Cattolici e protestanti
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Il Concilio di Trento interpretò in modo profondo la questione della giustificazione e trovò nella linea di tutta la tradizione cattolica la sintesi tra legge e Vangelo, in conformità col messaggio della Sacra Scrittura letta nella sua totalità e unità

«I Padri della Chiesa e poi tutti i teologi si sono nutriti delle Lettere di san Paolo e della sua spiritualità. Egli è così rimasto nei secoli, fino ad oggi, il vero maestro e apostolo delle genti. Il primo commento patristico, a noi pervenuto, su uno scritto del Nuovo Testamento è quello del grande teologo alessandrino Origene, che commenta la Lettera di Paolo ai Romani. Tale commento purtroppo è conservato solo in parte. San Giovanni Crisostomo, oltre a commentare le sue Lettere, ha scritto su di lui sette Panegirici memorabili. Sant’Agostino dovrà a lui stesso il passo decisivo della propria conversione, e a Paolo egli ritornerà durante tutta la sua vita. Da questo dialogo permanente con l’Apostolo deriva la sua grande teologia cattolica e anche per quella protestante di tutti i tempi. San Tommaso d’Aquino ci ha lasciato un bel commento alle Lettere paoline, che rappresenta il frutto più maturo dell’esegesi medioevale. Una vera svolta si verificò nel secolo XVI con la Riforma protestante. Il momento decisivo nella vita di Lutero fu il cosiddetto “Turmerlebnis”, (1517) nel quale in un attimo egli trovò una nuova interpretazione della dottrina paolina della giustificazione. Una interpretazione che lo liberò dagli scrupoli e dalle ansie della sua vita presente e gli diede una nuova radicale fiducia nella bontà di Dio che perdona tutto senza condizione. Da quel momento Lutero identificò il legalismo giudeo cristiano, condannato dall’Apostolo, con l’ordine di vita della Chiesa cattolica. E la Chiesa gli apparve quindi come espressione della schiavitù della legge alla quale oppose la libertà del Vangelo. Il Concilio di Trento, dal 1545 al 1563, interpretò in modo profondo la questione della giustificazione e trovò nella linea di tutta la tradizione cattolica la sintesi tra legge e Vangelo, in conformità col messaggio della Sacra Scrittura letta nella sua totalità e unità» [Benedetto XVI, Udienza Generale, 4 febbraio 2009].
Dall’esempio apostolico e dalla dottrina di san Paolo uno stimolo e una garanzia per il consolidamento dell’identità cristiana di ognuno e per il ringiovanimento dell’intera Chiesa
Al termine delle catechesi sulla figura di san Paolo Benedetto XVI si è soffermato sul termine della sua vita terrena. L’antica tradizione cristiana testimonia unanimemente che la morte di Paolo avvenne in conseguenza del martirio subìto a Roma. Gli scritti del Nuovo testamento non ci riportano il fatto. Gli Atti degli Apostoli terminano il loro racconto accennando alla condizione di prigionia dell’Apostolo che poteva tuttavia accogliere tutti quelli che andavano da lui (At 28,30-31). Solo nella seconda Lettera a Timoteo troviamo queste sue parole premonitrici: “Quanto a me, il mio sangue sta per essere sparso in libagione ed è giunto il momento di sciogliere le vele” (2 Tm 4,6; Fil 2,17). Si usano qui due immagini, quella cultuale del sacrificio, che aveva già usato nella Lettera ai Filippesi interpretando il martirio come parte del sacrificio di Cristo, e quella marinaresca del mollare gli ormeggi: due immagini che insieme alludono discretamente all’evento della morte e di una morte cruenta.
