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2 - Crisi della Chiesa?

Autore:
Oliosi, Don Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
La crisi della Chiesa è l’aspetto più concreto di questa crisi di coscienza religiosa, del senso della vita e di fede, di Luce che illumina la storia ed aiuta a trovare la via verso il futuro

La Chiesa rischia di non essere colta e accolta per quello che in continuità è cioè la comunità vivente, che deriva in continuità o tradizione del Popolo di Dio da Cristo stesso e attualizza sacramentalmente in ogni luogo e tempo, con il dono del Suo Spirito, la Sua Parola e nell’incontro con ogni uomo la Sua azione di liberazione dal demonio, dal peccato e dalla morte, garante dell’intelligenza della Parola di Dio, donando in vissuti fraterni di comunione il pensiero cristiano, una dimora spirituale e la certezza, la chiarezza e la bellezza della fede cattolica che possono rendere luminosa la vita dell’uomo anche oggi! Oggi il riferimento alla Chiesa rischia di apparire come una comunità fra tante altre: vi sono molte chiese, direbbe qualcuno, e sarebbe umanamente sconveniente ritenere la propria migliore dove addirittura sussiste la vera religione, Gesù Cristo luce del mondo e della storia. Già culturalmente e politicamente una forma umana di cortesia spinge e relativizzare la propria, e lo stesso vale per le altre. Si tratterebbe pertanto di casuali aggregati sociali, peraltro inevitabili, ma che non ci garantiscono più di essere veramente a casa: pensarlo e dirlo nell’attuale dittatura del relativismo è addirittura impertinenza, offensivo. Questa disgregazione della pretesa verità di Gesù Cristo, quindi della coscienza ecclesiale cattolica, che naturalmente dipende anche da tutte le imposizioni secolarizzate dell’odierna situazione spirituale e ne rappresenta la concreta applicazione, è sicuramente una delle cause principali per cui la Parola di Dio nella sua originaria documentazione biblica non giunge più a noi attualizzata cioè con una autorità divina che produce quello che dice, ma tutt’al più diciamo: c’è qualcosa di bello, di utile in essa, ma devo cercarvi da solo ciò che ritengo giusto. Il pericolo, quando non c’è consapevolezza, è molto serio. Si rischia di ridurre la Chiesa cattolica in una religione di unità cristiana nella quale gli ordinamenti che escludono celebrazioni eucaristiche in comune, con la parte evangelica, luterana per esempio, possono essere effettivamente superati e, stando a certi fatti in Germania e altrove, sono già stati superati. Anche fra i cattolici la coscienza risulta parecchio relativizzata. Culturalmente sono spinti a non ritenere che l’appartenenza alla Chiesa Cattolica sia per loro la garanzia della verità che illumina la storia ed aiuta a trovare la via verso il futuro. Risulta per lo meno sfocata la visione sacramentale, di mediazione ecclesiale della presenza del Risorto, di Dio tra i suoi missionariamente, apostolicamente per tutti e per tutto.
Per evangelici e cattolici è grave che si releghi nella soggettività quanto si riteneva prima fondante la propria identità e con ciò venga relativizzata la fede sia nel sacramento e sia nella sua forma esteriore. Sia da parte cattolica che protestante si impone ecumenicamente una considerazione di fondo su ciò che è il sacramento, come celebrarlo giustamente, quali sono le condizioni e come l’unità deve essere vera unità e non una “riduzione” che finisce per degradare lo stesso sacramento. Ecco perché offrono fiducia cattolici che organizzando cattolici dichiarano di essere fedeli al Papa e al magistero straordinario e ordinario attraverso il Catechismo e il suo Compendio con cui attualizzare il fondamento biblico e mantenere la loro fede cattolica. Questo immediatamente produce divisione nelle parrocchie, tra gruppi e movimenti, ed è spesso causa di cambiamento di parrocchia di alcuni fedeli o del loro definitivo abbandono della Chiesa. E può accadere quello che Paolo descrive nel brano di Galati 5,13-15: “Che la libertà non divenga pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri. Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo come te stesso. Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni e gli altri!”. Queste frasi possono essere in parte esagerazioni retoriche. Ma purtroppo l’ideologia che dissolve il dialogo e quindi questo “mordere e divorare” esiste anche oggi nella Chiesa come espressione di libertà mal interpretata. E’ forse motivo di sorpresa che anche noi non siamo migliori dei Galati? Che almeno siamo minacciati dalle stesse tentazioni? Che dobbiamo sempre di nuovo imparare la priorità suprema: l’amore?

