2025 06 11 I “100 giorni di Goma Liberata”
NIGERIA - Rapito sacerdote che dopo aver prestato servizio in Alaska era rientrato in Nigeria per aiutare le vittime di Boko HaramNIGERIA - Massacro in Nigeria dopo la testimonianza di un vescovo statunitense sulla persecuzione dei cristiani
IRAN - Ex richiedente asilo rilasciato dopo 15 mesi nel carcere di Evin
TESTIMONIANZA- CONGO RD - I “100 giorni di Goma Liberata”: una testimonianza del conflitto dimenticato nell’est della RDC
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NIGERIA - Rapito sacerdote che dopo aver prestato servizio in Alaska era rientrato in Nigeria per aiutare le vittime di Boko Haram
“Ho potuto parlare con padre Afina. Sta bene ed è in buone condizioni. Speriamo che possa essere liberato presto” dice all’Agenzia Fides mons. John Bogna Bakeni Vescovo ausiliare di Maiduguri (capitale dello Stato di Borno, nel nord-est della Nigeria), confermando la notizia riportata da alcuni giornali di Fairbanks (in Alaska, USA), del rapimento di padre Alphonsus Afina, un sacerdote nigeriano che per anni ha prestato servizio nella diocesi statunitense.
“Padre Afina è stato rapito la notte di domenica 1° giugno nei pressi di Gwoza mentre rientrava a Maiduguri dopo aver celebrato messa” precisa mons. Bakeni. I rapitori hanno poi contattato la diocesi di Maiduguri per via telefonica fornendo la prova che padre Afina è vivo.
L’area di Gwoza è alquanto insicura per la presenza delle due fazioni principali nelle quali si è diviso Boko Haram, quella denominata Jama’tu Ahlis Sunna Lidda’awati wal-Jihad (JAS). L’altra, l’Islamic State West Africa Province (ISWAP), ha fatto atto di adesione allo Stato islamico, divenendo la “Provincia dell’Africa occidentale” (vedi Fides 7/2/2024).
La notizia del rapimento del sacerdote nigeriano ha suscitato forte emozione nella diocesi statunitense di Fairbanks, dove padre Afina ha prestato servizi per sei anni e mezzo nei villaggi della Penisola di Seward dal 2017 al 2024. Durante la sua permanenza nella diocesi americana Afina ha seguito corsi online per conseguire una laurea in psicologia e consulenza, con l’intenzione di fondare un centro traumatologico per le vittime di Boko Haram una volta tornato a casa in Nigeria.
Il 3 giugno la diocesi di Fairbanks ha celebrato una messa per pregare per il ritorno del sacerdote alla sua famiglia. Più di 200 parrocchiani hanno partecipato alla messa, e altri hanno seguito la trasmissione in diretta streaming dai villaggi nei quali padre Afina ha prestato servizio. (LM) (Agenzia Fides 5/6/2025)
Della testimonianza del Vescovo, di cui parla la notizia seguente, ne abbiamo parlato in
2025 04 30 SPECIALE NIGERIA
NIGERIA - Massacro in Nigeria dopo la testimonianza di un vescovo sulla persecuzione dei cristiani
Un brutale attacco da parte di pastori musulmani estremisti avvenuto domenica (25 maggio), in Nigeria ha causato decine di morti e ha portato al rapimento di un prete cattolico e di diverse suore.
Centinaia di pastori Fulani jihadisti hanno ucciso a colpi d’arma da fuoco circa 40 persone, più della metà delle quali cristiane, in diversi villaggi domenica secondo un rapporto di Truth Nigeria, un’organizzazione umanitaria no-profit che cerca di documentare le lotte della Nigeria contro la corruzione e la criminalità.
(…)
Alcuni degli attacchi di domenica hanno avuto luogo ad Aondona, la città natale del vescovo Wilfred Anagbe di Makurdi, e sembrano essere una ritorsione dopo che Anagbe, missionario clarettiano, ha testimoniato in un’udienza a Capitol Hill a Washington, DC, a marzo, che il governo nigeriano non sta facendo nulla per fermare la persecuzione sistematica e l’eliminazione dei cristiani. Secondo Douglas Burton, direttore di Truth Nigeria, apparso martedì su “EWTN News Nightly” per discutere della violenza in corso e dei rapimenti che avvengono nel Paese dell’Africa occidentale, la violenza nella regione è aumentata dopo la testimonianza di Anagbe nella capitale degli Stati Uniti.
