2025 06 18 NIGERIA – Leone XIV “terribile massacro”. Di cristiani.
- Autore:
- Curatore:
- Fonte:
Commenta MEOTTI - 200 cristiani bruciati vivi in una notte e neanche una candelina in Occidente
SUDAN - Ucciso da una scheggia di un proiettile di artiglieria il parroco di El Fasher, città assediata
CILE - Curacautín, incendio doloso nella notte: nuovamente distrutta la cappella di San Francesco
SIRIA - Homs, spari contro la croce della cattedrale siro-ortodossa

NIGERIA – Leone XIV “terribile massacro”. Di cristiani.
Papa Leone XIV dalle ore 10 ha presieduto nella basilica di San Pietro la celebrazione eucaristica per il Giubileo dello Sport. Al termine ha richiamato alcune situazioni mondiali:
“… un altro “terribile massacro” è avvenuto tra il 13 e il 14 giugno, nella città di Yelwata, Stato di Benue, in Nigeria. “Circa duecento persone sono state uccise con estrema crudeltà, la maggior parte delle quali erano sfollati interni, ospitati dalla missione cattolica locale”, ha affermato Leone XIV. “Prego affinché la sicurezza, la giustizia e la pace prevalgano in Nigeria, Paese amato”.
E un pensiero è stato anche per la Repubblica del Sudan, schiacciato da una crisi umanitaria che non ha eguali nel mondo. Una terra “da oltre due anni devastata dalle violenze”, ha continuato. “Mi è giunta la triste notizia della morte del Rev.do Luke Jumu, parroco di El Fasher, vittima di un bombardamento”. E anche per il Paese con il più alto numero di sfollati interni al mondo, papa Prevost ha rivolto un appello ai combattenti “affinché si fermino, proteggano i civili e intraprendano un dialogo per la pace.
NIGERIA - “I sopravvissuti del massacro di Yelwata sono terrorizzati e mancano di tutto”
“I sopravvissuti del massacro sono terrorizzati; hanno subito e visto violenze inenarrabili” dice all’Agenzia Fides padre Remigius Ihyula, Coordinatore della Commissione Sviluppo, Giustizia e Pace della diocesi di Makurdi, nello Stato di Benue (nella parte centro-orientale della Nigeria), riferendosi al massacro di un gruppo di sfollati accolti nella missione cattolica di Yelwata, nell’area amministrativa locale di Gouma, citato ieri, 15 giugno, da Papa Leone XIV.
“Si tratta di diverse centinaia di persone che erano state espulse dalle loro fattorie dalle bande di pastori Fulani poi accolte in una struttura della parrocchia di San Giuseppe” dice padre Ihyula. “Un gruppo di pastori Fulani ha assalito la struttura nella notte tra il 13 e il 14 giugno. Si contano almeno 200 morti”. “Oltre ad aver commesso il massacro gli assalitori hanno devastato la struttura. I sopravvissuti mancano ora di tutto, dal cibo ai vestiti, dai materassi alle coperte e ai medicinali” aggiunge il sacerdote.
Secondo padre Ihyula “il massacro ha avuto risalto sui media internazionali per il gran numero di morti, ma qui viviamo uno stillicidio continuo. Un giorno uccidono 3 persone, un altro 10 e così via”.
Il Coordinatore di “Giustizia e Pace” afferma di non condividere affatto la visione propugnata da certa stampa occidentale secondo la quale “i pastori Fulani sono vittime del cambiamento climatico”. Secondo questa interpretazione i cambiamenti climatici spingerebbero i pastori Fulani alla ricerca di nuove terre e fonti di acqua per il loro bestiame, a occupare con la forza le terre degli agricoltori. “No, non si tratta di questo. Le bande di pastori Fulani sono motivate da un’ideologia islamista. Vogliono conquistare le terre degli agricoltori cristiani per potere poi fondare uno Stato Islamico” afferma padre Ihyula. “In quanto responsabile della Commissione Giustizia e Pace della diocesi di Makurdi ho cercato il dialogo con i Fulani. Ma lo hanno sempre respinto” conclude. (L.M.) (Agenzia Fides 16/6/2025)
COMMENTA MEOTTI
200 cristiani bruciati vivi in una notte e neanche una candelina in Occidente
Giulio Meotti 17 giugno 2025
L’attacco è iniziato alle 22. Oltre 40 uomini armati hanno fatto irruzione nel villaggio a bordo di motociclette, gridando “Allahu Akbar”, mentre aprivano il fuoco, spostandosi di casa in casa, incendiando abitazioni e uccidendo tutti.