Tale distacco interno alla Chiesa è uno dei più urgenti problemi del nostro tempo: non siamo giunti ancora ad averlo seriamente sotto controllo
Noi ci occupiamo di ecumenismo e intanto dimentichiamo che la Chiesa nel suo interno si è spaccata e che tale spaccatura penetra fin dentro le famiglie, le comunità, i movimenti. Occorre la consapevolezza dell’autentico fondamento comune di fede, speranza, amore come lo propone il Catechismo e il suo Compendio, l’unico fondamento che può veramente reggere, poiché non è stato inventato da noi stessi né da un comitato, né da nessun altro, ma proviene dalla sorgente: è la fede stessa della Chiesa. Ciò che noi vi aggiungiamo è fatto da noi stessi e conseguentemente non può unirci. Ciò che va al di là della comune e continua professione ecclesiale della tradizione del popolo di Dio appartiene allo spazio della libertà, che noi dobbiamo imparare a prendere in modo differenziato: esiste una fede della Chiesa che non è una fissazione autoritaria, bensì l’eredità lasciata da Gesù Cristo alla sua Chiesa.
Se dunque l’impegno faticoso per l’autentico fondamento comune della fede, della speranza e dell’amore costituisce in questo momento (e, in forme diverse, sempre) la vera priorità della Chiesa, allora ne fanno parte anche le riconciliazioni piccole e medie. Che il sommesso gesto del papa di una mano tesa ai seguaci di Lefebvre abbia dato origine ad un grande chiasso, trasformandosi proprio così nel suo contrario di una riconciliazione, è un fatto di cui dobbiamo prendere atto. Ma non dovrebbe la grande Chiesa permettersi di essere anche generosa del lungo respiro che possiede; nella consapevolezza della promessa che le è stata data? Non dovremmo come buoni educatori essere capaci di non badare a diverse cose non buone e premurarci di condurre fuori dalle strettezze e impegnarci per lo scioglimento di irrigidimenti, così da dare spazio a ciò che vi è di positivo e di recuperabile verso l’autentico fondamento comune. “Può lasciarci totalmente indifferenti una comunità – il Papa ai Vescovi – nella quale si trovano 491 sacerdoti, 215 seminaristi, 6 seminari, 88 scuole, 2 Istituti universitari, 117 frati, 164 suore e migliaia di fedeli? Dobbiamo davvero tranquillamente lasciarli andare alla deriva lontani dalla Chiesa? Penso ad esempio ai 491 sacerdoti. Non possiamo conoscere l’intreccio delle loro motivazioni. Penso tuttavia che non si sarebbero decisi per il sacerdozio se, accanto a diversi elementi distorti e malati, non ci fosse stato l’amore per Cristo e la volontà di annunciare Lui e con Lui il Dio vivente. Possiamo noi semplicemente escluderli, come rappresentanti di un gruppo marginale radicale, dalla ricerca della riconciliazione e dell’unità? Che ne sarà poi? Certamente, da molto tempo e poi di nuovo in questa occasione concreta abbiamo sentito da rappresentanti di quella comunità molte cose stonate – superbia e saccenteria, fissazione su unilateralismo ecc. Per amore della verità devo aggiungere che ho ricevuto anche una serie di testimonianze commoventi di amore (a tutta la tradizione non solo fino al 1962 ma al Concilio e al magistero del post-Concilio) di gratitudine, nelle quali si rendeva percepibile un’apertura dei cuori… E non dobbiamo forse ammettere che anche nell’ambiente ecclesiale è emersa qualche stonatura (come Küng che afferma “essenza cattiva” la Tradizione fino al 1962 e buona solo quella dal Concilio con una ermeneutica di discontinuità)? A volte si ha l’impressione che la nostra società abbia bisogno di un gruppo almeno, al quale non riservare alcuna tolleranza; contro il quale poter tranquillamente scagliarsi con odio. E se qualcuno osa avvicinarglisi – in questo caso il Papa – perde anche lui il diritto di tolleranza e può pure lui essere trattato con odio senza timore e riserbo”.

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