2025 05 28 KENYA - Sacerdoti uccisi
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NIGERIA - Ferito un prete
COMMENTO di Giulio MEOTTI
PAPA LEONE XIV E CINA
I viaggi in Cina e le missioni agostiniane nell’Hunan
TESTIMONIANZA: Preti cinesi, la nuova croce della ‘registrazione’
KENYA - Ucciso un altro sacerdote in Kenya
Ucciso un altro sacerdote cattolico in Kenya. Padre Alloyce Cheruiyot Bett, è stato ucciso a colpi d’arma da fuoco nella zona di Tot nella valle di Kerio, Elgeyo Marakwetm nell’altopiano occidentale del Kenya.
L’omicidio è avvenuto ieri, 22 maggio, quando al termine della messa celebrata nella Jumuiya (piccola comunità cristiana) nel villaggio di Kakbiken, alcuni uomini armati hanno iniziato a sparare colpi di arma da fuoco, uno dei quali ha colpito al collo Padre Bett uccidendolo all’istante.
La polizia keniota ha dichiarato di aver arrestato sei persone in relazione all’omicidio del sacerdote.
Sebbene si sia ipotizzato un tentativo di rapina finita male, un portavoce della polizia ha affermato che l’assassinio di padre Bett non è in alcun modo collegato ai furti di bestiame o altre forme di banditismo che colpiscono l’area.
Fonti locali hanno avanzato l’ipotesi che gli assassini avessero sospettato che il sacerdote fosse un informatore della polizia che stava difendendo le forze dell’ordine in relazione ad un’operazione di sicurezza in corso nell’area.
Padre Tott è il secondo sacerdote cattolico ucciso in Kenya in una settimana. Il 15 maggio Padre John Ndegwa Maina, parroco della chiesa di St Louis a Igwamiti, era deceduto in ospedale dopo che era stato trovato gravemente ferito, ma ancora vivo, sul ciglio dell’autostrada Nakuru-Nairobi, a diversi chilometri di distanza dalla sua parrocchia (vedi Fides 21/5/2025). (LM) (Agenzia Fides 23/5/2025)
KENYA - Morto in ospedale sacerdote ritrovato in fin di vita lungo l’autostrada Nakuru-Nairobi
Lutto nella Diocesi di Nyahururu, in Kenya, per la morte del sacerdote John Ndegwa Maina, parroco della chiesa di St Louis a Igwamiti.
L’annuncio è stato dato dalla stessa Diocesi con un breve comunicato: “La Diocesi cattolica di Nyahururu informa del passaggio alla gloria eterna del reverendo John Maina Ndegwa. È deceduto durante le cure all’ospedale St. Joseph Gilgil. Ulteriori informazioni saranno trasmesse a tempo debito. Preghiamo per la sua anima e la sua famiglia in questo momento difficile”.
Secondo quanto riportano i media locali, il sacerdote sarebbe stato trovato gravemente ferito, ma ancora vivo, sul ciglio dell’autostrada Nakuru-Nairobi, a diversi chilometri di distanza dalla sua parrocchia, nella giornata di venerdì 15 maggio. Soccorso dal personale sanitario, don Maina è deceduto una volta giunto in ospedale.
Il parroco - pubblicato ricostruzioni e indiscrezioni ancora prive di conferme ufficiali - potrebbe essere stato ferito mortalmente in un luogo diverso da quello in cui è stato ritrovato. Nelle prossime ore si attende il risultato dell’autopsia, disposta dalle autorità competenti per chiarie le cause della morte.
Nel frattempo la comunità cattolica di Igwamiti si è stretta nel dolore e nella preghiera. Durante il fine settimana appena trascorso diverse celebrazioni sono state officiate in suffragio del parroco John Ndegwa Maina. (FB) (Agenzia Fides 21/5/2025)
NIGERIA - Ferito un prete lungo la strada Makurdi-Naka definita “la via più breve per l’inferno”
Abuja (Agenzia Fides) – Un sacerdote cattolico Padre Solomon Atongo è rimasto gravemente ferito dopo essere stato raggiunto da colpi di arma da fuoco, la sera del 24 maggio. Padre Atongo si trovava in compagnia di due persone quando i malviventi hanno attaccato il mezzo sul quale viaggiavano lungo la strada Makurdi-Naka nello Stato di Benue, nel sud-est della Nigeria. Dopo aver sparato al sacerdote e averlo creduto morto, i banditi hanno portato via le altre persone verso una destinazione sconosciuta.
A diffondere la notizia del trasferimento del sacerdote, che presta il suo servizio presso la St. John’s Quasi Parish di Jimba, è stato un comunicato firmato dal Cancelliere della diocesi di Makurdi, don Shima Ukpanya: “Scrivo a nome del Vescovo della Diocesi Cattolica di Makurdi, Mons. Wilfred Chikpa Anabge, per informare e chiedere le vostre preghiere per la pronta guarigione di uno dei nostri sacerdoti, il Rev.mo Padre Solomon Atongo, aggredito e ferito a colpi d’arma da fuoco questa sera nei pressi di Tyolaha, Makurdi-Naka Road, Comune di Gwer West, da parti di presunti pastori terroristi”. Un riferimento alle bande di pastori Fulani che si sono rese responsabili di rapine violente, di omicidi e rapimenti in diverse aree della Nigeria.
Negli ultimi due anni la strada Makurdi-Naka è stata teatro di attacchi e violenze da parte di bande criminali, tanto è vero che è stata soprannominata la “la via più breve per l’inferno”. La strada, in completo stato di degrado, è diventata una sorta di rifugio per banditi armati che hanno trasformato l’esteso tratto di foresta lungo quell’asse in accampamenti e nascondigli. Tra le loro vittime vi sono persone abbienti, dirigenti politici e pubblici ufficiali, nonché semplici cittadini, oggetto di rapimenti a scopo di estorsione. (LM) (Agenzia Fides 26/5/2025)
Sulla Nigeria e sui cristiani perseguitati commenta GIULIO MEOTTI:
Sudari milanesi per trenta cristiani uccisi dai fondamentalisti islamici ne abbiamo?