Nella comunità della città di Yelewata, a est dello stato nigeriano di Benue, i soccorritori si sono trovati davanti a una mattanza. Sul terreno, i corpi carbonizzati e irriconoscibili di uomini, donne e bambini che non hanno fatto in tempo a fuggire dalle proprie case date alle fiamme. 200 i morti. Erano un gruppo di cristiani, sfollati interni, ospitati nei terreni di una parrocchia che si prendeva cura di loro.
Intere famiglie cristiane spazzate via.
Le foto dei cristiani bruciati vivi non sono abbastanza woke per i nostri giornali.
Dal 2009, oltre 50.000 cristiani sono stati assassinati da estremisti islamici in Nigeria.
Il Tg1 e il Corriere della sera ci hanno appena informato che il pinguino imperatore diminuirà molto da qui al 2100. Importante, il pinguino, ma non sarebbe male anche un servizio sui cristiani che, in terra d’Islam, rischiano di scomparire prima del simpatico bipede polare.
Per fortuna stavolta il Papa, Leone XIV, è intervenuto per parlare del “terribile massacro”.
Ma anche i grandi media che ne parlano evitano scientificamente di scrivere che i morti erano cristiani. Basta leggere l’Associated Press. La BBC lo dice a margine della storia, che gli assassini sono islamici e le vittime cristiane. Nessun giornale italiano ne parla. Sarà il caldo che dà alla testa dei giornalisti.
Ho letto invece un articolo straordinario sulla Neue Zürcher Zeitung a firma di Kacem el Ghazzali:
“Nenche Steven, di sette anni, è sopravvissuto miracolosamente. Milizie islamiste Fulani hanno fatto irruzione nella sua casa. Hanno sparato a suo padre, tagliato le braccia a sua madre e tentato di decapitare Nenche e i suoi due fratelli con i machete. Solo Nenche è sopravvissuto. Il suo destino è a malapena menzionato dai media occidentali e le chiese locali parlano a malapena di lui. Mentre gli allarmi sulla presunta ‘islamofobia’ sono popolari negli ambienti di sinistra e religiosi, la sofferenza sistematica di milioni di cristiani perseguitati entra a malapena nel dibattito pubblico. Questo silenzio solleva inquietanti interrogativi sull’empatia selettiva delle società occidentali. Le vittime cristiane non rientrano nella visione del mondo progressista. Nella visione del mondo ideologicamente ristretta di alcuni occidentali progressisti, i cristiani sono classificati come autori di violenze a causa del loro legame storico con il colonialismo occidentale, indipendentemente dalla loro situazione reale. Mentre la violenza contro le minoranze cristiane viene sistematicamente ignorata, qualsiasi critica all’Islam politico viene automaticamente considerata ‘islamofoba’ o ‘razzista’. Allo stesso tempo, a differenza di altri gruppi religiosi, i cristiani non sono percepiti come rilevanti. Né in termini di sicurezza, né in termini economici o politici. La domanda sorge spontanea: dove sono le chiese e i teologi cristiani in Occidente, che sono obbligati a farsi portavoce dei loro fratelli e sorelle nella fede? Rimangono in silenzio e la questione dei cristiani perseguitati viene raramente affrontata nei loro sforzi interreligiosi. Non solo si sforzano di celebrare esteriormente un’armonia teatrale, ma contribuiscono anche facilmente a trasformare la presunta ‘islamofobia’ in uno spauracchio”.
Quanto ha ragione, el Ghazzali.
Alla Germania che spende “150 milioni per lo sviluppo urbano rispettoso del clima e dell’ambiente nella Repubblica Centrafricana” andrebbe spiegato che forse dovrebbe promuovere corsi accelerati di libertà religiosa nel continente.