La prima testimonianza esplicita sulla fine di san Paolo ci viene dalla metà degli anni 90 del secolo I, quindi poco più di tre decenni dopo la sua morte effettiva. Si tratta precisamente della Lettera che la Chiesa di Roma, con il suo Vescovo Clemente I, scrisse alla Chiesa di Corinto. In quel testo epistolare si invita a tenere davanti agli occhi l’esempio degli Apostoli, e, subito dopo aver menzionato il martirio di Pietro, si legge così: “Per la gelosia e la discordia di Paolo fu obbligato a mostrarci come si consegue il premio della pazienza. Arrestato sette volte, esiliato, lapidato, fu l’araldo di Cristo nell’Oriente e nell’Occidente, e per la sua fede si acquistò una gloria pura. Dopo aver predicato la giustizia a tutto il mondo, e dopo essere giunto fino all’estremità dell’occidente, sostenne il martirio davanti ai governanti; così partì da questo mondo e raggiunse il luogo santo, divenuto con ciò il più grande modello di pazienza” (1 Clem 5,2). La pazienza di cui parla è espressione della sua comunione alla passione di Cristo, della generosità e costanza con la quale ha accettato un lungo cammino di sofferenza, così da poter dire: “Io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo” (Gal 6,17). Nel testo di san Clemente si dice che Paolo sarebbe arrivato fino all’“estremità dell’occidente”. Si discute se questo sia un accenno a un viaggio in Spagna che san Paolo avrebbe fatto. Non esiste certezza su questo, ma è vero che san Paolo nella sua Lettera ai Romani esprime la sua intenzione di andare in Spagna per obbedire al comando di Gesù di andare fino agli estremi confini della terra, ritenuti allora la Spagna, Gibilterra (Rm 15,24).
La figura di san Paolo grandeggia ben al di là della sua vita terrena e della sua morte; egli infatti ha lasciato una straordinaria eredità spirituale. Anch’egli, come vero discepolo di Gesù, divenne segno di contraddizione. Mentre tra i cosiddetti “ebioniti” – una corrente giudeo-cristiana – era considerato come apostata dalla legge mosaica, già nel libro degli Atti degli Apostoli appare una grande venerazione verso l’Apostolo Paolo. C’è una letteratura apocrifa, come gli Atti di Paolo e Tecla e un epistolario apocrifo tra l’Apostolo Paolo e il filosofo Seneca. Ma è importante soprattutto constatare che ben presto le Lettere di san Paolo entrano nella liturgia per essere Parola di Dio, dove la struttura profeta-apostolo-Vangelo è determinante per la forma della liturgia della Parola. Così, grazie a questa “presenza” (è il Risorto che mi parla qui e ora attraverso la documentazione biblica anche delle Lettere di Paolo) nella liturgia della Chiesa cioè dell’organismo sociale che serve allo Spirito di Cristo per la crescita del Suo Corpo analogamente alla natura assunta dal Verbo divino come vivo organo di salvezza, il pensiero dell’Apostolo diventa da subito nutrimento spirituale dei fedeli di tutti i tempi. Questo nutrimento spirituale è stato pensato e argomentato teologicamente da Origene, da san Giovanni Crisostomo. Sant’Agostino ne ha derivato tutta la sua grande teologia cattolica, punto di riferimento anche per quella protestante. E’ divenuto frutto più maturo dell’esegesi medioevale in San Tommaso e in continuità fino al XVI secolo con la Riforma protestante. In conformità al messaggio della Sacra Scrittura, letta nella sua continuità dinamica o Tradizione, nella sua totalità e unità, la tradizione cattolica ha sempre puntato alla sintesi, riconosciuta e accolta dal Concilio di Trento (1545 – 1563), tra dimensione soggettiva dell’avvenimento dell’incontro con la Persona di Gesù Cristo all’inizio dell’essere cristiani e di ogni testimonianza e dimensione oggettiva di appartenenza all’organismo sacramentale della Chiesa, tra annuncio, illuminazione interiore occasionata dalla predicazione della Parola di Dio attraverso la documentazione del messaggio biblico e incontro con il crocefisso risorto attraverso le mediazioni “materiali” come sono i segni