Il Giubileo straordinario della misericordia per avere il cuore libero e presso Dio

Lettera Pastorale di +Francesco Cavina, Vescovo di Carpi
Fonte:
CulturaCattolica.it
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Avere il cuore libero e presso Dio Il Papa indicendo l’Anno Santo della Misericordia ha ricordato che la Chiesa è chiamata “a rendere più evidente la sua missione di essere testimone della misericordia”. Ciò avviene specialmente attraverso il Sacramento della Penitenza (Confessione), uno dei sette sacramenti i quali non sono un’invenzione degli uomini, ma sono stati istituti da Cristo e proprio per questo chi fa e dà valore ad essi è il Signore stesso. Dove essi vengono celebrati là convengono il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, esattamente come avveniva nella vita di Cristo che si svolgeva in intima comunione con il Padre, per l’opera dello Spirito Santo.
Possiamo affermare che in ogni sacramento accade un miracolo perché si rende presente Gesù che con il suo amore guarisce, riconcilia, rinnova, ricrea, fa progredire nella via dell’amore verso Dio e i fratelli. Ci sono miracoli che sono percepibili dai nostri sensi e nei quali appare chiaramente la gloria di Dio e che suscitano stupore e, a seconda, adesione o rifiuto. Pensiamo, ad esempio, ai miracoli compiuti da Gesù o da tanti santi o al santuario di Lourdes… Ma ci sono anche miracoli che non si vedono e che sfuggono a qualsiasi percezione e che, tuttavia, hanno un immenso valore. Sono i miracoli interiori tra i quali, ad esempio, la presenza di Dio nella vita del cristiano. Uno di questi miracoli avviene nel sacramento della Riconciliazione (Confessione) dove “siamo toccati con tenerezza dalla mano di Dio e plasmati dalla sua grazia” (Papa Francesco, Omelia del 13 febbraio 2015). I Sacramenti, infatti, sono presenza viva di Cristo nel tempo, di Cristo che agisce ed opera ora nella sua Chiesa.
Quando Gesù ha istituito la Confessione? Noi conosciamo il giorno preciso e persino l’ora approssimativa della istituzione del sacramento della Riconciliazione. Cristo, il giorno della sua resurrezione, verso sera, apparve a porte e a finestre serrate nel cenacolo e disse agli apostoli: “Come il Padre ha mandato me, così io mando voi. Ricevete lo Spirito Santo. A chi perdonerete i peccati saranno perdonati, a chi non li perdonerete non saranno perdonati” (Vangelo secondo Giovanni 20.19-23).
Gesù sta per concludere la sua missione e, prima di separarsi dai suoi discepoli, affida loro e ai loro successori il potere di rimettere i peccati (ministero della misericordia). Appare evidente che questo “potere” non ha un’origine umana, ma sgorga dalla Parola di Cristo e dal dono dello Spirito Santo. In tale modo attraverso i suoi ministri, Gesù continua ad “essere perdono” per gli uomini di tutti i tempi.
Il Signore non si stanca di perdonare, mentre noi troppo spesso ci stanchiamo di chiedere perdono.
Perché Gesù ha istituito questo sacramento? Gesù sa che ciò che si oppone alla nostra felicità e alla nostra piena maturazione umana e cristiana è il peccato, il quale più che un’azione è un atteggiamento del cuore. Infatti le nostre azioni, come insegna Gesù, rivelano il nostro cuore (cfr. Vangelo secondo Matteo 15, 18-19).
La Parola di Dio per descrivere gli effetti devastanti che il peccato provoca nella vita della persona, della Chiesa e della convivenza umana si serve di immagini. Il peccato è lebbra dell’anima, tradimento dell’amicizia di Dio, peso che schiaccia, azione mancata, vuoto, delusione, perdita dello scopo della vita, ingratitudine, ingiustizia, smarrimento, lontananza da Dio e dai fratelli, menomazione di vita… Appare evidente che il peccato intacca non solo le mie relazione con il Signore e con i fratelli, ma ha ricadute drammatiche sulla mia stessa esistenza perché contribuisce a spegnere in me l’immagine di Dio che è la Vita, la Luce, l’Amore, il Bene e così mi pone su una strada che conduce all’infelicità, alla solitudine e alla morte. Si può veramente dire che ogni peccato mortifica la mia dignità e la mia piena maturazione.
Obiezioni contro il Sacramento della Riconciliazione
1. Un’obiezione molto diffusa contro la Confessione è espressa con queste parole: “Perché devo andare da un prete, un uomo come me, per dirgli i fatti miei? Io mi confesso direttamente a Dio”.
