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Laicità e laicismo

Autore:
Oliosi, Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
L'esclusione della religione dalla vita sociale, in particolare la marginalizzazione del cristianesimo, non è laicità ma laicismo.

Nell’incontro con i giuristi, partecipanti al Congresso nazionale di studio sul tema “La laicità e le laicità”, Benedetto XVI ha offerto il contributo del suo magistero su un tema, quello della laicità, che è oggi di grande interesse, perché evidenzia come nell’attuale contesto culturale essa sia intesa in varie maniere: non c’è una sola laicità, ma diverse, o, meglio, ci sono molteplici maniere di intendere e vivere la laicità, maniere tra loro opposte e persino contraddittorie. E anch’io rivivo il Convegno dell’Università Cattolica a Verona nel 1977 proprio sulla laicità, quando con il Centro Giuseppe Toniolo abbiamo collaborato, notando quanto fosse ideologica la laicità alla francese. Ci si rendeva conto che la rivoluzione americana aveva offerto un modello di Stato moderno, di laicità ben diverso da quello teorizzato dalle tendenze radicali emerse nella seconda fase della rivoluzione francese, oggi, nel post-moderno, attualizzate dal laicismo e dall’alleanza tra relativismo morale e democrazia. Ci si rifaceva al periodo tra le due guerre mondiali e ancora di più dopo la seconda guerra mondiale, con uomini di Stato cattolici che avevano dimostrato che può esistere uno Stato moderno laico, democratico, ma tuttavia non neutro riguardo ai valori, senza escludere le religioni dalla vita sociale e attingendo alle grandi fonti etiche aperte dal cristianesimo.

Sviluppo storico del concetto di laicità

Benedetto ha osservato che per comprendere l’autentico significato di laicità occorre tener conto del suo sviluppo storico. La laicità, nata come indicazione della condizione del semplice fedele cristiano, fedele laico in relazione con il fedele presbitero e il fedele religioso, durante il Medioevo ha avuto momenti di tensione tra i poteri civili e le gerarchie ecclesiastiche. Ma solo nei tempi moderni, con le tendenze radicali emerse nella seconda fase della rivoluzione francese, ha assunto quella della esclusione della religione e dei suoi simboli dalla vita pubblica mediante lo sconfinamento nell’ambito del privato e della coscienza individuale. E così si è scivolati in quell’accezione ideologica opposta a quella che aveva all’origine e che urge superare.

Oggi la laicità viene comunemente intesa come esclusione della religione dai vari ambiti della società e come suo confino nell’ambito della coscienza, del sentimento individuale. La laicità alla francese si esprimerebbe nella totale separazione tra lo Stato e la Chiesa, non avendo quest’ultima titolo alcuno, come invece è riconosciuto nella proposta di Costituzione europea bocciata dalla Francia, ad intervenire su tematiche relative alla vita e al comportamento dei cittadini; “La laicità - osserva Benedetto XVI - comporterebbe addirittura l’esclusione dei simboli religiosi dai luoghi pubblici destinati allo svolgimento delle funzioni proprie della comunità politica: da uffici, scuole, tribunali, ospedali, carceri, ecc. In base a queste molteplici maniere di concepire la laicità si parla oggi di pensiero laico, di morale laica, di scienza laica, di politica laica. In effetti, alla base di tale concezione c’è una visione a-religiosa della vita, del pensiero e della morale: una visione, cioè, in cui non c’è posto per Dio, per un Mistero che trascenda la pura ragione, per una morale di valore assoluto, vigente in ogni tempo e in ogni situazione. Soltanto se ci si rende conto di ciò, si può misurare il peso dei problemi sottesi a un termine come laicità, che sembra essere diventato quasi l’emblema qualificante della post-modernità, in particolare della moderna democrazia”. I “dogmi fondamentali” della modernità cioè la dignità della persona; l’originario legame interpersonale istituito dalla nascita; la vita non come una modificazione dello stato della materia ma come l’essere di un individuo vivente autonomo e uguale a tutti sembrano prosciugarsi. Storicamente le basi umanistiche della nostra convivenza europea, occidentale, sono state generate in larga misura dalla fede cristiana. E’ possibile custodire quelle basi, quelle radici, nei loro contenuti morali e giuridici, ignorando o emarginando dalla vita civile e dalla discussione pubblica quella fede stessa per dare spazio pubblico solo a una visione atea? In Italia si risente ancora - come ha osservato Benedetto XVI al Convegno di Verona – di quelle radici cristiane e in una certa misura esse si vivono ancora. Tuttavia quella base va progressivamente erodendosi nella mente di tanti. La permanenza di istituti costituzionali come la famiglia naturale fondata sul matrimonio, generati dall’idea cristiana di persona, non può durare a lungo. Come ha fatto il Papa a Verona occorre ricominciare a guardare con occhi puri la realtà e ad impegnarci radicandosi consapevolmente sulla Tradizione cristiana e sulla vera laicità come il Concilio Vaticano II ce la presenta.

