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Non abbandoniamo la sua mano!

Autore:
Oliosi, Don Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
“Vado e vengo da voi” (Gv, 14,28). Il suo andare via diventa un modo universale della presenza del Risorto

«Cari fratelli e sorelle! Nel suo discorso d’addio, Gesù ha annunciato ai discepoli la sua imminente morte e risurrezione con una frase misteriosa. Dice: “Vado e vengo da voi” (Gv 14,28). Il morire è un andare via. Anche se il corpo del deceduto rimane ancora – egli personalmente è andato via verso l’ignoto e noi non possiamo seguirlo (Gv 13,36). Ma nel caso di Gesù c’è una novità unica che cambia il mondo. Nella nostra morte l’andare via è una cosa definitiva, non c’è ritorno. Gesù, invece, dice della sua morte: “Vado e vengo da voi”. Proprio nell’andare via, Egli viene. Il suo andare inaugura un modo tutto nuovo e più grande della sua presenza. Col suo morire Egli entra nell’amore del Padre. Il suo morire è un atto d’amore. L’amore, però, è immortale. Per questo il suo andare via si trasforma in un nuovo venire, in una forma di presenza che giunge più nel profondo e non finisce più» [Benedetto XVI, Omelia veglia pasquale, 22 marzo 2008].

La risurrezione di Cristo è un fatto avvenuto nella storia, di cui gli Apostoli sono stati testimoni e non certo creatori. Nello stesso tempo essa non è affatto un semplice ritorno alla nostra vita terrena; è invece la più grande “mutazione” mai accaduta, il “salto” decisivo verso una dimensione di vita profondamente nuova, l’ingresso in un ordine decisamente diverso, che riguarda Gesù di Nazareth, ma con Lui anche noi, tutta la famiglia umana, la storia e l’intero universo.
Nella sua vita terrena Gesù, come tutti noi, era legato alle dimensioni dell’esistenza corporea: a un determinato luogo e a un determinato tempo. La corporeità pone dei limiti alla nostra esistenza. Non possiamo essere contemporaneamente in due luoghi diversi. Il nostro tempo è destinato a finire. Il mistero della nostra salvezza trova nella risurrezione del Verbo incarnato il suo compimento e insieme l’anticipazione e il pegno della nostra speranza. La cifra di questo mistero è l’amore e soltanto nella logica dell’amore esso può essere accostato e in qualche modo compreso: Gesù Cristo risorge dai morti perché tutto il suo essere è perfetta e intima unione con Dio, che è l’amore davvero più forte della morte. Egli era una cosa sola con la Vita indistruttibile e pertanto poteva donare la propria vita, lasciandosi uccidere, ma non poteva soccombere definitivamente alla morte: in concreto nell’Ultima Cena egli ha anticipato e accettato per amore la propria morte in croce, trasformandola così nel dono di sé, quel dono che ci dà la vita, ci libera e ci salva: vado e vengo da voi. La sua risurrezione è stata dunque come un’esplosione di luce, un’esplosione dell’amore che scioglie le catene del peccato e della morte. Essa ha inaugurato una nuova dimensione della vita e della realtà, dalla quale emerge un mondo nuovo, che penetra continuamente nel nostro mondo, lo trasforma e lo attira a sé.
Tutto ciò avviene concretamente attraverso la vita e la testimonianza della Chiesa; anzi, la Chiesa stessa costituisce la primizia di questa trasformazione, che è opera di Dio e non nostra. Essa giunge a noi mediante la fede e il sacramento del Battesimo, che è realmente morte e risurrezione, rinascita, trasformazione in una vita nuova: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20). E’ stata cambiata la mia identità essenziale e io continuo ad esistere soltanto in questo cambiamento. Il mio proprio io mi viene tolto e viene inserito in un nuovo soggetto più grande, nel quale il mio io c’è di nuovo, ma sempre più trasformato, purificato, “aperto” mediante l’inserimento nell’altro, nel quale acquista il suo nuovo spazio di esistenza. E tra l’io e il tu c’è il muro dell’alterità. Certo nell’amore possiamo in qualche modo entrare nell’esistenza dell’altro. Rimane, tuttavia, la barriera invalicabile dell’essere diversi. Gesù, invece, che ora mediante l’atto di amore è totalmente trasformato, è libero da tali barriere e limiti. Egli è in grado di passare non solo attraverso le porte esteriori chiuse, come ci raccontano i Vangeli (Gv 20,19). Può passare attraverso la porta interiore tra l’io e il tu, la porta chiusa tra l’ieri e l’oggi, tra il passato e il domani facendoci diventare “uno in Cristo” (Gal 3,28), un unico soggetto nuovo, un unico Popolo di Dio con chi è vissuto prima di noi e con chi verrà dopo di noi, e il nostro io viene liberato dal suo isolamento. “Io, ma non più io”: è questa la formula dell’esistenza cristiana dentro al tempo, la formula della “novità” cristiana chiamata a trasformare il mondo. Qui sta la nostra gioia pasquale. La nostra vocazione e il nostro compito di cristiani consistono nel cooperare perché giunga a compimento effettivo, nella realtà quotidiana della nostra vita, ciò che lo Spirito santo ha intrapreso in noi col Battesimo: siamo chiamati infatti e ne abbiamo le possibilità soprannaturali a divenire donne e uomini nuovi, per poter essere veri testimoni del Risorto e in tal modo portatori della gioia e della speranza cristiana nel mondo, in concreto, in quella comunità di uomini entro la quale viviamo.