Ragionare in questo modo significa non dare credito alle parole di Gesù Cristo il quale ha trasmesso la ricchezza della sua misericordia alla Chiesa perché le donne e gli uomini di ogni tempo potessero sentire ripetere sulla loro vita le consolanti parole del Signore: Coraggio, figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati (Vangelo secondo Matteo 9.2). Il Sacramento della Riconciliazione, dunque, mi offre la certezza del perdono. Diversamente mi comporterei come quel tale che caduto in un lago, rifiutò i 6 soccorsi dicendo: “Io mi salvo da solo”, e per salvarsi incominciò a tirarsi su per i capelli, ma annegò.
Non è il sacerdote che concede il perdono. Il sacerdote è uno strumento umano che presta le parole a Cristo. Chi perdona è solo il Signore Gesù.
La confessione, pertanto, non va confusa con una seduta psicanalitica, così come va nettamente distinta la figura del confessore rispetto a quello dello psicologo.
I miei peccati, inoltre, come abbiamo visto, non feriscono solo il mio rapporto con Dio, ma anche quello con i fratelli. Nella Chiesa, poiché siamo un solo corpo, siamo anche membra gli uni degli altri.
Se mi pesto un dito è tutto il mio io che soffre.
Allo stesso modo quando io commetto il peccato colpisco tutto il corpo della Chiesa. Pertanto, è giusto che io per ottenere il perdono di Gesù chieda perdono anche a tutta la Chiesa, rappresentata dal sacerdote, che è stata ferita dal mio peccato.
Infine, quando c’è di mezzo la salute fisica non ho ritegno a raccontare al medico tutte le miserie del mio corpo, anche quelle più ripugnanti.
Sorge spontanea una domanda: “Perché sono così restio a fare altrettanto con il medico della mia anima, il sacerdote che è ministro di Dio?”. La confessione è guarigione dell’anima e del cuore perché attraverso di essa entro in relazione con Cristo, medico dei corpi e delle anime.
Il celebre scrittore inglese Chesterton affermava: “Io dall’Anglicanesimo mi sono convertito al Cattolicesimo per liberarmi dai miei peccati: perché non vi è altra religione che sostenga con verità di rimettere i peccati degli uomini. Un cattolico che va alla confessione, rientra, nel vero senso della parola, nel chiaro mattino della sua giovinezza” (in, Perché sono cattolico ed altri scritti, Milano 1996).
A lui fa eco un convertito di oggi, Leonardo Mondadori, che ha scritto: “L’ho già detto, ma mi preme ripeterlo: la confessione ben fatta, sincera, completa, è tra le maggiori fonti di gioia che un uomo possa sperimentare. Hai la certezza di essere riaccolto nella casa del Padre: riconciliato con Lui, con te stesso, con gli altri… Non mi basta fare i conti a tu per tu con Dio. Ho bisogno di quello strumento umano, che mi testimonia il perdono e la misericordia divina, che è il sacerdote. Naturalmente è una gioia che nasce dalla sofferenza che costa il mettersi così a nudo, nella nostra miseria” (in Conversione, una storia personale, Mondadori 2002).
2. Un’altra obiezione viene espressa con queste parole: “Io non ho bisogno di confessarmi perché non ho peccati. Non ho ammazzato, non ho rubato e non 8 9 ho fatto del male a nessuno”. La Parola di Dio ci insegna che tutti pecchiamo, tutti abbiamo delle oscurità nella nostra vita: “Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. E se diciamo che non abbiamo peccato facciamo di Gesù un bugiardo e la sua parola non è in noi” (Prima lettera di san Giovanni apostolo 1.8-10).
Importanza del Sacramento della Riconciliazione La risposta a questa importante questione la lascio dalla splendida testimonianza di tre giovani: Prima testimonianza La confessione non è un sacramento superato perché ognuno di noi quando pecca e si sente pesante dentro, ha bisogno di svuotarsi. La confessione è diventata per me un appuntamento fisso. Se non mi confesso una volta al mese, minimo, non mi sento al 100%.
Penso che la confessione debba essere vista da un altro punto di vista, non come quei dieci minuti dove al prete si racconta una storia, bensì un incontro con Gesù che rinnova dal profondo…
”.
Seconda testimonianza Quando torno dall’incontro con Gesù nella confessione, mi sento come un uccello uscito dalla gabbia… La confessione mi aiuta anche a migliorare personalmente.
Senza la confessione io non sarei me stesso, ma uno dei tanti. Che bello potere essere se stessi”.
Terza testimonianza “Secondo me la confessione non è un sacramento superato perché non può essere superato ciò che ti porta gioia e felicità”.
Queste testimonianze ci mostrano una semplice verità: solo il peccato confessato ed il conseguente perdono hanno il potere di guarire l’animo umano.
Leggendo il Vangelo noi possiamo vedere che Gesù, vero Dio e vero Uomo, non “affonda” nessuno perché è venuto per salvare e aspetta ognuno di noi per perdonarci, sempre. Anche se domani mi comporto male come oggi.
