Essere bambini
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«E ci sono poi i fanciulli che rendono omaggio a Gesù come figlio di Davide ed acclamano l’Osanna. Gesù aveva detto ai suoi discepoli che, per entrare nel Regno di Dio, avrebbero dovuto diventare come i bambini. Egli stesso, che abbraccia il mondo intero, si è fatto piccolo per venirci incontro, per avviarci verso Dio. Per riconoscere Dio dobbiamo abbandonare la superbia che ci abbaglia, che vuole spingerci lontani da Dio, come se Dio fosse nostro concorrente. Per incontrare Dio bisogna divenire capaci di vedere col cuore. Dobbiamo imparare a vedere con un cuore giovane, che non è ostacolato da pregiudizi e non è abbagliato da interessi. Così, nei piccoli che con un simile cuore libero e aperto riconoscono Lui, la Chiesa ha visto l’immagine dei credenti di tutti i tempi, la propria immagine… è la nostra fede abbastanza pura ed aperta, così che a partire da essa anche i “pagani”, le persone che oggi sono in ricerca e hanno le loro domande, possano intuire la luce dell’unico Dio, associarsi negli atri della fede alla nostra preghiera e con il loro domandare diventare forse adoratori pure loro? La consapevolezza che l’avidità è idolatria raggiunge anche il nostro cuore e la nostra prassi di vita? Non lasciamo forse in vari modi entrare gli idoli anche nel mondo della nostra fede? Siamo disposti a lasciarci sempre di nuovo purificare dal Signore, permettendoGli di cacciare da noi e dalla Chiesa tutto ciò che Gli è contrario?» [Benedetto XVI, Omelia, 16 marzo 2008].
Dandosi definitivamente e unendosi in qualche modo con ogni uomo Dio in Gesù è divenuto un bambino. “Divenire uomo” e apparire sacramentalmente nella figura di un uomo concreto vuol dire accettare questo cammino umile che inizia nell’umiltà fin dal concepimento nel grembo materno, comincia con l’infanzia. Per essere anche uomo Dio è divenuto bambino. Che cosa significa “essere un bambino”? E’ innanzitutto dipendenza, necessità di aiuto, il dover ricorrere agli altri. Come bambino, Gesù non viene soltanto da Dio ma anche da altri uomini. E’ stato nove mesi nel grembo di una donna, dalla quale ha ricevuto la sua carne e il suo sangue, i battiti del suo cuore, il suo comportamento, la sua parola. Ha ricevuto la vita dalla vita di un altro essere umano. Una simile derivazione da altri di ciò che è proprio non è un fatto puramente biologico. Significa che Gesù ha ricevuto anche le forme del pensiero e dell’osservazione, l’impronta della sua anima umana da uomini esistiti prima di Lui e infine dalla sua Madre. Significa che con il retaggio dei suoi antenati ha voluto seguire la via tortuosa che da Maria, in continuità con il Suo Popolo, riconduce ad Abramo ed infine ad Adamo. Ha portato in sé il peso di questa storia che come Popolo di Dio lo ha atteso promettendo che rimarrà sempre con il Popolo che lo realizza nella storia come Suo corpo, la Chiesa, fino al compimento della salvezza; questa storia umana l’ha vissuta e sofferta, purgandola da tutti i rifiuti ed errori che sono successi e succederanno fino al puro “Sì”: “Infatti il Figlio di Dio Gesù Cristo non fu “Sì” e “No”, ma in Lui c’è stato il “Sì”” Padre (2 Cor 1,19).
Il posto di risalto che Gesù stesso conferisce all’essere bambini
E’ significativo il posto di risalto che Gesù stesso conferisce all’essere bambini per ogni uomo chiamato ad assimilarsi liberamente a Lui per amare in modo divino cioè per essere santo, per realizzarsi liberamente: nel Vangelo sono i fanciulli che rendono omaggio a Gesù come figlio di Davide ed acclamano l’Osanna al Figlio di Dio incarnato. Gesù dice ai suoi discepoli che, per entrare nel Regno di Dio, avrebbero dovuto ridiventare come i bambini. Egli stesso per abbracciare il mondo intero si è fatto piccolo per venirci incontro, per avviarci verso Dio. Essere bambini non è quindi per Gesù uno stadio puramente biologico e che viene in seguito completamente cancellato; nell’infanzia ciò che è proprio di ogni uomo nel suo essere dono del Donatore divino si realizza facendosi consapevolmente dono a tutti: chi ha perduto l’essenza dell’infanzia è egli stesso perduto. Possono esserci persone che hanno distrutto totalmente in se stesse il proprio essere dono e la disponibilità a farsi dono cioè la verità; persone che hanno vissuto per l’odio e hanno calpestato in se stese l’amore e quindi in se stesse non ci sarebbe più niente di rimediabile e la distruzione del bene sarebbe irrevocabile: è questo che si indica con la parola inferno. Da questo, immedesimandoci con l’aspetto umano di Gesù, possiamo immaginare quanto in Egli sia felice il ricordo dei giorni della sua infanzia, quanto l’infanzia sia rimasta per lui un’esperienza preziosa, una radice cui continuamente rifarsi, una forma particolarmente pura di umanità, del suo essere dono e del farsi dono. E le persone che si lasciano assimilare a Lui interamente penetrate da Dio e di conseguenza totalmente aperte al prossimo – persone con una grande infanzia spirituale, delle quali la comunione con Dio le fa diventare piccole e il cui andare verso Dio conduce solo a compimento ciò che ormai sono cioè Paradiso.
