocciare
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«Investire sui giovani è la scelta della nuova Italia». Siamo d'accordissimo. «In una società dell'informazione e del pluralismo culturale quale è la nostra, la scuola deve essere il perno del sistema formativo, dando spazio alle differenti metodologie dell'apprendimento, dando fiducia alle diverse capacità e modalità di crescita delle persone». Come non essere d'accordo? Soprattutto sulla seconda parte, che esalta le «differenti metodologie dell'apprendimento» e che scommette sulle «diverse capacità e modalità di crescita delle persone?». Di più, «dovremo promuovere l'istruzione scientifica e tecnica, mettere in comunicazione la scuola e il mondo, l'istruzione e il lavoro, innalzare ed estendere il livello d'istruzione del Paese per essere competitivi in Europa e nel mondo»: da non credere ai propri occhi, ma non abbiamo visto per cinque anni stracciarsi le vesti a ogni accenno di rapporto fra scuola e lavoro, bollato come sottomissione della cultura ai biechi interessi dei padroni? «Un ruolo centrale avranno gli insegnanti, la cui professione riveste un ruolo strategico per il Paese. Vogliamo rendere l'insegnamento una scelta appetibile per i migliori talenti, uomini e donne, così che la qualità della scuola possa beneficiare della loro formazione e qualificazione». Sembra di leggere il distillato di cinque anni di dichiarazioni della Moratti, vuoi vedere che la sinistra ha messo giudizio, che finalmente la povera scuola italiana avrà un po' di continuità, che i cambiamenti che tra infinite resistenze sono stati avviati dal governo del Polo potranno proseguire, che il Moloch di viale Trastevere davvero si piegherà a valorizzare i tentativi di chi ogni giorno nella scuola vive e lavora? Ahimè, il seguito della lettura del programma dell'Unione spazza ogni illusione. Secondo il noto metodo tanto ben esemplificato da Orwell ne La fattoria degli animali, la seconda parte della frase può tranquillamente contraddire la prima, senza che nessuno si sogni di rilevare incongruenze.
Conferenze territoriali apposite
«Per rilanciare la scuola sfrutteremo la sua forza principale, quella dell'autonomia. La progettualità e l'innovazione che vengono dal territorio sono risorse preziose, cui dovremo dare spazio, accogliendo il dibattito culturale e le sperimentazioni coraggiose». Cosa si può volere di più? E cosa si fa per valorizzare l'autonomia? Ovvio, si propone l'istituzione di «Conferenze territoriali apposite» che consentirebbero «un esercizio democratico ed efficace delle competenze dei Comuni, delle Province e delle Regioni, in particolare per quanto concerne i piani di organizzazione della rete scolastica, gli interventi integrati di orientamento scolastico e professionale, le azioni a sostegno della continuità e della prevenzione della dispersione scolastica». Chiaro, no? Le scuole sono autonome, e la loro autonomia va governata da appositi parlamentini, mica che qualcuna si sogni di fare davvero da sé. Senza scomodare il "centralismo democratico", basta ricordare che l'introduzione dell'autonomia, nel 1999, è stata accompagnata dall'istituzione di appositi "nuclei di supporto" alla medesima, che in questi anni si sono premurati di indicare sicuri cammini alle scuole disorientate. Orfana degli organismi di "partecipazione democratica" inventati nel 1974 (ricordate i "Consigli scolastici distrettuali"?), sorda alla lezione del loro fallimento, la sinistra illuminata ne propone la riedizione aggiornata.
Libertà vigilata
Le "Conferenze di scuola" non sono peraltro l'unico parlamentino proposto da Prodi & C. Subito dopo infatti si afferma che «dobbiamo garantire a tutti i docenti la libertà di insegnamento prevista dall'art. 33 della Costituzione. Solo tramite tale libertà si promuove infatti la piena formazione della personalità degli alunni. È necessario, pertanto, che a livello regionale e nazionale siano costituiti organi di rappresentanza e garanzia dell'autonomia della libertà di insegnamento». Più orwelliano di così: tutti devono essere liberi, quindi occorre un soviet che dica cos'è questa libertà. Pensate cosa succederebbe alla povera Angela Pellicciari in un tale regime.
Autonomi da che cosa?
Proseguiamo. L'apertura più significativa della legge 53 all'autonomia scolastica sta nella possibilità riconosciuta alle scuole del primo ciclo di organizzare il tempo scuola in modo flessibile, d'accordo con le richieste delle famiglie e le caratteristiche del territorio. Cosa risponde l'Unione? «Vanno eliminate le riduzioni dell'orario di tutti apportate dalla Moratti. Puntiamo alla valorizzazione del tempo pieno e del tempo prolungato, ripristinandone la normativa nazionale». Autonomia?
Chissenefrega della Lombardia
Secondo ciclo? Non ci sono dubbi, la valorizzazione delle «differenti metodologie dell'apprendimento» e delle «diverse capacità e modalità di crescita delle persone» (vedi sopra) passa attraverso l'abolizione della possibilità offerta dalla legge Moratti di assolvere il diritto-dovere anche nell'istruzione e formazione professionale: fino a 16 anni tutti a scuola. Quelli che non riescono a stare nei banchi, poi, avranno un loro monte-ore delegato ai centri di formazione professionale, secondo il modello già sperimentato con esiti fallimentari in Emilia e in Toscana. L'idea che la formazione tecnica, la formazione professionale abbiano una propria dignità culturale, siano un percorso attraverso il quale un ragazzo può aprirsi alla totalità del mondo, come già avviene oggi in Lombardia, in Piemonte, in Veneto - è un fatto, da toccare con mano, non un'idea - non sfiora nemmeno i difensori dei lavoratori.
Tutti di ruolo
Dulcis in fundo, gli insegnanti. «Sono - ovviamente - necessarie politiche di valorizzazione della professionalità di chi opera nella scuola». Quali? Il «rilancio di un sistema della prima formazione, del reclutamento, della formazione in servizio». Come? Non è detto. La «lotta ad ogni forma di precarietà», ovvio, con l'immediata immissione in ruolo di coloro che già lavorano nella scuola. E naturalmente l'aumento «delle retribuzioni di tutto il personale al livello dei Paesi europei». Chi sarebbe contrario? Ma, di grazia, con quali risorse? Si rende conto qualcuno che l'aumento di un euro netto al mese a ogni dipendente di viale Trastevere implica un esborso di 24 milioni di euro all'anno? Che cento euro - non gran cosa rispetto alle promesse - fanno 2 miliardi e 400 milioni? Non una parola, naturalmente, sull'ipotesi di legare gli aumenti alla valutazione delle reali capacità professionali, dell'impegno, dei risultati. Peccato. Perché anche a sinistra non tutti ragionano così. Domenico Chiesa, presidente del Cidi, Fiorella Farinelli, responsabile scuola della Margherita, hanno espresso posizioni più articolate, più realistiche, più aperte a una pluralità di percorsi, sia nella scuola, sia per lo sviluppo della professionalità degli insegnanti. Sarà possibile ragionare con loro? O bisognerà arrendersi ai diktat rifondaroli e cigiellini che evidentemente hanno dato forma al programma?