Con queste premesse, permettetemi di condividere con voi questo articolo di Matti Friedman, ex corrispondente dell’Associated Press a Gerusalemme, che ricorda cosa gli ha insegnato il suo periodo di lavoro sul funzionamento dei media:
“La cosa più importante che ho visto durante il mio periodo come corrispondente per la stampa americana, mi è sembrato, stava accadendo tra i miei colleghi. La pratica del giornalismo – ovvero l’analisi consapevole di eventi caotici sul Pianeta Terra – stava venendo sostituita da una sorta di attivismo aggressivo che lasciava poco spazio al dissenso. Il nuovo obiettivo non era descrivere la realtà, ma guidare i lettori alla corretta conclusione politica, e se questo vi suona familiare ora, era al tempo stesso nuovo e sorprendente per la versione più giovane di me che aveva avuto la fortuna di ottenere un lavoro presso la redazione di Gerusalemme dell’AP nel 2006. La storia di cui mi sono trovato parte proponeva, in effetti, che i mali della civiltà occidentale – razzismo, militarismo, colonialismo, nazionalismo – fossero incarnati da Israele, che veniva trattato più ampiamente di qualsiasi altro paese straniero. Israele occupa un centesimo dell’uno percento della superficie terrestre e un quinto dell’uno percento della massa continentale del mondo arabo. Enfatizzando selettivamente alcuni fatti e non altri, cancellando il contesto storico e regionale e invertendo causa ed effetto, la storia ha dipinto Israele come un paese le cui motivazioni non potevano che essere malevole, responsabile non solo delle proprie azioni, ma anche di aver provocato quelle dei suoi nemici. Ho scoperto che i giornalisti attivisti erano supportati da un mondo affiliato di ong progressiste e accademici che chiamavamo esperti, creando un circolo vizioso di pensiero quasi impermeabile alle informazioni esterne”.
Come sottolinea Friedman, non si tratta affatto solo di Israele:
“Questo ragionamento spiega anche perché la crescente paura della violenza perpetrata dagli estremisti musulmani, un fatto comune in gran parte del Medio Oriente, dell’Africa e, sempre più, in Occidente, debba essere presentata, ogniqualvolta possibile, come frutto dell’immaginazione razzista: una finzione che richiede intensi sforzi mentali e che rappresenta una delle forze chiave che distorce la copertura della realtà globale. Nello strano mondo della sinistra dottrinaria, i fedeli dell’Ebraismo, del Cristianesimo e dell’Induismo sono le persone sbagliate, mentre i seguaci dell’Islam hanno ragione”.
Non capirò mai come possano esistere dei cristiani in Occidente che difendono l’Iran, che è nono nella classifica mondiale dei persecutori di cristiani, fra il Pakistan e l’Afghanistan, ovvero la peste e il colera.
SUDAN - Ucciso da una scheggia di un proiettile di artiglieria il parroco di El Fasher, città assediata
È stato ucciso da un proiettile vagante don Luka Jomo, parroco nella città assediata di El Fasher, in Sudan. Lo ha reso noto in un comunicato la diocesi di El Obeid del 13 giugno. “Cari padri, sorelle e fedeli tutti. È con grande dolore che vi scrivo per informarvi del ritorno alla Casa del Padre di don Luka Jomo questa mattina (13 giugno) alle 3 del mattino a El Fasher. La causa della morte è una scheggia che ha ucciso lui e altri due giovani. Uniamoci in preghiera e chiediamo a Dio Padre che le loro anime riposino in pace”.
El Fasher, la capitale del Nord Darfur, considerata l’ultimo ridotto delle forze armate sudanesi (Sudan Armed Forces SAF) nella regione, controllata quasi interamente dalle rivali Forze di Supporto Rapido (RSF) del generale Mohamed Hamdan “Hemedti” Dagalo che bombardano di continuo la città. Don Jomo è rimasto quindi vittima di questi bombardamenti, non è stato colpito in quanto vittima designata di un omicidio mirato.
Dopo l’Angelus di domenica 15 giugno, Papa Leone XIV ha rivolto il suo pensiero “alla Repubblica del Sudan, da oltre due anni devastata dalle violenze”. Mi è giunta la triste notizia della morte del Rev.do Luke Jumu, parroco di El Fasher, vittima di un bombardamento” ha poi aggiunto il Pontefice. “Mentre assicuro le mie preghiere per lui e per tutte le vittime, rinnovo l’appello ai combattenti affinché si fermino, proteggano i civili e intraprendano un dialogo per la pace. Esorto la comunità internazionale a intensificare gli sforzi per fornire almeno l’assistenza essenziale alla popolazione, duramente colpita dalla grave crisi umanitaria.”
I due anni di guerra civile sudanese scoppiata il aprile 2023 hanno provocato decine di migliaia di morti, 14 milioni di sfollati interni e più di tre milioni e mezzo di rifugiati nei Paesi limitrofi. (L.M.) (Agenzia Fides 16/6/2025)
CILE - Curacautín, incendio doloso nella notte: nuovamente distrutta la cappella di San Francesco
“Con profondo dolore”, la Diocesi di Temuco si stringe alla comunità cattolica di Curacautín, dove “un altro incendio doloso ha devastato una la cappella di San Francisco, nella cittadina di Radalco”. Quello avvenuto nei giorni scorsi, in piena notte, è il secondo attacco alla cappella della parrocchia di San Pedro de Curacautín: già nel 2023, infatti, la struttura era stata distrutta. Subito ricostruita, ora di quel luogo di preghiera non resta che cenere.