La caratteristica dell’essere bambini
Ma che cosa è esattamente la caratteristica dell’essere bambini, che Gesù considera così insostituibile? Non è certamente una trasfigurazione romantica dei piccoli, o un giudizio morale, ma una connotazione più profonda. Dobbiamo pensare che l’appellativo centrale di Gesù, quello che esprime la sua dignità, è quello di “Figlio”, come per noi l’essere cristiani “figli nel Figlio”. Pur chiedendoci in quale misura questa designazione fosse già prefigurata oralmente nelle stesse parole storiche di Gesù, essa costituisce indubbiamente il tentativo di riassumere in una parola l’impressione totale della sua vita, come per noi il Figlio Gesù Cristo che vive in noi: l’“io, ma non più io” è la formula dell’esistenza cristiana fondata sul Battesimo,la formula della risurrezione dentro al tempo, la formula della “novità” cristiana chiamata a trasformare il mondo. Qui sta la nostra gioia pasquale.
L’orientamento della vita di Gesù, da assimilare continuamente per amare in modo divino, il motivo originario e l’obiettivo che la modellarono si esprimono in una parola: Abba – Padre amato. Gesù sapeva, e noi siamo chiamati liberamente ad assimilarci a Lui, di non essere mai solo, e fino all’ultimo grido sulla Croce seguì colui che chiamava Padre, tutto proteso verso di Lui. Soltanto così è possibile,che abbia voluto infine chiamarsi non re, non signore o con altro nome come attributo di potere, ma usando una parola, Figlio, che potremmo anche tradurre con “bambino”. Potremmo dire: l’infanzia assume un posto così straordinario nella predicazione di Gesù perché è quella che corrisponde più profondamente al suo mistero più personale, la sua figliolanza nell’eternità e nel tempo. La sua dignità più alta, che rimanda alla sua divinità, non è in definitiva un potere da Lui posseduto; si fonda sul suo essere rivolto verso l’altro – Dio, il Padre e verso noi, figli nel Figlio. Capiamo allora, perché il Papa invita, come in ogni tempo, anche la Chiesa di oggi a scacciare i mercanti dal tempio. Per vivere da figli nel Figlio occorre abbandonare “la superbia che ci abbaglia, che vuole spingerci lontani da Dio, come se Dio fosse nostro concorrente”. Per diventare quello che siamo come creature cioè dono del Donatore divino, quello a cui siamo destinati come figli nel Figlio, “bisogna divenire capaci di vedere col cuore. Dobbiamo imparare a vedere con un cuore giovane, che non è ostacolato da pregiudizi e non è abbagliato da interessi”. E il papa ha posto un interrogativo davanti ai 50 mila presenti, Domenica 16 marzo, in piazza san Pietro e a tutta la Chiesa di fronte al mondo da evangelizzare: “la nostra fede è abbastanza pura ed aperta, così che a partire da essa anche i ‘pagani’, le persone che oggi sono in ricerca e hanno le loro domande, possano intuire la luce dell’unico Dio, associarsi negli atri della fede alla nostra preghiera e con il loro domandare diventare forse adoratori pure loro? La consapevolezza che l’‘avidità’ è idolatria raggiunge anche il nostro cuore e la nostra prassi di vita? Non lasciamo forse in vari modi entrare gli idoli anche nel mondo della nostra fede? Siamo disposti a lasciarci sempre di nuovo purificare dal Signore, permettendoGli di cacciare da noi e dalla Chiesa tutto ciò che Gli è contrario?Al commercio di animali e agli affari col denaro, Gesù contrappone la sua bontà risanatrice. Essa è la vera purificazione del Tempio. Egli non viene come distruttore; non viene con la spada del rivoluzionario. Viene con il dono della guarigione, si dedica a coloro che a causa della loro infermità vengono spinti agli estremi della loro vita e al margine della società. Mostra Dio come Colui che ama, e il suo amore come il potere dell’amore. E così dice a noi che cosa per sempre farà parte del giusto culto di Dio: il guarire, il servire, la bontà che risana”. Nel Vangelo, ha aggiunto, “sono i fanciulli che rendono omaggio a Gesù come figlio di Davide ed acclamano l’Osanna. Gesù aveva detto ai suoi discepoli che, per entrare nel Regno di Dio, avrebbero dovuto ridiventare come i bambini. Egli stesso, che abbraccia il mondo intero, si è fatto piccolo per venirci incontro, per avviarci verso Dio. Cari amici – ha esortato Benedetto XVI – in questa ora ci associamo alla processione dei giovani di allora, una processione che abbraccia l’intera storia. Insieme ai giovani di tutto il mondo andiamo incontro a Gesù. Da Lui lasciamoci guidare verso Dio, per imparare da Dio stesso il retto modo di essere uomini. Con Lui ringraziamo Dio, perché con Gesù, il Figlio di Davide, ci ha donato uno spazio di pace e di riconciliazione che abbraccia il mondo”.