C’è un solo peccato che il Signore non può perdonare: diffidare del suo amore, quasi che Egli non sia in grado di oltrepassare immensamente qualsiasi malvagità. Scrive l’evangelista Giovanni: “Qualunque cosa il nostro cuore ci rimproveri, Dio è più 11 grande del nostro cuore” (Prima lettera di san Giovanni apostolo 3.20). Il Papa così commenta queste parole: “Ogni volta che noi ci confessiamo Dio ci abbraccia, Dio fa festa” (Udienza Generale 14 febbraio 2014).
Il perdono che il Signore offre ha il potere di cambiare anche ciò che è umanamente impossibile: il passato. Il Catechismo per spiegare i frutti del sacramento della Riconciliazione usa queste parole: la Confessione mi permette di “ricominciare sempre da capo; senza più i fardelli e le ipoteche di ieri, con nuova forza. Chi si è confessato apre una pagina nuova e bianca nel libro della propria vita” (YouCat 226).
Il Signore, perdonandoci, cambia il nostro cuore, come promette per bocca del profeta Ezechiele: Darò loro un cuore nuovo e metterò dentro di loro uno spirito nuovo; toglierò dal loro petto il cuore di pietra e darò loro un cuore di carne (11.19). Il perdono apre, dunque, il cuore sulla prospettiva di un amore interamente rinnovato. Per questa ragione, dice Gesù: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Vangelo secondo Giovanni 14.23).
Si tratta non solo di belle parole! Gesù descrive una realtà! Se io amo Dio e i fratelli, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo prendono dimora nel mio cuore e io posso vivere in amicizia con loro e quindi non sentirmi mai solo. Dio abita dappertutto e noi possiamo pensare il mondo intero come una grande Chiesa, tuttavia il cuore di ogni battezzato quando è rinnovato dal perdono è come il tabernacolo della Chiesa. Lì Dio abita in modo del tutto misterioso e speciale.
La mia parte nella confessione Come ci si confessa? Il discepolo di Cristo che, mosso dallo Spirito Santo, dopo il peccato si accosta al sacramento della Penitenza, deve innanzitutto rivolgersi con tutto il cuore a Dio. Il “volgersi” al Signore si esprime attraverso delle azioni concrete che sono il segno della conversione di tutto il cuore a Dio.
Esame di coscienza E’ necessario fare precedere la confessione dall’Esame di coscienza che consiste nel mettermi davanti a Dio con verità, senza “truccarmi”, senza bugie perché Dio mi aspetta non per castigarmi, ma per perdonarmi e offrirmi una nuova vita, nuovo slancio, una gioia nuova. Esso è un tempo di seria preparazione che, alla luce dell’esempio e dell’insegnamento di Gesù, comporta un’accurata e sincera analisi, senza maschere e senza paure, dei pensieri, parole, azioni, atteggiamenti nei confronti di Dio, degli altri e di me stesso, letti alla luce della Parola di Dio o dei dieci comandamenti. Diversamente corro il pericolo di limitarmi a confessare solo i peccati che io giudico tali.
Per fare un buon esame di coscienza, dunque, è necessario porsi le seguenti domande: la mia vita rispecchia la vita di Gesù? Ho un rapporto con Dio come Lui? Agisco come Lui agirebbe se fosse al mio posto? Vedo le persone e le cose come le vede Lui? Parlo come parlerebbe Lui? Tratto le persone come le tratterebbe Lui? Nell’esame di coscienza troppo spesso io trascuro di prendere in considerazione i “peccati di omissione”.
La parola “omissione” significa non fare; avevo l’opportunità di aiutare un povero che aveva fame, di visitare una persona sola, di confortare un ammalato, di consigliare chi si trovava nel dubbio, di ringraziare per il bene ricevuto… e non l’ho fatto.
Dolore per i propri peccati All’esame di coscienza fa seguito il dolore per avere offeso Dio, i fratelli e la dignità stessa della nostra persona e il proposito di non più peccare. Il dolore non è da confondersi con un atteggiamento di afflizione permanente o con un incessante stato di rimorso o tormento dell’anima. Il pentimento per i peccati commessi ci spinge a buttarci fra le braccia di Dio per sperimentare il miracolo del suo amore e il gusto e la gioia del perdono. In una parola il pentimento è rifiuto del passato e deciso orientamento verso Dio.
Davanti al sacerdote l’accusa dei peccati Il sacramento della Riconciliazione inizia con il segno della Croce. In esso si realizza un incontro con il Padre che accoglie il figlio pentito che fa ritorno a Lui, con Gesù Cristo che si pone sulle spalle la pecora smarrita per riportarla all’ovile, e con lo Spirito Santo che santifica nuovamente l’uomo o intensifica in esso la sua presenza.
