Gesù scaccia i demoni dalle persone
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«Quest’anno, nelle celebrazioni domenicali, la liturgia propone alla nostra meditazione il Vangelo di san Marco, del quale una singolare caratteristica è il cosiddetto “segreto messianico”, il fatto cioè che Gesù non vuole per il momento si sappia, al di fuori del gruppo ristretto dei discepoli, che Lui è il Cristo, il Figlio di Dio. Ecco allora che a più riprese ammonisce sia gli apostoli, sia i malati che guarisce di non rivelare a nessuno la sua identità. Ad esempio, il brano evangelico di questa domenica (Mc 1,21-28) narra di un uomo posseduto dal demonio, che all’improvviso si mette a gridare: “Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!”. E Gesù gli intima: “Taci! Esci da lui!”. E subito, nota l’evangelista, lo spirito maligno, con grida strazianti, uscì da quell’uomo. Gesù non solo scaccia i demoni dalle persone, liberandole dalla peggiore schiavitù, ma impedisce ai demoni stessi di rivelare la sua identità. Ed insiste su questo “segreto” perché è in gioco la riuscita della sua stessa missione, da cui dipende la nostra salvezza. Sa infatti che per liberare l’umanità dal dominio del peccato, Egli dovrà essere sacrificato sulla croce come vero Agnello pasquale. Il diavolo, da parte sua, cerca di distoglierlo per dirottarlo invece verso una logica umana di un Messia potente e pieno di successo. La croce di Cristo sarà la rovina del demonio, ed è per questo che Gesù non smette di insegnare ai suoi discepoli che per entrare nella sua gloria deve patire molto, essere rifiutato, condannato e crocifisso (Lc 24,26), essendo la sofferenza parte integrante della sua missione» [Benedetto XVI, Angelus, 1 febbraio 2009].
Il demonio come essere personale è una verità di fede, come ricorda il Catechismo della Chiesa Cattolica. E leggendo il Vangelo di Marco, tenendo presente la viva tradizione di tutta la Chiesa, si ha l’impressione che la missione di Gesù sia un continuo confronto con il demonio come essere personale. Non è possibile negare la massiccia testimonianza sul demonio nel Nuovo Testamento: negandolo si uscirebbe non solo dall’insegnamento ecclesiastico ma dallo stesso insegnamento biblico. Viene spontanea la domanda che lo spirito impuro rivolge a Gesù nel primo racconto di esorcismo: “Sei venuto per mandarci in perdizione?” (1,24). Tale impressione non è anzitutto suscitata da veri e propri racconti di esorcismo, che sono soltanto tre in Marco (1,23-28; 5,1-20; 9, 14-29), quanto piuttosto dai numerosi riferimenti sparsi nei contesti diversi.
Il primo gesto di Cristo all’inizio della vita pubblica, dopo essere stato investito dallo Spirito, è il confronto con Satana nel deserto (1,12-13) e il suo primo intervento sull’uomo è una liberazione dallo spirito immondo (1,23ss) in giorno di sabato nella sinagoga.
Il riferimento a Satana come essere personale è presente in contesti letterari diversi: racconti di esorcismi (1,23ss; 7,24ss; 9,14ss), sommari redazionali (1,32.34.39, 3,11), testi di missione (3,15; 6,7.13; 9,29; 16,17).
Una prima lettura dei passi rende possibile almeno tre rilievi.
- Primo: nel confronto con Satana sono coinvolti Gesù, l’uomo e i discepoli. Satana non è menzionato in sé e per sé, non interessa Satana, ma sempre in relazione a Cristo, all’uomo e ai discepoli. Si parla di Satana per mostrare il senso della missione di Gesù che all’inizio del momento pubblico necessita del “segreto messianico” per non compromettere la sua opera, la situazione dell’uomo da liberare e il compito dell’appartenenza alla comunità, sempre insostituibile.