Essere bambini, assimilare lo spirito di infanzia nel senso di Gesù significa apprendere a dire “Padre”. Ma soltanto se si legge questo nella visuale di Gesù, il Figlio, e nella destinazione di tutti gli uomini a figli nel Figlio, si può misurare l’enorme forza che risiede in questa parola. Ogni uomo originariamente vuole diventare Dio, e deve diventarlo. Quando però, come nell’eterno discorso con il serpente nel paradiso terrestre, egli cerca di arrivarvi, emancipandosi da Dio e dal suo essere suo dono, ponendosi al di sopra e accentrandosi in se stesso, quando, in una parola, diviene completamente adulto ed emancipato e getta interamente via l’infanzia come modo di essere verso il Figlio nel vissuto fraterno del Suo Corpo che è la Chiesa, finisce nel nulla, perché si pone contro la sua verità, il proprio e altrui essere dono del Donatore divino, come di tutto il mondo che lo circonda. Solo conservando, direbbe santa Teresa di Gesù Bambino Dottore della Chiesa, il nucleo più intimo dell’infanzia, l’esistenza cioè di figli nel Figlio vissuta dal Verbo fatto bambino del Padre amato, ogni uomo entra con il Figlio nella divinità, diviene già in questo mondo partecipe di vita veramente vita, eterna nell’anima e nel corpo, pur passando attraverso al morte biologica, ha la speranza affidabile, in virtù della quale possiamo affrontare il nostro presente: il presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto e accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino.
“Beati voi poveri, perché vostro è il Regno di Dio” (Lc 6,20): i poveri hanno preso il posto dei bambini
Ancora una volta, non si tratta di fare del romanticismo sulla povertà, di giudizi morali, etici, politici sui singoli, poveri e ricchi, ma della profondità stessa dell’umanità “Nell’essere poveri – Joseph Card. Ratzinger, Il Cammino Pasquale, p. 72 – risulta abbastanza chiaro ciò che si intende con l’essere bambini: il bambino da solo non possiede niente. Riceve tutto dagli altri per vivere, e proprio in questa sua impotenza e nulla tenenza è libero. Non ha ancora un atteggiamento che mascheri ciò che gli è proprio. Il possesso ed il potere sono i due grossi impegni dell’uomo, il quale diventa prigioniero dei suoi averi e in essi pone la sua anima. Chi nel possesso, non è capace di restare un povero nel suo profondo, consapevole che il mondo è nelle mani di Dio e non nelle sue mani, questi ha davvero perduto quell’infanzia, senza la quale non vi è accesso al Regno”.
Lo stupore di fanciulli non deve scomparire nell’uomo adulto, lo stupore, ossia la capacità di meravigliarsi e di ascoltare, di non interrogarsi solo su ciò che è utile, ma di percepire ugualmente l’armonia delle sfere, e di rallegrarsi proprio di ciò che non serve ad essere usato dall’uomo.
Essere bambini significa dire “padre” ma anche dire “madre”. Se togliamo questa possibilità, eliminiamo di fatto l’elemento umano dell’infanzia di Gesù, lasciando solo la figliolanza del Logos, che ci viene rivelata proprio dall’infanzia umana di Gesù. “Eucaristia – osserva Hans Urs von Balthasar – significa rendimento di grazie: che meraviglia che Gesù renda grazie offrendosi e donandosi senza fine a Dio e agli uomini. Chi ringrazia? Ringrazia certamente Dio Padre, modello primo e fonte di ogni dono… Ma ringrazia anche i poveri peccatori che hanno voluto accoglierlo, che lo lasciano entrare sotto il loro tetto indegno. Ringrazia anche qualcun altro? Lo credo: ringrazia la povera ancella, dalla quale ha ricevuto questa carne e questo sangue quando lo Spirito santo la coprì con la sua ombra… Che cosa impara Gesù da sua madre? Impara il “sì”. Non un sì qualsiasi, ma la parola “sì”, che sempre avanza, senza stancarsi. Tutto quello che tu vuoi, mio Dio… “vedi io sono l’ancella del Signore, Dio faccia di me come tu hai detto”… Questa è la preghiera cattolica, che Gesù ha appreso dalla sua Madre terrena, dalla Cattolica Mater, che era nel mondo prima di lui e che fu ispirata da Dio a pronunciare per prima questa parola della nuova ed eterna alleanza…”.