Di fronte a questo nuovo atto di violenza, si legge in una nota diffusa dalla Diocesi, il vescovo Jorge Concha Cayuqueo, ha espresso la sua vicinanza invitando tutti i credenti a unirsi in preghiera per la pace: “L’incendio nella cappella di San Francisco è un grave danno alla vita della comunità cristiana e alla gente del luogo. Per i cattolici è un luogo di culto ma ha sempre prestato assistenza all’intera comunità, indipendentemente dal credo religioso”.
“Questa è una comunità molto laboriosa che si era unita nei mesi scorsi per ricostruire la sua cappella. Oggi, ancora una volta, ne subisce la perdita totale. Ma confidiamo nella fede”, le parole del parroco di Curacautín, padre Víctor Núñez.
L’area di Temuco è al centro del cosiddetto “conflitto Mapuche”, dove a scontrarsi sono, per l’appunto, le comunità Mapuche e lo Stato cileno. All’origine del conflitto questioni legate alla terra, all’autonomia e alla cultura indigena. Ed è proprio con un appello alla pace che termina il comunicato diffuso dalla Diocesi: “Alziamo la nostra voce per respingere ogni atto di violenza che minacci gli spazi di fede, incontro e preghiera. Invitiamo l’intera comunità diocesana e tutte le persone di buona volontà a unirsi in preghiera per i nostri fratelli e sorelle di Radalco, per la pace nell’Araucanía e per il rispetto reciproco che ci permette di vivere insieme in fraternità. Che San Francesco d’Assisi, patrono di questa cappella, interceda per la sua comunità e ci ispiri con il suo spirito di pace, riconciliazione e amore per tutto il creato”. (Agenzia Fides 16/6/2025)
SIRIA - Homs, spari contro la croce della cattedrale siro-ortodossa
Proiettili contro la croce innalzata sulla facciata della cattedrale siro- ortodossa della città siriana di Homs. L’atto sacrilego e intimidatorio viene riferito con “cuore pieno di dolore” dall’arcidiocesi siro- ortodossa si Homs, Hama e Tartus, guidata dal 2021 dall’Arcivescovo Timotheos Matta Al-Khoury.
I proiettili contro la Cattedrale di Santa Maria della Cintura Sacra (Umm Al-Zannar), nel quartiere di Bustan Al-Diwan – riferisce l’arcidiocesi in un comunicato – sono stati sparati all’alba di domenica scorsa, alimentando i timori e il senso di insicurezza condivisi da molti nelle comunità cristiane di Siria nell’attuale congiuntura storica attraversata dal Paese.
“Consideriamo questo attacco brutale” si legge nel comunicato “come un attacco diretto contro la pace civile e la convivenza, e affermiamo che simili atti non hanno nulla a che vedere con la morale della brava gente della città di Homs e di tutti i siriani onesti, ma piuttosto puntano a seminare discordia e destabilizzare”.
I responsabili della Arcidiocesi siro-ortodossa chiedono agli attuali detentori del potere in Siria di individuare e perseguire penalmente i responsabili dell’atto di violenza e garantire la sicurezza dei luoghi sacri delle diverse comunità di fede. Chiedono anche ai figli e alle figlie della Chiesa di non lasciarsi travolgere dalla paura, mostrando che simili atti violenti “non ci scoraggeranno dall’aderire al messaggio di amore e di pace invocato da nostro Signore Gesù Cristo, e aumenteranno solo la nostra determinazione a consolidare lo spirito di fratellanza tra tutti i figli della Patria e l’amore per la terra di Siria, per quanto gravi siano le avversità da affrontare”.
La storica Cattedrale di Santa Maria della Cintura Sacra (Um Al Zennar), meta di pellegrinaggi mariani, è la sede dell’Arcivescovo siro ortodosso du Homs, Hama e Tartus. L’attuale struttura risale al XIX secolo, ma diverse fonti attestano che sul sito su cui sorge la chiesa esistevano luoghi di culto cristiani fin dai primi secoli del cristianesimo. Secondo l’esarca greco melchita Joseph Nasrallah (1911-1993), l’esistenza di una chiesa dedicata a Maria a Homs è attestata già nel 478 d. C. (GV) (Agenzia Fides 12/6/2025).