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Pietro e Paolo a Roma: un caso?

Autore:
Oliosi, Don Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
Alla fine il percorso di Pietro e Paolo sbocca a Roma. Perché? Vi è un messaggio duraturo?

«Almeno due volte Pietro e Paolo si sono incontrati a Gerusalemme; alla fine il percorso di ambedue sbocca a Roma. Perché? E’ questo forse qualcosa di più di un puro caso? Vi è contenuto forse un messaggio duraturo (e quindi teologico)? Paolo arrivò a Roma come prigioniero, ma allo stesso tempo come cittadino romano che, dopo l’arresto in Gerusalemme, proprio in quanto tale aveva fatto ricorso all’imperatore, al cui tribunale fu portato. Ma in senso ancora più profondo, Paolo è venuto volontariamente a Roma. Mediante la più importante delle sue Lettere si era avvicinato interiormente a questa città: alla Chiesa in Roma aveva indirizzato lo scritto che più di ogni altro è la sintesi dell’intero suo annuncio e della sua fede. Nel saluto iniziale della Lettera dice che della fede dei cristiani di Roma parla tutto il mondo e che questa fede, quindi, è nota ovunque come esemplare (Rm 1,8). E scrive poi: “Non voglio pertanto che ignoriate, fratelli, che più volte mi sono proposto di venire fino a voi, ma finora ne sono stato impedito” (1,13). Alla fine della Lettera riprende questo tema parlando ora del suo progetto di andare fino in Spagna. “Quando andrò in Spagna spero, passando, di vedervi, e di essere da voi aiutato per recarmi in quella regione, dopo aver goduto un poco della vostra presenza” (15,24). “E so che, giungendo presso di voi, verrò con la pienezza della benedizione di Cristo” (15,29). Sono due cose che qui si rendono evidenti: Roma è per Paolo una tappa sulla via verso la Spagna, cioè - secondo il suo concetto del mondo - verso il lembo estremo della terra. Considera sua missione la realizzazione del compito ricevuto da Cristo di portare il Vangelo sino agli estremi confini del mondo. In questo percorso ci sta Roma. Mentre di solito Paolo va soltanto nei luoghi in cui il Vangelo non è ancora annunciato, Roma costituisce una eccezione. Lì egli trova una Chiesa della cui fede parla il mondo. L’andare a Roma fa parte dell’universalità della sua missione come inviato a tutti i popoli. La via verso Roma, che già prima del suo viaggio esterno egli ha percorso interiormente con la sua Lettera, è parte integrante del suo compito di portare il vangelo a tutte le genti - di fondare la Chiesa cattolica, universale. L’andare a Roma è per lui espressione della cattolicità della sua missione. Roma deve rendere visibile la fede a tutto il mondo, deve essere il luogo dell’incontro nell’unica fede.
Ma perché Pietro è andato a Roma? Su ciò il Nuovo Testamento non si pronuncia in modo diretto. Ci dà tuttavia qualche indicazione. Il Vangelo di san Marco, che possiamo considerare un riflesso della predicazione di san Pietro, è intimamente orientato verso il momento in cui il centurione romano, di fronte alla morte in croce di Gesù Cristo, dice, “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio! (15,39). Presso la Croce si svela il mistero di Gesù Cristo. Sotto la Croce nasce la Chiesa delle genti: il centurione del plotone romano di esecuzione riconosce in Cristo il Figlio di Dio. Gli Atti degli Apostoli descrivono come tappa decisiva per l’ingresso del Vangelo nel mondo dei pagani l’episodio di Cornelio, il centurione della coorte italica. Dietro un comando di Dio, egli manda qualcuno a prendere Pietro e questi, seguendo pure lui un ordine divino, va nella casa del centurione e predica. Mentre sta parlando, lo Spirito Santo scende sulla comunità domestica radunata e Pietro dice: “Forse che si può proibire che siano battezzati con l’acqua questi che hanno ricevuto lo Spirito Santo al pari di noi” (At 15,9). Così, nel Concilio degli Apostoli, Pietro diventa l’intercessore per la Chiesa dei pagani i quali non hanno bisogno della Legge, perché Dio ha “purificato i loro cuori con la fede” (At 15,9). Certo, nella Lettera ai Galati Paolo dice che Dio ha dato a Pietro la forza per il ministero apostolico tra i circoncisi, a lui, Paolo, invece per il ministero tra i pagani (2,8). Ma questa assegnazione poteva essere in vigore soltanto finché Pietro rimaneva con i Dodici a Gerusalemme nella speranza che tutto Israele aderisse a Cristo. Di fronte all’ulteriore sviluppo, i Dodici riconobbero l’ora in cui anch’essi dovevano incamminarsi verso il mondo intero, per annunciargli il Vangelo. Pietro che, secondo l’ordine di Dio, per primo aveva aperto la porta ai pagani lascia ora la presidenza della Chiesa cristiano - giudaica a Giacomo il minore, per dedicarsi alla sua vera missione: al ministero per l’unità dell’unica Chiesa di Dio formata da giudei e pagani. Il desiderio di san Paolo di andare a Roma sottolinea - come abbiamo visto - tra le caratteristiche della Chiesa soprattutto la parola “cattolica”. Il cammino di san Pietro verso Roma, come rappresentante dei popoli del mondo, sta soprattutto sotto la parola “una”: il suo compito è di creare l’unità della cattolica, della Chiesa formata da giudei e pagani, della Chiesa di tutti i popoli. Ed è questa la missione permanente di Pietro: far sì che la Chiesa non si identifichi mai con una sola nazione, con una sola cultura o con uno solo Stato. Che sia sempre la Chiesa di tutti. Che riunisca l’umanità al di là di ogni frontiera e, in mezzo alle divisioni di questo mondo, renda presente la pace di Dio, la forza riconciliatrice del suo amore. Grazie alla tecnica dappertutto uguale, grazie alla rete mondiale di informazioni, come anche grazie al collegamento di interessi comuni, esistono oggi nel mondo modi nuovi di unità, che però fanno esplodere anche nuovi contrasti e danno nuovo impeto a quelli vecchi. In mezzo a questa unità esterna, basata sulle cose materiali, abbiamo tanto più bisogno dell’unità interiore, che proviene dalla pace di Dio - unità di tutti coloro che mediante Gesù Cristo sono diventati fratelli e sorelle. E’ questa la missione permanente di Pietro e anche il compito particolare affidato alla Chiesa di Roma» [Benedetto XVI, Omelia nella Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, 29 giugno 2008].

