Aborto e divorzio, ferite da curare
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«“Non esiste per l’uomo altra fonte di speranza al di fuori della misericordia di Dio” (Giovanni Paolo II, 17 agosto 2002). A partire da questa misericordia la Chiesa coltiva un’indomabile fiducia nell’uomo e nella sua capacità di riprendersi. Essa sa che, con l’aiuto della grazia, la libertà umana è capace del dono di sé definitivo e fedele, che rende possibile il matrimonio di un uomo e una donna come patto indissolubile, che la libertà umana anche nelle circostanze più difficili è capace di straordinari gesti di sacrificio e di solidarietà per accogliere la vita di un nuovo essere umano. Così si può vedere che i “no” che la Chiesa pronuncia nelle sue indicazioni morali e sui quali talvolta si ferma in modo unilaterale l’attenzione dell’opinione pubblica, sono in realtà dei grandi “sì” alla dignità della persona umana, alla sua vita e alla sua capacità di amare. Sono l’espressione della fiducia costante che, nonostante le loro debolezze,tutti gli esseri umani sono in grado di corrispondere alla altissima vocazione per cui sono stati creati: quella di amare» [Benedetto XVI, Convegno “L’olio sulle ferite”, 5 aprile 2008].
Perché l’esperienza della fede e dell’amore cristiano per ogni vita dal concepimento al termine naturale sia accolta e vissuta privatamente e pubblicamente e si trasmetta da una generazione all’altra, una questione fondamentale e decisiva anche a livello sociale e politico, è quella dell’educazione di ogni persona fin dagli inizi e in continuità intergenerazionale o tradizione. Ma prima dei “no” morali a forme deboli e deviate di amore, come alle contraffazioni individualistiche della libertà e alla riduzione della ragione soltanto a ciò che è calcolabile e manipolabile in forma a-storica, occorre annunciare e testimoniare la bontà e la bellezza dei “sì” all’amore autentico erotico ed agapico, alla realtà di ogni essere umano nel proprio e altrui essere dono del Donatore divino, che è Logos e Amore, cioè occorre preoccuparsi della formazione dell’intelligenza di ogni persona umana nella sua unità di anima - corpo, di relazione verginale e coniugale di uomo-donna, di- io comunità nel tempo e nello spazio, senza trascurare quelle attuali della sua libertà e capacità di amore. E per questo è necessario il ricorso all’aiuto soprannaturale della Grazia cioè di quel fuoco soprannaturale di amore fino al perdono che è la misericordia. E si innesta qui il grande compito dei discepoli del Signore Gesù, che in continuità dinamica o tradizione fin dagli inizi dell’evangelizzazione, dell’annuncio dell’incontro nella Chiesa con la Persona di Gesù Cristo che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva, si trovano compagni con tanti fratelli, di ieri, di oggi e di domani, uomini e donne di buona volontà dotati di un “cuore che vede. Questo cuore vede dove c’è bisogno di amore e agisce in modo conseguente” (Deus caritas est, 31). Solo in questo modo oggi giovani e anziani, cattolici e laici potranno contrastare efficacemente quel rischio per le sorti della famiglia umana che è costituito dallo squilibrio tra la crescita tanto rapida del nostro potere tecnico e la crescita ben più faticosa delle nostre risorse morali chiamate oggi anche a un senso di maggiore responsabilità dei genitori che si separano o divorziano: percorsi che vedono molto spesso i figli trasformati in merci o strumenti, oggetto di contese, vendette, rivendicazioni e nonni emarginati o addirittura eliminati. Per questa emergenza un’educazione vera ha bisogno di risvegliare, fin dagli inizi del percorso educativo, il coraggio, la bellezza e la bontà delle decisioni definitive, che oggi, una mentalità dominante con tutta la forza mediatica e propagandistica, le fa ritenere un vincolo che mortifica la nostra libertà e che in realtà invece, sono indispensabili per crescere e raggiungere qualcosa di grande nella vita, in particolare per far maturare l’amore in tutta la sua bellezza: quindi per dare consistenza e significato alla stessa libertà e creatività.
Il Papa, riferendosi alla riflessioni e al dialogo del Convegno promosso dal Pontificio consiglio “Giovanni Paolo II” per studi su matrimonio e famiglia, così si esprime: “vi siete chinati sulle vittime colpite dalle ferite del divorzio e dell’aborto, Avete innanzitutto constatato le sofferenze, talvolta traumatiche, che colpiscono i cosiddetti “figli del divorzio”, segnando la loro vita fino a renderne molto difficile il cammino. E’ infatti inevitabile che quando si spezza il patto coniugale ne soffrano soprattutto i figli, che sono il segno vivente della sua indissolubilità. L’attenzione solidale e pastorale dovrà quindi mirare a far sì che i figli non siano vittime innocenti tra i genitori che divorziano, che sia per quanto possibile assicurata la continuità del legame con i loro genitori ed anche quel rapporto con le proprie origini familiari e sociali che è indispensabile per runa equilibrata crescita psicologica e umana. Avete anche volto la vostra attenzione al dramma dell’aborto procurato, che lascia segni profondi, talvolta indelebili nella donna che lo compie e nelle persone che la circondano, e che produce conseguenze devastanti sulla famiglia e sulla società, anche la mentalità materialistica di disprezzo della vita, che favorisce. Quante egoistiche complicità stanno spesso alla radice di una decisione sofferta che tante donne hanno dovuto affrontare da sole e di cui portano nell’animo una ferita non ancora rimarginata!”