Il suo andare via diventa un venire nel modo universale della presenza del Risorto
Quando, nel giorno del suo ingresso solenne in Gerusalemme, un gruppo di Greci aveva chiesto di vederlo, Gesù aveva risposto con la parabola del chicco di grano che, per portare molto frutto, deve passare attraverso la morte. Con ciò aveva predetto il proprio destino: non voleva allora semplicemente parlare con questo o quell’altro Greco per qualche minuto. Attraverso la sua Croce, mediante il suo andare via, mediante il suo morire come il chicco di grano, sarebbe arrivato veramente presso i Greci, e così essi potevano vederlo e toccarlo nella fede. Il suo andare via diventa un venire nel modo universale della presenza del Risorto, in cui Egli è presente ieri, oggi e in eterno; in cui abbraccia tutti i tempi e tutti i luoghi. E può oltrepassare anche il muro dell’alterità che separa l’io dal tu. Questo è avvenuto esemplarmente con Paolo, il quale descrive il processo della sua conversione e del suo Battesimo con le parole: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20). Mediante la venuta del Risorto, Paolo, incontrandolo, ha ottenuto una identità nuova. Il suo io chiuso e persecutore si è aperto a tutti e a tutto. Ora vive in comunione con Gesù Cristo, nel grande io dei credenti di ieri, di oggi e di domani che sono divenuti – come egli definisce tutto ciò – “uno in Cristo” (Gal 3,28), nel grande io del Popolo di Dio dalla creazione al compimento della storia, cioè la Chiesa.

Con il Battesimo il Risorto viene e congiunge la vita sua con quella del battezzato e dei battezzati tra loro
Le parole di Gesù nel Cenacolo, nel momento della celebrazione del Battesimo, si rendono attuali. Il Signore entra nella vita del battezzando attraverso la porta del cuore per cui non si è più uno accanto all’altro o uno contro l’altro, con quella solitudine che inquieta ogni cuore umano, ma il Risorto viene attraverso le parole e la materialità dell’acqua e congiunge la vita sua di Figlio con quella di ogni battezzato, dentro il fuoco aperto del suo amore come figli, in Lui figlio, di Dio Padre per opera del Suo Spirito. I battezzati diventano una unità, una cosa sola con Lui, e una cosa sola, una fraternità di uguali e liberi, tra di loro.
Le persone battezzate e credenti non sono mai estranee l’una per l’altra. Possono separare continenti, culture, strutture sociali o anche distanze storiche. Ma quando si incontrano, si conoscono in base allo stesso Signore, alla stessa fede, alla stessa speranza, allo stesso amore, che li formano. Ed esperimentano che il fondamento delle loro vite è lo stesso. Sperimentano che nel più profondo del loro intimo sono ancorati alla stessa identità, a partire dalla quale tutte le diversità esteriori, per quanto grandi possano essere, risultano secondarie. I credenti non sono mai totalmente estranei l’uno dall’altro. Sono in comunione a causa della loro identità più profonda: Cristo in loro. Così la fede è una forza di pace e di riconciliazione nel mondo: è superata la lontananza, nel Signore sono diventati vicini (Ef 2,13).