Ha impressionato tutti, nell’omelia di Benedetto XVI il 28 giugno all’apertura dell’“Anno Paolino” alla presenza del Patriarca Ecumenico Bartolomeo I, questa riflessione: come, secondo il Libro della Genesi, l’uomo e la donna diventano una carne sola, così Cristo con i suoi diventa un solo spirito, cioè un unico soggetto nel mondo nuovo della risurrezione (1 Cor 6, 16ss). In tutto ciò traspare il mistero eucaristico, nel quale Cristo dona continuamente il suo Corpo e fa di noi il suo Corpo: “Il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il Corpo di Cristo? Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane” (1 Cor 10,16s). Con queste parole si rivolge a noi, in quest’ora, non soltanto Paolo, ma il Signore stesso: come avete potuto lacerare il mio Corpo? Davanti al volto di Cristo, questa parola diventa al contempo una richiesta urgente: riportaci insieme da tutte le divisioni. Fa che oggi diventi nuovamente realtà. E Benedetto XVI nell’invitare ad accogliere con il cuore aperto le riflessioni di Sua Santità Bartolomeo I prima della sua omelia, ha espresso la speranza di vedere avvicinarsi il giorno della piena comunione tra cattolici e ortodossi con la comunione eucaristica, centro dell’esistenza cristiana, in virtù della quale tutti, come anche ogni singolo può in modo tutto personale sperimentare: Egli mi ha amato e ha dato se stesso per me. Anche il Patriarca Ecumenico ha riconosciuto che il “Dialogo teologico tra le nostre Chiese “in fede, verità e amore”, grazie all’aiuto divino, va avanti, al di là delle notevoli difficoltà che sussistono ed alle note problematiche. Desideriamo veramente e preghiamo assai per questo; che queste difficoltà siano superate e che i problemi vengano meno, il più velocemente possibile, per raggiungere l’oggetto del desiderio finale, a gloria di Dio. Tale desiderio sappiamo bene essere anche il Vostro, come siamo certi che Vostra Santità non tralascerà nulla lavorando di persona”.
Nell’Omelia Benedetto XVI ha rilevato che “per il loro martirio, essi, - Pietro e Paolo - fanno adesso parte di Roma: mediante il martirio anche Pietro è diventato cittadino romano per sempre. Mediante il martirio, mediante la loro fede e il loro amore, i due Apostoli indicano dove sta la vera speranza, e sono fondatori di un nuovo genere di città, che deve formarsi sempre di nuovo in mezzo alla vecchia città umana, la quale resta minacciata dalle forze contrarie del peccato e dell’egoismo degli uomini”.
Attraverso il loro martirio, Pietro e Paolo sono in reciproco rapporto per sempre portando a Roma il ministero apostolico, la comunione gerarchica che hanno vissuto originariamente con la Chiesa cristiano - giudaica di Gerusalemme creando a Roma, sotto la preminente e decisiva azione guida dello Spirito, l’unità della cattolica, della Chiesa formata da giudei e pagani, della Chiesa di tutti i popoli.
Un’immagine preferita dell’iconografia cristiana è l’abbraccio dei due Apostoli in cammino verso il martirio. Possiamo dire: il loro stesso martirio, nel più profondo, è la realizzazione di un abbraccio fraterno con giudei e pagani convertiti. Essi muoiono per l’unico Cristo e, nella testimonianza per la quale danno la vita, sono una cosa sola. Attraverso gli scritti del Nuovo Testamento possiamo seguire lo sviluppo del loro abbraccio, questo fare unità nella testimonianza e nella missione. Tutto inizia quando Paolo, tre anni dopo il suo cambiamento, va a Gerusalemme, “per consultare Cefa” (Gal 1,18). Quattordici anni dopo, egli sale di nuovo a Gerusalemme, per esporre “alle persone più ragguardevoli” il Vangelo che egli predica, per non trovarsi nel rischio “di correre o di aver corso invano” (Gal 2,1). Alla fine di questo incontro, Giacomo, Cefa e Giovanni gli danno la mano destra, confermando così la comunione che li congiunge nell’unico Vangelo di Gesù Cristo (Gal 2,9). Un bel segno di questo interiore abbraccio in crescita, che si sviluppa nonostante la diversità dei temperamenti e dei compiti è la presenza dei collaboratori menzionati alla fine della Prima Lettera di san Pietro -Silvano e Marco - sono anche collaboratori altrettanto stretti di san Paolo. Nella comunanza dei collaboratori si rende visibile in modo molto concreto la comunione dell’unica Chiesa, l’abbraccio dei grandi Apostoli.