Aborto e divorzio ferite da curare
E’ per amore e per prevenire che la Chiesa richiama che divorzio, aborto, rottura della dinamica continuità intergenerazionale, sono una grave ingiustizia, piaghe che comportano tanta sofferenza nella vita delle persone, delle famiglie,della chiesa, della società. “Si davvero - ha detto il Papa - gli uomini e le donne dei nostri giorni si trovano talvolta spogliati e feriti, ai margini delle strade che percorriamo, spesso senza che nessuno ascolti il loro grido di aiuto e si accosti alla loro pena, per alleviarla e curarla. Nel dibattito spesso puramente ideologico, si crea nei loro confronti una specie di congiura del silenzio. Solo nell’atteggiamento dell’amore misericordioso ci si può avvicinare per portare soccorso e permettere alle vittime di rialzarsi e di riprendere il cammino dell’esistenza. In un contesto culturale segnato da un crescente individualismo, dall’edonismo e, troppo spesso, anche dalla mancanza di solidarietà e di adeguato sostegno sociale, la libertà umana di fronte alla difficoltà della vita, è portata nella sua fragilità a decisioni in contrasto con l’indissolubilità del patto coniugale o con il rispetto dovuto alla vita umana appena concepita ed ancora custodita nel seno materno. Divorzio e aborto sono scelte di natura certo differente, talvolta maturate in circostanze difficili e drammatiche, che comportano spesso traumi e sono fonte di profonde sofferenze per chi le compie. Esse colpiscono anche vittime innocenti: il bambino appena concepito e non ancora nato., i figli coinvolti nella rottura dei legami familiari. In tutti lasciano ferite che segnano la vita indelebilmente. Il giudizio della Chiesa a riguardo del divorzio e dell’aborto procurato è chiaro e a tutti noto: si tratta di colpe gravi che, in misura diversa e fatta salva la valutazione delle responsabilità soggettive, ledono la dignità della persona umana, implicano una profonda ingiustizia nei rapporti umani e sociali e offendono Dio stesso, garante del patto coniugale e autore della vita. E tuttavia la Chiesa, sull’esempio del suo divino Maestro. Ha sempre di fronte le persone concrete, soprattutto quelle dei più deboli e innocenti, che sono vittime delle ingiustizie e dei peccati, ed anche quegli altri uomini e donne, che avendo compiuto tali atti si sono macchiati di colpe e ne portano le ferite interiori, cercando la pace e la possibilità di una ripresa. A queste persone la Chiesa ha il dovere primario di accostarsi con amore e delicatezza, con premura e attenzione materna, per annunciare la vicinanza misericordiosa di Dio in Gesù Cristo”. Qui c’è tutta la fede professata, celebrata, vissuta, pregata per cui la presenza del Risorto attraverso i suoi è il vero Buon Samaritano, che si fa nostro prossimo, che versa l’olio e il vino sulle nostre piaghe e che ci conduce nella locanda, la Chiesa, in cui ci fa curare, affidandoci ai suoi ministri e pagando di persona in anticipo per la nostra guarigione. “Sì, il vangelo dell’amore e della vita è anche sempre vangelo della misericordia, che si rivolge all’uomo concreto e peccatore che noi siamo, per risollevarlo da qualsiasi caduta, per ristabilirlo da qualsiasi ferita”. E qui emerge una verità fondamentale della tensione morale cristiana: mai il peccato, anche il più grave, definisce una persona, neanche mille peccati perché, fino al momento terminale della vita, resta la possibilità di rendersi conto, ripentirsi, lasciarsi riconciliare, ricreare e cominciare di nuovo poiché con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in qualche modo ad ogni uomo, pienamente con il Battesimo perché si è divenuti figli nel Figlio, prodighi spesso ma sempre figli attesi nella Casa del Padre. E Benedetto XVI ha fatto totalmente propria l’esortazione rivolta, nell’enciclica Evangelium vitae, alle donne che hanno ricorso all’aborto, pur richiamando che quanto compiuto rimane una grave ingiustizia e non sia in sé rimediabile: “Non lasciatevi prendere dallo scoraggiamento e non abbandonate la speranza. Sappiate comprendere, piuttosto, ciò che si è verificato e interpretatelo nella sua verità. Se ancora non l’avete fatto, apritevi con umiltà e fiducia al pentimento: il Padre di ogni misericordia vi aspetta per offrirvi il suo perdono e la sua pace nel sacramento della Riconciliazione. Allo stesso Padre e alla sua misericordia potete affidare con speranza il vostro bambino” (n. 99). Benedetto XVI ha concluso che tutte le iniziative sociali e pastorali di associazioni e movimenti che sono rivolte alla riconciliazione e alla cura delle persone ferite dal dramma dell’aborto e del divorzio costituiscono tante altre forme di impegno, elementi essenziali per la costruzione di quella civiltà dell’amore, di cui mai come oggi l’umanità ha bisogno.