- Secondo: Satana è presente nella fase terrena del ministero di Gesù e continua ad esserlo nel tempo della sua presenza da risorto nel suo corpo che è la Chiesa dove continua attraverso i suoi la via umana alla Verità e alla Vita cioè al Dio vivente, Padre, Figlio e Spirito santo da cui tutto proviene e verso cui tutti e tutto è destinato; Satana è già vinto e tuttavia continua a minacciare l’esistenza di ogni uomo, anche di ogni credente invitato dalla preghiera insegnata da Gesù a chiedere ogni giorno di non essere abbandonato alla tentazione e liberato da quel male che non viene dai limiti della natura e dalla cattiveria umana ma dal maligno.
- Terzo: l’azione dello spirito del male si manifesta in forme differenti e a diversi livelli: nella tentazione, nella malattia, nella vessazione – infestazione – ossessione – possessione, ma soprattutto e innanzitutto nell’opposizione storica al piano di Dio. Concretamente e storicamente parlando, il male morale e fisico si è abbattuto e si abbatte su ogni uomo non già solo per i limiti della natura e per il semplice fatto della sua disobbedienza, ma per effetto della volontà di ogni uomo dietro l’istigazione e l’influsso di Satana. Il peccato si colloca non nella cornice di una generica lotta tra il bene e il male, ma nello scontro fin dalle origini tra Dio e Satana, tra il regno di Dio e l’azione contraria a Cristo di Satana. Lo stato di spogliazione dei beni della grazia e dei doni soprannaturali, in cui l’uomo è caduto per influsso di Satana fin dagli inizi, è non un atto di ogni persona che viene all’esistenza ma uno stato (peccato originale) di vero peccato con cui veniamo all’esistenza cioè di vera avversione a Dio e di schiavitù sotto la potestà di Satana. Ogni conseguenza del peccato, alla quale tuttora noi sottostiamo, è sempre esercizio di Satana sopra il mondo e sopra di noi anche se nessun io umano è sottratto alle sue responsabilità, ben sapendo che il peccato è sempre una libera scelta umana e non del demonio: “è dal cuore dell’uomo, dal suo io, dalla sua anima che escono pensieri maligni”. Il Battesimo e ogni azione sacramentale di liberazione, compresa la preghiera di esorcismo invocativo e imperativo, non pongono l’uomo al sicuro, ma nella condizione di poter scegliere responsabilmente. Tale signoria di Satana si evidenzia non solo nei nostri peccati personali, ma anche in tentazioni di ogni sorta dissolvendo il desiderio della verità e la disponibilità all’amore e oggi affrontare la sofferenza con l’aborto e l’eutanasia, in persecuzioni, tribolazioni, influssi nocivi degli elementi infraumani, infortuni, malattie di ogni genere e morte. Nell’infinita scala dei mali fisici, psichici, morali, che noi subiamo, e a cui è sottoposto il mondo, si manifesta effettivamente l’influsso di Satana, il suo potere, la sua lotta incessante contro il Regno di Dio in Cristo attraverso la Chiesa, la Parola di Dio e i Sacramenti cioè l’amore a Dio e dove giunge il Suo amore. E’ stata diabolica la mentalità del 1968 che ha parlato in termini solo negativi del rapporto tra educazione e sofferenza, educazione ed esperienza del dolore cui dobbiamo anche l’attuale emergenza educativa. La sofferenza fa parte della realtà della nostra vita e non educare ad affrontarla fa crescere persone fragili, poco realiste e poco generose: la capacità di amare e di donarsi corrisponde alla capacità di un senso anche al soffrire e di soffrire insieme come luogo di promozione e di esercizio della speranza. La redenzione di Cristo ci reintegra sin d’ora nelle file del Regno del Risorto, vittorioso sul regno di Satana in noi fin dal Battesimo, ma non ci sottrae alla lotta e al possibile influsso di Satana e dei suoi satelliti, chiedendoci e di pregare per non soccombere nella tentazione, di essere liberati dal male che proviene da lui e di vigilare mediante la preghiera e il digiuno. Tale influsso si esercita ogni volta che ci colpisce un qualsiasi male, fisico o morale. La nostra lotta non è solo contro la carne e il sangue cioè il male che storicamente viene dal libero arbitrio di ogni uomo e dai limiti della natura, ma – ci ricorda san Paolo – anzitutto da Satana e dagli angeli ribelli, che operano anche attraverso le molestie, che la carne e il sangue ci affliggono.