La laicità alla luce della Gaudium et spes (n. 36) e della Dignitatis humanae

“E’ compito – dice Benedetto XVI ai giuristi cattolici -, allora, di tutti i credenti, in particolare dei credenti in Cristo, contribuire ad elaborare un concetto di laicità che, da una parte, riconosca a Dio e alla sua legge morale, a Cristo e alla sua Chiesa il posto che ad essi spetta nella vita umana, individuale e sociale, dall’altra, affermi e rispetti la “legittima autonomia delle realtà terrene”, intendendo con tale espressione, come ribadisce il Concilio Vaticano II, che “le cose create e le stesse società hanno leggi e valori propri, che l’uomo gradatamente deve scoprire, usare e ordinare”. Tale autonomia è un’“esigenza legittima, che non solo è postulata dagli uomini del nostro tempo, ma anche è conforme al volere del Creatore. Infatti, è dalla stessa loro condizione di creature che le cose ricevono la propria consistenza, verità, bontà, le loro leggi proprie e il loro ordine; e tutto ciò l’uomo è tenuto a rispettare, riconoscendo le esigenze di metodo proprie di ogni singola scienza e arte”(ibid.).Se invece, con l’espressione “autonomia delle realtà temporali” si volesse intendere che le “cose create non dipendono da Dio, e che l’uomo può disporne senza riferirle al Creatore”, allora la falsità di tale opinione non potrebbe sfuggire a chiunque creda in Dio e alla sua trascendente presenza nel mondo creato”. Se ci si affida sempre più al gioco delle opinioni su chi è l’uomo, anziché al diretto contatto conoscitivo personale del proprio e altrui essere dono del Donatore divino, come di tutto il mondo che lo circonda, si prosciuga la certezza, fondamentale e assoluta nella democrazia moderna, di ogni persona come fine e mai riduttivamente mezzo per altri e tanto meno per altro.

La “sana laicità”

“Questa affermazione conciliare costituisce la base dottrinale di quella “sana laicità” che implica l’effettiva autonomia delle realtà terrene, non certo dall’ordine morale, ma dalla sfera ecclesiastica. Non può essere pertanto la Chiesa a indicare quale ordinamento politico e sociale sia da preferirsi, ma è il popolo che deve decidere liberamente i modi migliori e più adatti di organizzare la vita politica. Ogni intervento diretto della Chiesa in tale campo sarebbe un’indebita ingerenza. D’altra parte, la “sana laicità” comporta che lo Stato non consideri la religione come un semplice sentimento individuale, che si potrebbe confinare al solo ambito privato. Al contrario, la religione, essendo anche organizzata in strutture visibili, come avviene per la Chiesa, va riconosciuta come presenza comunitaria pubblica. Questo comporta inoltre che a ogni Confessione religiosa (purché non in contrasto con l’ordine morale e non pericolosa per l’ordine pubblico) sia garantito il libero esercizio delle attività di culto - spirituali, culturali, educative e caritative - della comunità dei credenti. Alla luce di queste considerazioni, non è certo espressione di laicità, ma della sua degenerazione in laicismo, l’ostilità a ogni forma di rilevanza politica e culturale della religione; alla presenza, in particolare, di ogni simbolo religioso nelle istituzioni pubbliche. Come pure non è segno di sana laicità il rifiuto alla comunità cristiana, e a coloro che legittimamente la rappresentano, del diritto di pronunziarsi sui problemi morali che legittimamente la rappresentano, del diritto di pronunziarsi sui problemi morali che oggi interpellano la coscienza di tutti gli esseri umani, in particolare dei legislatori e dei giuristi. Non si tratta, infatti, di indebita ingerenza della Chiesa nell’attività legislativa, propria ed esclusiva dello Stato, ma dell’affermazione e della difesa dei grandi valori che danno senso alla vita della persona e ne salvaguardano la dignità. Questi valori, prima di essere cristiani, sono umani, tali perciò da non lasciare indifferente e silenziosa la Chiesa, la quale ha il dovere di proclamare con fermezza la verità sull’uomo e sul suo destino”.

Certo viviamo in un periodo storico esaltante per i progressi che l’umanità ha compiuto in molti campi del diritto, della cultura, della comunicazione, della scienza e della tecnologia. Però il tentativo di escludere Dio da ogni ambito della vita, presentandolo come antagonista dell’uomo è l’opposto della realtà della verità: Dio invece è amore e vuole il bene e la felicità di tutti gli uomini. Si rafforza la nostra fede puntando a far comprendere che la legge morale da Lui dataci, e che si manifesta a noi con la voce della coscienza, anziché opprimerci, ci libera dalla schiavitù dell’ignoranza, dal male e ci rende felici. Occorre mostrare con il proprio vissuto e con quello del soggetto ecclesiale che senza Dio l’uomo è perduto e che “l’esclusione della religione dalla vita sociale, in particolare la marginalizzazione del cristianesimo, mina le basi stesse della convivenza umana. Prima di essere di ordine sociale e politico, queste basi infatti sono di ordine morale”.

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