sacramentali, attraverso i volti umani di chi succede agli apostoli, dei vissuti fraterni di comunione ecclesiale autorevolmente guidata, tra la libertà conseguente alla lieta notizia di un amore sempre più grande del proprio peccato per cui fino al momento terminale per ogni io umano che cade la fiducia in questo amore rende possibile sempre riconoscere il peccato, lasciarsi riconciliare, ricominciare e la legge cui fedelmente puntare, tentare e ritentare con fiducia e speranza senza mai perdersi di speranza anche quando non si riesce poiché Lui porterà a compimento. E’ l’et – et continuo di fede e ragione come le due ali con le quali lo spirito umano si innalza verso la contemplazione della verità che libera, proprio di tutta la tradizione cattolica per una sintesi esistenziale e teologicamente argomentata in modo profondo della questione della giustificazione. Sia a livello esistenziale e sia a livello teologico pastorale alle volte si può accentuare l’oggettivo, della legge fino a vanificare la necessità del connubio con il soggettivo dell’avvenimento dell’incontro con il Risorto, con la libertà, la fiducia nell’amore di Dio più grande di ogni peccato di ogni io umano. Lutero accentuò, identificandolo con la Chiesa, l’avvenimento dell’incontro con la Persona di Gesù Cristo attraverso il soggettivo di una illuminazione puramente interiore occasionata dalla predicazione biblica, di un amore più grande di ogni peccato da sentirsi liberato dagli scrupoli e dalle ansie della sua vita precedente che gli diede il vangelo, la libertà di una nuova e radicale fiducia nella bontà di Dio che perdona tutto senza condizione e da quel momento identificò il legalismo giudeo cristiano della sola legge, della sola ragione e del solo organismo istituzionale, della sola materialità sacramentale, condannato da Paolo, con l’ordine di vita della Chiesa cattolica istituzionale.
Crescono le convergenze tra esegesi cattolica ed esegesi protestante realizzando così un notevole consenso proprio nel punto che fu all’origine del massimo dissenso storico
Il secolo XIX, raccogliendo l’eredità migliore dell’Illuminismo, conobbe una nuova reviviscenza del paolinismo soprattutto sul piano del lavoro scientifico sviluppato dall’interpretazione storico – critica della Sacra Scrittura. Occorre, però, prescindere dall’eccezione, sempre nel secolo XIX, della denigrazione di Nietzsche che derideva la teologia dell’umiltà di san Paolo, opponendo ad essa la sua teologia dell’uomo forte e potente. Prescindendo da questa corrente non piccola si è estesa sempre più la nuova interpretazione scientifica della Sacra Scrittura e del nuovo paolinismo. Si sottolinea soprattutto come centrale nel pensiero paolino il concetto di libertà: in esso è stato visto il cuore del pensiero paolino, come del resto aveva già intuito Lutero.
E poi è sottolineata fortemente la differenziazione tra l’annuncio di san Paolo e l’annuncio di Gesù. E san Paolo appare quasi sempre come un nuovo fondatore del cristianesimo.
Ma oggi esegesi cattolica ed esegesi protestante concordano nel vedere in san Paolo la centralità del Regno di Dio, determinante per l’annuncio di Gesù, viene trasformata nella centralità della cristologia, del Dominus Iesus, il cui punto determinante è il mistero pasquale. E dal mistero pasquale risultano i Sacramenti del Battesimo e dell’Eucaristia, come presenza permanente di questo mistero, dal quale cresce il corpo di Cristo, si costruisce la Chiesa. Proprio nella nuova centralità della cristologia e del mistero pasquale si realizza il regno di Dio, diventa concreto, presente, operante l’annuncio autentico di Gesù.
Nel progresso dell’esegesi, soprattutto negli ultimi duecento anni, crescono le convergenze tra esegesi cattolica ed esegesi protestante realizzando così un notevole consenso proprio nel punto che fu all’origine del massimo dissenso storico. Quindi una grande speranza per la causa dell’ecumenismo, così centrale per il Concilio Vaticano II.