Il primo intervento miracoloso di Gesù, documentato dal Vangelo di Marco, è la liberazione di un indemoniato (1, 23-26)
Si tratta di un uomo posseduto dal demonio, che dà in smanie durante il servizio liturgico del sabato in sinagoga. Potremmo individuare una persona con avversione al sacro, un fenomeno che conosciamo bene perché è uno tra i segni di possessione diabolica anche oggi. Gesù lo mette a tacere, seccamente rivelando che il demonio è un essere personale: “Taci ed esci da costui!” (1,25). Lo spirito è costretto ad obbedire e l’uomo, liberato dallo spirito disgregatore che dissolve il desiderio della verità e la disponibilità ad amare, ritrova se stesso. Ai tempi di Gesù gli esorcismi erano di moda e la letteratura rabbinica ne parla, ma per lo più erano lunghi, strani, complicati. Gesù invece si impone allo spirito impuro semplicemente con un comando. E’ per questo che la folla si meraviglia (1,27).
In Gesù c’è una netta differenza fra il modo di affrontare la malattia (1,30-31) e il modo con cui affronta un indemoniato. Nei racconti di esorcismi c’è sempre l’atmosfera di una lotta. E c’è uno schema fisso: lo spirito malvagio si rivolge a Gesù con un atteggiamento di difesa, ha la percezione che è arrivato Colui che lo sconfigge; quando Gesù gli ingiunge, lo costringe ad andarsene (Dio in Gesù non costringe mai l’io umano), cerca, se possibile, di passare all’attacco; ma poi deve cedere al più forte, sia pure con un’ultima manifestazione di rabbia e di dispetto: “Dopo averlo straziato, gridando forte, uscì” (1,26). Con questo vuol dire che il maligno è duro da vincere e che il Cristo deve impegnarsi – allora nella sua fase terrena e oggi Signore risorto attraverso l’azione sacramentale nella e della Chiesa – in una vera e propria lotta nei suo confronti.
L’intenzione dell’evangelista nel riportare questo racconto, per essere continuamente attualizzato nella Chiesa come Parola di Dio che opera continuamente, è chiara: la liberazione da Satana è in continuità uno dei segni che il Regno di Dio cioè Dio, che ci raggiunge con l’evidenza della verità che libera e con il suo amore, è vicino (1,15) e che la parola di Gesù opera ciò che diceva allora e oggi, cioè è “nuova e potente” (1,22.27). La finalità del racconto è cristologica: suscitare l’interrogativo fondamentale (“Chi è mai quest’uomo?”) e offrire gli elementi per una prima risposta (“Un insegnamento nuovo dato con autorità! Comanda anche agli spiriti immondi e li costringe ad obbedire”: 1,27).
L’evangelista lascia chiaramente intendere che il racconto è aperto, e precisamente in due direzioni:
- in primo luogo, il racconto è semplicemente un esempio, il primo di molti: la cacciata di Satana è ripresa nei due sommari che seguono immediatamente e che hanno lo scopo appunto di rivelare che il tormento dei corpi, pur essendo una realtà sconvolgente e drammatica, non è l’attività primaria dell’azione demoniaca. L’attività più subdola e devastante è un’altra e le possessioni, che oltre tutto sono rarissime, sono la punta di un immenso iceberg. E il segno di Gesù su queste visibili è per rivelare il suo potere sulla massa sommersa. Nel primo sommario di Marco (1,32.34) gli esorcismi sono menzionati con le guarigioni (1,39) accanto alla predicazione: dunque sono, per così dire, il dato costante dell’attività messianica di Gesù nella sua fase terrena e in continuità da risorto nella e attraverso la mediazione della sua Chiesa.