Ogni celebrazione eucaristica, il cuore stesso della vita della Chiesa, si attua “in unione con il nostro papa”
Il riconoscimento del papa e della sua funzione nella Chiesa è riconoscimento di colui che non si è ritirato nel cielo, lasciando sulla terra una schiera di seguaci che mandano avanti “la sua causa”, ma riconoscimento della presenza della Persona di Gesù Cristo che sacramentalmente opera, attraverso gli uomini, quanto è in suo potere operare. Ma come si può pretendere che il perno visibile dell’unità della Chiesa sia il papa?
In nessun luogo la risposta a tale questione è più evidente che nella preghiera fondamentale della Chiesa, cioè nella preghiera eucaristica. In essa non solo si esprime, ma continuamente si attua e si rinnova di giorno in giorno anche il cuore stesso della vita della Chiesa.
Nell’Eucaristia, in ultima analisi, Cristo è davvero “tutto”. Egli prega per noi e pone sulle nostre labbra la sua preghiera, poiché soltanto lui può dire: questo è il mio corpo” e “questo è il mio sangue”. Così egli ci incorpora in sé, nell’atto d’amore in cui egli eternamente esiste. Contemporaneamente, e seguendo la più antica tradizione ecclesiale, in ogni celebrazione eucaristica noi diciamo di attuarla “in unione con il nostro papa”. Cristo dona se stesso nell’eucaristia, e in ogni luogo egli è integralmente presente: perciò, dovunque è celebrata l’eucaristia, là è presente il mistero della Chiesa nella sua pienezza e totalità. Proprio perché nell’eucaristia il Cristo totale, indiviso e indivisibile, offre se stesso, l’eucaristia può essere autentica soltanto quando viene celebrata in unità con tutta la Chiesa. Cristo lo abbiamo tra noi soltanto se lo celebriamo insieme agli altri.
Poiché, dunque, nell’eucaristia non si tratta che di Cristo, essa è per questa ragione il sacramento della Chiesa. E per lo stesso motivo, essa non può essere attuata che nell’unità con la Chiesa tutta intera, e nell’unità della potestà e del mandato che le sono stati affidati. Per questo il pontefice è inscritto, come su dimensione costitutiva, nella preghiera eucaristica. La comunione con lui è comunione con la totalità, senza la quale non si dà comunione con Cristo.

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