“È una situazione tragica, e la storia è in gioco”, ha detto Burton al conduttore Erik Rosales in merito agli attacchi di domenica nello stato centrale di Benue. “E quello che è successo è che i terroristi Fulani hanno attaccato il villaggio natale di [Anagbe]”.
Come riportato dal National Catholic Register , partner giornalistico gemello di CNA, Anagbe ha testimoniato il 12 marzo davanti alla sottocommissione per gli Affari Esteri sull’Africa della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, affermando che “l’esperienza dei cristiani nigeriani oggi può essere riassunta come quella di una Chiesa sottoposta a sterminio islamista. È spaventoso vivere lì”.
Più tardi quello stesso giorno Anagbe dichiarò a “EWTN News Nightly” che “la persecuzione dei cristiani in generale e dei cattolici in Nigeria è frutto di un programma islamico per conquistare il territorio e trasformarlo in uno stato islamico nell’Africa occidentale”.
Burton ha stimato che il numero delle vittime nel massacro di domenica nel villaggio di Anagbe sia “fino a 36”, sebbene Reuters abbia riportato che il bilancio delle vittime negli attacchi nei villaggi di Ahume, Tyolaha e Tse-Ubiam di quel giorno è di “almeno 42 persone”.
La Nigeria è il paese più grande del continente africano e il sesto più grande del mondo, con una popolazione di circa 236 milioni di abitanti.
(Di Madalaine Elhabbal per CNA 28 maggio 2025)
IRAN - Ex richiedente asilo rilasciato dopo 15 mesi nel carcere di Evin
Una convertita al cristianesimo ed ex richiedente asilo, condannata a due anni di prigione al suo ritorno in Iran, è stata rilasciata con la condizionale dopo oltre 15 mesi di carcere.
Laleh Saati, 46 anni, è stata rilasciata dalla prigione Evin di Teheran sabato 31 maggio, a condizione che si astenga dal parlare con i media o altri contatti all’estero, secondo il sito web in lingua persiana Human Rights in Iran.
A Laleh sarebbe stata anche comunicata che il divieto di viaggio di due anni, previsto dalla sua condanna, sarebbe ora entrato in vigore.
Secondo Human Rights in Iran, la convertita al cristianesimo ha trascorso le sue ultime settimane in prigione nel famigerato reparto 209, sotto il controllo del Ministero dell’Intelligence, e di conseguenza si trova in uno “stato psicologicamente instabile”.
La salute mentale di Laleh è stata fonte di preoccupazione per tutta la durata della sua prigionia, iniziata nel febbraio 2024, soprattutto dopo che le sono state negate la libertà vigilata e le cure mediche.
Secondo quanto riferito, sia lei che sua madre sarebbero state minacciate di un’altra condanna la scorsa estate, a seguito della pubblicità ricevuta dal caso di Laleh.
Dopo la sentenza del marzo 2024, il direttore di Article18, Mansour Borji, ha affermato che “il caso di Laleh dimostra chiaramente che le attività cristiane dei richiedenti asilo nei paesi stranieri possono essere usate contro di loro nei procedimenti giudiziari in Iran”.
Tra le prove utilizzate per condannare la convertita al cristianesimo c’erano fotografie e video delle sue attività cristiane e del suo battesimo in Malesia, dove Laleh aveva chiesto asilo, prima di tornare nel 2017, frustrata per i tempi lunghi impiegati per elaborare la sua richiesta e anche per ricongiungersi con i suoi anziani genitori.
Il signor Borji ha aggiunto: “Spero che le autorità per l’immigrazione di tutto il mondo ne prendano nota e ci pensino due volte prima di respingere a priori le richieste di asilo di autentici cristiani che potrebbero subire persecuzioni al loro ritorno nel Paese di origine”.
(Articolo 18 4 giugno 2025 ripreso da Asia News)
TESTIMONIANZA
CONGO RD - I “100 giorni di Goma Liberata”: una testimonianza del conflitto dimenticato nell’est della RDC
“Goma capitale della Regione del Nord Kivu: 2.000.000 di abitanti. Città occupata, in ginocchio. Allungata lungo le rive del lago Kivu, accarezzata dal tepore del vulcano Nyiragongo, la sua bellezza e la sua pace da una trentina d’anni si stanno trasformando in lacrime di paura e di morte”. Inizia così la testimonianza pervenuta all’Agenzia Fides da Goma città caduta nelle mani dei ribelli dell’M23 a fine gennaio. La pubblichiamo integralmente omettendo il nome dell’autore per questioni di sicurezza.