Presenza dei nonni nella famiglia, nella Chiesa e nella società, con uno sguardo capace di comprendere, in continuità dinamica o tradizione, il passato, il presente e il futuro.
“In passato - ha detto il Papa ai partecipanti dell’assemblea plenaria del Pontificio consiglio per la famiglia che aveva per tema: “I nonni, la loro testimonianza e presenza nella famiglia” - i nonni avevano un ruolo importante nella vita e nella crescita della famiglia. Anche quando l’età avanzava, essi continuavano ad essere presenti con i loro figli, con i nipoti e magari pronipoti, dando viva testimonianza di premura, di sacrificio e di un donarsi senza riserve. Erano testimoni di una storia personale e comunitaria che continuava a vivere nei loro ricordi e nella loro saggezza (o tradizione). Oggi, l’evoluzione economica e sociale ha portato profonde trasformazioni nella vita delle famiglie. Gli anziani, tra cui molti nonni, si sono trovati in una sorta di “zona di parcheggio”: alcuni si accorgono di essere un peso in famiglia e preferiscono vivere soli o in case di riposo, con tutte le conseguenze che queste scelte comportano. Da più parti poi sembra purtroppo avanzare la “cultura della morte”, che insidia anche la stagione della terza età. Con crescente insistenza si giunge persino a proporre l’eutanasia come soluzione per risolvere certe situazioni difficili. La vecchiaia, con i suoi problemi legati ai nuovi contesti familiari e sociali a causa dello sviluppo moderno, va valutata con attenzione e sempre alla luce della verità sull’uomo, sulla famiglia e sulla comunità”. In questa affermazione il Papa invita al riconoscimento che l’esperienza e la dimostrazione nel corso di generazioni, il fondo storico nella sua continuità dinamica dell’umana sapienza, sono un segno della sua ragionevolezza e del suo perdurante significato per il presente e per il futuro. Di fronte alla tentazione di un logos, di un significato a-storico della vita che cerca di auto costruirsi soltanto a-storicamente, la sapienza dell’umanità come tale - la sapienza delle grandi tradizioni religiose nella ricerca del vero, del bene, di Dio e in questo cammino le utili luci sorte lungo la storia della fede cristiana - è da valorizzare come realtà che non si può impunemente gettare nel cestino della storia delle idee. Nell’appartenenza al vissuto divino -umano di Cristo, un fatto incancellabile nella storia, è il popolo di Dio di ieri, di oggi e di sempre il luogo di sicura realizzazione. Lo strumento più grande della comunicazione del vero nella vita della Chiesa è la sua stessa continuità. Si chiama Tradizione cioè la coscienza della comunità che vive ora il fatto dell’incarnazione, morte e risurrezione di Gesù Cristo, ricca, con il dono continuo del Suo Spirito, della memoria di tutta la sua vicenda storica. La Tradizione della Chiesa cui apparteniamo è il luogo vivente in cui avviene questa continuità della fede professata, celebrata, vissuta, pregata, vagliando le situazioni e saggiando ciò che è permanentemente valido nelle forme cangianti. Nel contesto della Rivelazione cristiana, la trasmissione dell’unica Parola avviene nella storia con una crescita nella comprensione delle esigenze che vi sono implicite, senza che sia possibile lasciar cadere neppure un frammento della volontà di Dio. In questo orizzonte di continuità fra ieri, oggi e nel futuro, di luce veritativa o tradizione occorre sempre reagire con forza a ciò che disumanizza la società con la pretesa rivoluzionaria di cominciare da zero. “Le comunità parrocchiali e diocesane - ha concluso il Papa - sono fortemente interpellate da queste problematiche e stanno cercando di venire incontro alle moderne esigenze degli anziani. Ci sono associazioni e movimenti che hanno abbracciato questa causa importante. Occorre unirsi per sconfiggere insieme ogni emarginazione, perché ad essere travolti dalla mentalità individualistica non sono solo loro - i nonni, le nonne, gli anziani - ma tutti…Non si può, infatti, progettare il futuro senza rifarsi al passato carico di esperienze significative e di punti di riferimento spirituale e morale”: il passato senza attualizzazione e apertura al futuro è morto. E in questa fiducia intergenerazionale scorgere tutte le luci sorte lungo la continuità storica della fede cristiana, percependo così i continui incontri ecclesiali con la Persona di Gesù Cristo come la Luce che illumina la storia ed aiuta a trovare l’orizzonte sicuro, la speranza affidabile e la direzione morale decisiva per tutti e per tutto.