Il Papa e gli Ebrei
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«Ricorre quest’anno (era il 19 agosto 2005) anche il 40 anniversario della promulgazione della Dichiarazione Nostra aetate del Concilio Ecumenico Vaticano II, che ha aperto nuove prospettive nei rapporti ebreo – cristiani all’insegna del dialogo e della solidarietà. Questa Dichiarazione, nel quarto capitolo, ricorda le nostre radici comuni e il ricchissimo patrimonio spirituale che gli ebrei e i cristiani condividono. Sia gli ebrei che i cristiani riconoscono in Abramo il loro padre nella fede (Gal 3,4; Rm 4,11s), e fanno riferimento agli insegnamenti di Mosé e dei profeti. La spiritualità degli ebrei come quella dei cristiani si nutre dei Salmi. Con l’apostolo Paolo, i cristiani sono convinti che “i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili” (Rm 11,29; 9,11; 11,1s). In considerazione della radice ebraica del cristianesimo (Rm 11,16-24), il mio venerato Predecessore, confermando un giudizio dei vescovi tedeschi, affermò: “Chi incontra Gesù Cristo incontra l’ebraismo» [Benedetto XVI, Visita alla Sinagoga di Colonia, 19 agosto 2005].
I rapporti tra ebrei e cristiani storicamente è stato complesso e spesso doloroso. Per questo nel periodo benedetto di buona convivenza conciliare la Dichiarazione Nostra aetate “deplora gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni di antisemitismo dirette contro gli Ebrei in ogni tempo e da chiunque” (n.4). “La Chiesa – osserva Benedetto XVI in occasione della ventesima Giornata Mondiale della Gioventù del 2005 – è consapevole del suo dovere di trasmettere, nella catechesi per i giovani come in ogni aspetto della sua vita, questa dottrina alle nuove generazioni che non sono state testimoni degli avvenimenti terribili accaduti prima e durante la Seconda Guerra Mondiale. E’ un compito di speciale importanza in quanto oggi purtroppo emergono nuovamente segni di antisemitismo e si manifestano varie forme di ostilità generalizzata verso gli stranieri. Come non vedere in ciò un motivo di preoccupazione e di vigilanza? La Chiesa cattolica si impegna – lo riaffermo anche in questa circostanza – per la tolleranza, il rispetto, l’amicizia e la pace tra tutti i popoli, le culture e le religioni…In questo anno 2005 si celebra il 60° anniversario della liberazione dei campi di concentramento nazisti, nei quali milioni di ebrei – uomini, donne e bambini – sono stati fatti morire nelle camere a gas e bruciati nei forni crematori. Faccio mie le parole scritte dal mio venerato Predecessore in occasione del 60 anniversario della liberazione di Auschwitz e dico anch’io: “Chino il capo davanti a tutti coloro che hanno sperimentato questa manifestazione del mysterium iniquitatis”. Gli avvenimenti terribili di allora devono “incessantemente destare le coscienze, eliminare i conflitti, esortare alla pace”. Dobbiamo ricordarci insieme di Dio e del suo sapiente progetto sul mondo da Lui creato: Egli, ammonisce il Libro della Sapienza, è “amante della vita” (11,26).
Benedetto XVI continua ad esprimere il giudizio della Chiesa visitando il 28 maggio 2006 il Campo di Concentramento di Auschwitz – Birkenau, proprio nel luogo della memoria, il luogo della Shoa. “Il passato non è mai soltanto passato. Esso riguarda noi e ci indica le vie da non prendere e quelle da prendere…Tutte queste lapidi commemorative parlano del dolore umano, ci lasciano intuire il cinismo di quel potere che trattava gli uomini come materiale non riconoscendoli come persone, nelle quali rifulge l’immagine di Dio. Alcune lapidi invitano ad una commemorazione particolare. C’è quella in lingua ebraica. I potentati del Terzo Reich volevano schiacciare il popolo ebraico nella sua totalità: eliminarli dall’elenco dei popoli della terra. Allora le parole del Salmo: “Siamo messi a morte, stimati come pecore da macello” si verificarono in modo terribile. In fondo, quei criminali violenti, con l’annientamento di questo popolo, intendevano uccidere quel Dio che chiamò Abramo, che parlando sul Sinai stabilì i criteri orientativi dell’umanità che restano validi in eterno. Se questo popolo, semplicemente con la sua esistenza, costituisce una testimonianza di quel Dio che ha parlato all’uomo e lo prende in carico, allora quel Dio doveva finalmente essere morto e il dominio appartenere soltanto all’uomo – a loro stessi che si ritenevano i forti che avevano saputo impadronirsi del mondo. Con la distruzione di Israele, con la Shoa, volevano, in fin dei conti, strappare anche la radice, su cui si basa la fede cristiana, sostituendola definitivamente con la fede fatta da sé, la fede nel dominio dell’uomo, del forte”.
E nell’udienza del 28 gennaio 2009: “In questi giorni nei quali ricordiamo la Shoah, mi ritornano alla memoria le immagini raccolte nelle mie ripetute visite ad Auschwitz, uno dei lager nei quali si è consumato l’eccidio efferato di milioni di ebrei, vittime innocenti di un cieco odio razziale e religioso. Mentre rinnovo con affetto l’espressione della mia piena e indiscutibile solidarietà con i nostri Fratelli destinatari della Prima Alleanza, auspico che la memoria della Shoah induca l’umanità a riflettere sulla imprevedibile potenza del male quando conquista il cuore dell’uomo. La Shoah sia per tutti monito contro l’oblio, contro la negazione o il riduzionismo, perché al violenza fatta contro un solo essere umano è violenza contro tutti. Nessun uomo è un’isola, ha scritto un noto poeta. La Shoah insegni sia alle vecchie e sia alle nuove generazioni che solo il faticoso cammino dell’ascolto e del dialogo, dell’amore e del perdono conduce i popoli, le culture e le religioni del mondo all’auspicato traguardo della fraternità e della pace nella verità. Mai più la violenza umili la dignità dell’uomo!”.
I doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili
Fin dalle origini dell’evangelizzazione, esplicitamente fin da san Paolo nella coscienza di fede della Chiesa il popolo ebreo fa parte a pieno titolo della storia della salvezza per cui senza contatti ininterrotti con l’ebraismo vivo e attuale che documenta con le Scritture che Dio parla all’uomo, il cristianesimo non avrebbe gran parte della Parola di Dio oggi. Nella prefazione al documento “Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana”, promulgato nel 2001 dalla Pontificia commissione biblica si legge: “Un congedo dei cristiani dall’Antico Testamento non solo avrebbe la conseguenza di dissolvere lo stesso cristianesimo, ma non potrebbe neppure essere utile ad un rapporto positivo fra cristiani ed ebrei, perché sarebbe loro sottratto proprio il fondamento comune”. E vi si legge ancora che dagli eventi, dai rapporti complessi e spesso dolorosi tra comunità ebraica e comunità cristiana si è giunti a un buon rapporto cui ha contribuito molto già da teologo, da cardinale, Ratzinger per cui si è giunti a “un rinnovato rispetto per l’interpretazione giudaica dell’Antico Testamento”, convinti che “i cristiani possono imparare molto dall’esegesi giudaica”.
Il teologo Ratzinger ha dato un grande contributo di pulizia ad argomentazioni teologiche polemiche attraverso un rapporto sempre più intenso, agli inizi degli anni ’70, con personalità del mondo ebraico e la Comunità cattolica di integrazione che dal primo Dopo guerra aveva avviato una profonda revisione teologica e spirituale del cattolicesimo tedesco. “Dio può avere - si argomentava – due spose? Non è forse questa divisione tra sinagoga ed ecclesia così piena di male il motivo più profondo di tutte le divisioni che seguirono nella storia della chiesa?....Non è forse la che la chiesa debba radicarsi nell’ebraismo, per poter essere del tutto cattolica, e cioè universale?” “Il rapporto di stima – Maurizio Crippa su Il Foglio di mercoledì 4 febbraio p. 3 – tra Ratzinger e questa comunità (sarà lui, arcivescovo di Monaco, ad approvarne nel 1978 gli statuti) non si è mai interrotto. E il dialogo teologico proseguito negli anni romani ha indubbiamente influenzato il prefetto della Dottrina della fede, “trovando risonanze sempre più evidenti nell’approccio ratzingeriano nei confronti dell’ebraismo” (Valente). Uno dei punti d’arrivo di quel percorso fu, nel 1994, un discorso tenuto a Gerusalemme per un incontro interreligioso (il testo è ora nel volume “Molte religioni un’unica speranza”, San Paolo) in cui il cardinale espose in maniera sistematica la sua visione, modulata “sulla riscoperta della continuità tra la speranza di Abramo e la speranza cristiana, tra la legge della Torah e la legge nuova del Vangelo”. Una visione proseguita fino all’apprezzatissimo discorso nella sinagoga di Colonia nel 2005, quando Benedetto XVI ribadì che “anche nelle cose che a causa della nostra intima convinzione di fede ci distinguono gli uni dagli altri, anzi proprio in esse, dobbiamo rispettarci ed amarci a vicenda”. E ripeté con san Paolo che “i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili”. Per Ratzinger, il popolo ebreo fa parte a pieno titolo della storia della salvezza e per questa ragione, come disse in un’intervista del 1996, “senza contatti ininterrotti con l’ebraismo vivo e attuale, il cristianesimo non sarebbe fedele alle proprie origini”. In un’intervista rilasciata poco prima di diventare Papa, ha raccontato: “Dovevamo dialogare anche con gli ebrei, chiarire con loro la nostra relazione, soprattutto dopo gli avvenimenti del nazismo… Ristabilire una relazione con il mondo ebraico era per noi realmente una priorità, fin dall’inizio. Era cominciata una nuova lettura dell’Antico Testamento: condividevamo con gli ebrei il maggior parte della nostra Bibbia, quindi i fondamenti della nostra fede, perché anche il Nuovo Testamento si riferisce sempre all’altro e non è leggibile senza di esso. Ed erano anche già iniziati dialoghi amichevoli con ebrei di diverse correnti. La priorità era ristabilire, quindi, una nuova relazione col popolo ebreo: da una parte, volevamo esprimere la nostra amicizia, ma anche il nostro pentimento per i fatti negativi di duemila anni di storia, e dall’altra parte, senza offendere gli ebrei, anche esprimere la nostra identità. A quel tempo il documento Nostra Aetate era considerato un po’ secondario, mentre oggi capiamo che è uno dei documenti fondamentali del Concilio”. Tra l’altro, fu lui a valorizzare il lavoro del cardinale di Parigi Jean – Marie Lustiger, ebreo convertito, per il superamento della teologia della sostituzione: il Nuovo testamento non sostituisce l’Antico ma l’Antico e il Nuovo Testamento sono intimamente collegati tra di loro e l’ermeneutica cristologia, che in Gesù Cristo vede la chiave del tutto e, partendo da Lui, apprende a capire la Bibbia come unità: l’intima unità di tutta la Scrittura fa capire in modo nuovo anche i singoli tratti di strada, senza togliere loro la propria originalità storica.