“Il 28 gennaio scorso, dopo due giorni di accaniti combattimenti dell’esercito regolare congolese, aiutato da “Wazalendo” (patrioti-partigiani), contro l’AFC (Alleanza del Fiume Congo) e M23 (Marzo 23, gruppo ribelle invasore con supporto dell’esercito ruandese), la città è stata per un’ennesima volta “liberata”. Una liberazione che ha falciato la vita di migliaia di cittadini innocenti; morti sulle strade, nelle case senza protezione perché in gran parte fatte di tavole.
Si sono aperte ferite che dopo 100 giorni sono ancora sanguinanti nel corpo e nella memoria. Ma altre ferite si stanno ancora aprendo. Feriscono la libertà di espressione, la dignità della persona umana, il diritto a una vita serena, a una pace dello spirito e del corpo.
Oggi la legge del terrore corre lungo la canna del fucile ei nodi del bastone. Non ci sono più tribunali legali. Alcuni luoghi, detti di detenzione (alias tortura), ne hanno preso il posto. Non ci sono più le prigioni (circa 3.000 prigionieri si sono volatilizzati durante la presa della città): i giudizi sono spesso sommari e immediati anche a cielo aperto.
La notte diventa un incubo per i quartieri più indifesi: uomini in armi vi fanno irruzione per rubare e stuprare. Sono ex-prigionieri, ex-militari dell’esercito regolare congolese nascosti nei sobborghi, ex-wazalendo, ex… ex…; con il favore delle tenebre si perde ogni identità. Non è raro che alcuni vengano catturati dalla gente che viene in soccorso alle famiglie attaccate: al mattino i loro corpi giacciono abbandonati sulla strada. A volte pure bruciati. La paura, la rabbia, la mancanza di una struttura legale di diritto danno “diritto” a una giustizia popolare impersonale.
La caccia ai presunti autori hutu del genocidio del 1994 in Ruanda, (attualmente conosciuti come FDLR- Forze Democratiche di Liberazione Ruandesi) nascosti nei quartieri, è spesso un pretesto per una resa dei conti di vecchie inimicizie a volte anche di carattere etnico. Così le tensioni già esistenti si acuiscono. Gli arresti e sparizioni di persone, spesso per motivi futili o sconosciuti, fanno parte della politica di oppressione perché nessuno possa alzare la testa, perché le lingue si secchino.
Il sistema finanziario è bloccato: le banche sono chiuse. Tutti i dipendenti statali, compresi gli insegnanti delle scuole convenzionate, ricevonovano lo stipendio con il sistema bancario, e sono sempre in attesa di una soluzione che non arriva. Pure il commercio con l’interno del Paese e all’estero è paralizzato. L’aeroporto internazionale, polmone della vita della città, bombardato e manomesso durante la battaglia per la presa della città, è inagibile.
Le promesse per mantenere viva la speranza per un avvenire prossimo migliore – propaganda di occupazione che paragona il nuovo regime di “liberazione” migliore con il vecchio regime di Kinshasa corrotto e inefficace - sono tante; ma sfumano con il passare dei giorni.
Molti giovani, delusi della vita o disperati per la rabbia, si arruolano volontari per andare a combattere nell’esercito dei nuovi padroni contro l’esercito regolare del governo centrale. Soluzione o illusione? Morire per morire: vale la pena tentare.
Ma la lotta per la vita non è stata infranta. La gente si aiuta reciprocamente, in mille maniere. Le decine di migliaia di sfollati i cui campi sono stati smantellati dai nuovi dirigenti, hanno trovato rifugio presso amici o parenti o gente di buona volontà. Condividono le stesse paure, le stesse sofferenze, ma anche le stesse speranze.
Le croci aumentano, a volte anche invisibili perché delle persone scompaiono non vi sono più tracce. Ma fra le rocce della lava nera del vulcano Nyiragongo, disseminatevi lungo i sentieri dei quartieri, stanno spuntando dei fiori. Con difficoltà, perché la terra è ancora imbibita di sangue. Sono fiori dallo stelo esile, ma profumati e colorati: fiori rossi colore delle lacrime calde versate ogni giorno; fiori verdi della speranza e della resilienza perché la vita non muoia; fiori simbolo di una nuova società: la nuova società del Congo che sta nascendo fra le ceneri della guerra. Si, perché la vita è come il sole: per quanto lunga e burrascosa sia la notte, all’alba il sole riappare”.
(Agenzia Fides 14/5/2025)