Dopo l’invito del sacerdote occorre dire da quanto tempo non ci si accosta a questo sacramento ed iniziare l’accusa dei peccati. La confessione è il proseguimento esterno del dolore. Non è introspezione psicologica o pura autocritica. E’ un atto di culto mediante il quale rendo gloria a Dio, ed è segno della mia fede nella presenza di Cristo per mezzo della Chiesa. L’accusa dei peccati richiede coraggio perché non bisogna nascondere nessun peccato per vergogna o per timore di quello che il sacerdote potrebbe pensare. E’ bene, pertanto, andare subito al nocciolo della questione e cominciare da ciò che maggiormente mi pesa. Quando sono reduce da una lunga camminata con un pesante zaino sulle spalle, giunto alla meta la prima cosa di cui mi libero è il carico più pesante, lasciando per ultime le più leggere.
Tuttavia, se mi avvicino al sacramento con fiducia e amore, con umiltà e confidenza, “dire i peccati” diventa un autentico bisogno dell’anima in quanto si sente “la voglia” di venire abbracciati e perdonati dal Signore, come il figlio prodigo davanti a suo padre, come Pietro davanti a Gesù.
Dopo la confessione esprimo il mio dolore, con una preghiera, che qualora non ricordassi non devo preoccuparmi perché posso chiedere l’aiuto del sacerdote.
La penitenza Al termine della confessione il sacerdote mi indica ciò che viene chiamata penitenza o riparazione del peccato, che fa parte del sacramento stesso. Essa non è una punizione, ma il segno e l’espressione concreta della mia volontà di iniziare una vita nuova.
“Dimentico del passato” (Fil 3.13) mi inserisco con rinnovato impegno nel mistero della salvezza e mi assumo la responsabilità “dello splendore della testimonianza cristiana”. Si può affermare che la penitenza è un rimedio del peccato, una medicina efficace con cui si cura il male.
L’assoluzione La confessione termina con l’Assoluzione, vale a dire con il Perdono di Dio e della Chiesa per i peccati commessi. La parola “assoluzione” significa sciogliere. Le parole usate per l’assoluzione sono queste: Io ti assolvo dai tuoi peccati, nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
Nel pronunciare queste ultime parole, il sacerdote traccia il segno di croce. La formula dell’assoluzione indica che la riconciliazione viene dalla misericordia del Padre; fa vedere il legame fra la riconciliazione del penitente e il mistero pasquale di Cristo; sottolinea l’azione dello Spirito Santo nella remissione dei peccati; mette in luce infine l’aspetto ecclesiale del sacramento per il fatto che la riconciliazione con Dio viene richiesta e concessa mediante il ministero della Chiesa.
Da ultimo è importante prendersi personalmente un impegno concreto tra una confessione e l’altra. Se sono veramente pentito desidero anche cambiare vita, camminare in novità di vita. Cosa significa prendere misure concrete? Ad esempio, se prego poco mi impegnerò ad essere più fedele alla preghiera; se sono particolarmente irascibile controllerò le mie reazioni; se sono goloso cercherò di essere più moderato nel cibo; se bestemmio sarò vigilante sull’uso della lingua; se critico gli altri correggerò questo terribile difetto; se sono poco generoso darò importanza alla generosità… Una parola ai sacerdoti Ai sacerdoti, in questo Anno Santo della Misericordia, voglio ricordare che la trascuratezza del sacramento della penitenza è la causa, come insegna il santo Curato d’Ars, di molti mali nella vita della Chiesa e nella vita del sacerdote. La causa di questa trascuratezza va ricercata non solo nel fatto che la gente non si confessa più, ma anche al fatto che noi sacerdoti non siamo più disponibili ad amministrare questo sacramento. Una chiesa o una “sala di comunità” in cui è presente un sacerdote è l’immagine della toccante pazienza di Dio, che ci attende tutta la vita.
Mi raccontava un sacerdote tedesco, disponibile ogni giorno al confessionale, che ha dovuto aspettare mesi prima che si presentasse un penitente… quando finalmente si è presentato il primo la situazione si è sbloccata. Da quel momento il confessionale ha cominciato ad essere frequentato.
Il quotidiano ministero della riconciliazione ha fatto diventare il Curato di Ars un grande missionario per il mondo.
+ Francesco Cavina, Vescovo Carpi, 12 dicembre 2015

I 10 comandamenti

  • Io sono il Signore Dio Tuo
  • I Non avrai altro Dio fuori di me
  • II Non nominare il nome di Dio invano
  • III Ricordati di santificare le feste
  • IV Onora il Padre e la Madre
  • V Non uccidere
  • VI Non commettere atti impuri
  • VII Non rubare
  • VIII Non dire falsa testimonianza
  • IX Non desiderare la donna d’altri
  • X Non desiderare la roba d’altri