Elementi fondamentali del sacramento del Battesimo sono l’acqua e la luce
Questa intima natura del Battesimo come dono di una nuova identità di figli nel Figlio e quindi fratelli viene rappresentata dalla Chiesa nel Sacramento mediante elementi sensibili. “materiali” e non soltanto con la parola. Gli elementi fondamentali del Battesimo sono l’acqua e la luce.
Nel capitolo conclusivo della Lettera agli Ebrei si trova un’affermazione su Cristo, nella quale l’acqua non compare direttamente, ma che, per il suo collegamento con l’Antico Testamento, lascia tuttavia trasparire il mistero dell’acqua e il suo significato simbolico. Là si legge: “Il Dio della pace ha fatto tornare dai morti il Pastore grande delle pecore in virtù del sangue di un’alleanza eterna” (Eb 13,20). In questa frase echeggia una parola del Libro di Isaia, nella quale Mosé viene qualificato come il pastore che il Signore ha fatto uscire dall’acqua, dal mare (63,11). Gesù appare come il nuovo pastore, quello definitivo che porta a compimento ciò che Mosé aveva fatto: Egli ci conduce fuori dalle acque mortifere del mare, fuori dalle acque della morte. Possiamo in questo modo ricordarci che Mosé dalla madre era stato messo in un cestello e deposto nel Nilo. Poi, per la provvidenza di Dio, era stato tirato fuori dall’acqua, portato dalla morte alla vita, e così – salvato egli stesso dalle acque della morte – poteva condurre gli altri facendoli passare attraverso il mare della morte.
Gesù è per noi disceso nelle acque oscure della morte. M in virtù del suo sangue, ci dice la Lettera agli Ebrei, è stato fatto tornare dalla morte: il suo amore si è unito a quello del Padre e così dalla profondità della morte Egli ha potuto salire alla vita. Ora eleva noi dalla morte alla vita vera. E’ ciò che avviene nel Battesimo: Egli ci tira su verso di Sé, ci attira dentro la vera vita. Ci conduce attraverso il mare spesso così oscuro della storia, nelle cui confusioni e pericoli non di rado siamo minacciati di sprofondare. Nel Battesimo ci prende come per mano, ci conduce sulla via che passa attraverso il Mar Rosso di questo tempo e ci introduce nella vita duratura, in quella vera e giusta. Occorre tener stretta la sua mano. Qualunque cosa successa o ci venga incontro “non abbandoniamo – sottolinea Benedetto XVI – la sua mano! Camminiamo allora sulla via che conduce alla vita”.
In secondo luogo c’è il simbolo della luce. Nella Chiesa antica il Battesimo veniva chiamato anche il Sacramento dell’illuminazione: la luce di Dio entra in noi; così noi stessi diveniamo figli della luce. Questa luce della verità che ci indica la via, occorre non lasciare mai che si spenga. Bisogna proteggerla contro tutte le potenze che intendono estinguerla per rigettarci nel buio su Dio e su noi stessi.
Il buio, di tanto in tanto, può sembrare comodo. Posso nascondermi e passare la mia vita dormendo. Noi però non siamo chiamati alle tenebre, ma alla luce. Nelle promesse battesimali, rinnovate nella Veglia pasquale, accendiamo nuovamente anno dopo anno questa luce: sì, credo che il mondo e la mia vita non provengono dal caso, ma dalla Ragione eterna e dall’Amore eterno, sono creati dal Dio onnipotente, dal Logos creatore e quindi viene capovolta la tendenza, attraverso l’evoluzionismo oggi imposto nelle scuole, a dare il primato all’irrazionale, al caso e alla necessità per ricondurre, come lo sviluppo delle scienze ci riporta, al Logos creatore anche la nostra intelligenza e la nostra libertà riaprendo la nostra razionalità alle grandi questioni del vero e del bene. Sì, credo che in Gesù Cristo, nella sua incarnazione, nella sua croce e risurrezione si è manifestato il Volto di Dio, non un qualsiasi dio, ma quel Dio che possiede un volto umano e che ci ha amati sino alla fine: ogni singolo e l’umanità; che in Lui Dio è presente in mezzo a noi, ci unisce e ci conduce verso la nostra meta, verso l’Amore eterno. Sì, credo che lo Spirito Santo ci dona la Parola di verità ed illumina il nostro cuore; credo che nella comunione della Chiesa diventiamo tutti un solo Corpo col Signore e così andiamo incontro alla risurrezione e alla vita eterna, una meta così sicura e grande da giustificare la fatica del cammino. Il Signore ci ha donato la luce della verità. “Questa luce – ha concluso Benedetto XVI – è insieme anche fuoco, forza da parte di Dio, una forza che non distrugge, ma vuole trasformare i nostri cuori, affinché noi diventiamo veramente uomini di Dio e affinché la sua pace diventi operante in questo mondo”.

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