- In secondo luogo, il racconto non è semplicemente una vittoria su un demonio, bensì il segno della rovina generale del regno di Satana: difatti lo spirito parla al plurale. Non dice: “Sei venuto a rovinarmi”, ma: “sei venuto a mandarci in rovina” (1,24).
Gli spiriti sanno chi è Colui che li affronta. E così Marco approfitta di loro per rivelarci chi è Gesù, il suo potere. Sono i primi catechisti, ma proprio perché sanno ed esperimentano la loro sconfitta, Gesù proibisce loro di parlarne: è il “segreto messianico” (1,34; 3,12), il fatto cioè che Gesù non vuole per il momento si sappia, al di fuori del gruppo ristretto dei discepoli, che Lui è il Cristo, il Figlio di Dio. Il divieto non riguarda però la divulgazione del fatto in sé, dal momento che Gesù compie i suoi esorcismi in pubblico, davanti a tutti ma a più riprese ammonisce sia gli apostoli, sia i malati che guarisce di non rivelare a nessuno la sua identità prima della risurrezione. Gesù non solo scaccia i demoni dalle persone, liberandole dalla peggiore schiavitù, ma impedisce ai demoni stessi di rivelare la sua identità. Ed insiste su questo “segreto” perché è in gioco la riuscita della sua stessa missione, da cui dipende la nostra salvezza. Sa infatti che per liberare l’umanità dal dominio del peccato e del demonio, Egli dovrà essere sacrificato sulla croce lasciandosi uccidere come vero Agnello pasquale per giungere Signore alla risurrezione. Il diavolo, da parte sua, cerca di distoglierlo per dirottarlo invece verso la logica umana di un Messia potente e pieno di successo. La croce di Cristo sarà la rovina definitiva del demonio, ed è per questo che Gesù non smette di insegnare ai suoi discepoli che per entrare nella sua gloria, nel dono del suo amore che giunge a noi ossia nel suo regno, deve patire molto, essere rifiutato, condannato e crocifisso (Lc 24,26), essendo al sofferenza parte integrante della sua missione e luogo di apprendimento e di esercizio, con la preghiera, il lavoro, l’attesa del giudizio di Dio, della speranza affidabile che fa vivere il presente, il presente anche faticoso. Gesù soffre e si lascia uccidere in croce per amore ma non poteva soccombere definitivamente alla morte: in concreto nell’Ultima Cena egli ha anticipato e accettato per amore, più forte della morte, la propria morte in croce, trasformandola così nel dono di sé che ci dà la vita, ci libera dal demonio e ci salva. La sua risurrezione è dunque un’esplosione di luce, un’esplosione dell’amore che scioglie le catene di chi non desidera la verità e non è più disponibile ad amare, il demonio, le catene del peccato e della morte. In questo modo ha dato senso alla nostra sofferenza, un senso che molti uomini e donne di ogni epoca hanno capito e fatto proprio, sperimentando serenità profonda anche nell’amarezza di dure prove fisiche e morali. Per esempio occorre dire con chiarezza che l’eutanasia è una falsa soluzione al dramma della sofferenza, una soluzione non degna dell’uomo, una tentazione del demonio che odia e non ama la forza della vita nella sofferenza. La vera risposta non può essere infatti dare la morte, per quanto “dolce” cui spinge Satana, ma testimoniare la verità e l’amore che aiuta ad affrontare il dolore e l’agonia in modo umano: nessuna lacrima, né di chi soffre, né di chi gli sta vicino, va perduta davanti a Dio.