I video delle fosse comuni non abbastanza profonde da contenere tutti i cristiani fatti a pezzi, l’infiltrazione (anche a Milano) dei Fratelli Musulmani e la convergenza dell’odio antioccidentale di Giulio Meotti 26 mag 2025
Trenta corpi impilati in una fossa comune. Il video delle vittime dell’ultima strage dei cristiani in Nigeria. Fosse comuni mai abbastanza profonde da contenere tutti i martiri dello scontro di civiltà.
Nigeria: almeno 23 morti negli attacchi nello Stato di Benue
Poiché molti pastori appartengono al gruppo etnico musulmano Fulani e molti contadini sono cristiani, gli attacchi nella cosiddetta Middle Belt nigeriana assumono spesso una dimensione religiosa o etnica.
Le Monde con AFP Pubblicato il 12 maggio 2025
Sudari milanesi per questi cristiani uccisi dal fondamentalismo islamico ne abbiamo ancora a Milano o sono tutti per Gaza e le menzogne di Hamas(...)
In tutte le classifiche dei cristiani perseguitati, sui primi 15 paesi 13 sono islamici (le altre sono dittature comuniste). Però abbiamo la Giornata contro l’islamofobia celebrata dalle Nazioni Unite e anche il Consiglio d’Europa ne ha istituita una.
Intanto le stragi di cristiani si susseguono nell’ignominia silente dell’Occidente.
Decapitano anche i bambini cristiani. Di un attacco con 33 vittime cristiane in Nigeria quattordici erano bambini. Uno è stato decapitato. Molti bruciati vivi. Come riportato dalla stampa locale, le vittime sono state seppellite in una fossa comune.
Nigeria: bambino di 5 anni decapitato, 33 uccisi CSW Di Agnes Aineah
Kaduna, Nigeria, 20 aprile 2023 / 14:30
Un bambino di 5 anni sarebbe stato decapitato quando gli islamisti hanno attaccato un villaggio nello stato meridionale di Kaduna, in Nigeria, uccidendo decine di persone.
A Pasqua, 113 cristiani uccisi. Le fosse comuni ne contengono da 30 a 40 per volta. Il 13 aprile, Domenica delle palme, 54 cristiani sono stati massacrati dopo le celebrazioni religiose in un solo villaggio.
Nel 2024, in tutto il mondo, 4.476 cristiani, in media più di 12 al giorno, sono stati “uccisi per motivi legati alla fede”. Secondo la World Watch List, in tutto il mondo, un cristiano su sette (14 per cento) è perseguitato. In Africa, la percentuale vendita a uno su cinque (20 per cento).
Niente in Occidente.
Niente sul prete assassinato questa settimana in Kenya. (...)
E così si consuma la spaventosa convergenza dei fanatismi antioccidentali. Benedict Kiely, il sacerdote fondatore di Nasarean, l’organizzazione che aiuta i cristiani perseguitati, ha incontrato i cristiani fuggiti dall’Isis. Un anziano sacerdote afferrò la mano di Kiely e gli disse : “Stai attento, stai molto attento. Quello che è successo qui verrà da te”. Io mi segnalerò le sue parole.
PAPA LEONE XIV E CINA
I viaggi in Cina e le missioni agostiniane nell’Hunan
Al cardinale di Hong Kong Stephen Chow, il papa ha raccontato di “aver visitato la Cina e conosciuto la sua realtà e cultura”. Un fatto inedito per un pontefice, legato al lungo mandato di priore generale di un ordine che per volontà di Leone XIII (il pontefice di cui ha ripreso il nome) ha avuto propri missionari e vescovi nell’Hunan fino all’espulsione decretata da Mao. E che dopo gli anni Ottanta ha ricostruito legami e presenze nella diocesi di Changsha attraverso la provincia delle Filippine.
Robert Francis Prevost “si è recato in Cina più di una volta, e ha conosciuto la cultura e la realtà cinese”. Queste parole del card. Stephen Chow Sau-yan - il vescovo di Hong Kong - pronunciate in un’intervista sul conclave e il nuovo pontefice pubblicata nello scorso settimana fine dai media diocesani di Hong Kong, hanno destato grande interesse, rivelando un dettaglio importante su Leone XIV. In molti si chiedono quale sarà il suo sguardo verso la Cina, dopo le aperture di papa Francesco culminate nell’Accordo del 2018 sulla nomina dei vescovi. Spesso è stato citato negli ultimi anni anche il sogno di vedere un papa visitare Pechino e i cattolici della Cina continentale. Queste parole del card. Chow rivelano un fatto inedito per la Chiesa cattolica: chi siede oggi sulla cattedra di Pietro, nella Cina continentale ci è già stato. Un fatto non da poco, considerato che tra i predecessori solo Paolo VI nel 1970 aveva sostato anche a Hong Kong (allora ancora colonia britannica) durante il suo viaggio apostolico in Asia, mentre Josef Ratzinger aveva tenuto conferenze nella stessa metropoli da cardinale prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, molto prima di diventare papa Benedetto XVI.
L’accenno ai viaggi in Cina di Prevost è però prezioso anche per un altro motivo. Come per tutti i suoi viaggi da priore generale degli agostiniani - carica ricoperta dal 2001 al 2013 - anche su queste visite in Cina dell’attuale pontefice non esistono informazione sui siti e sulle pubblicazioni dell’ordine. È abbastanza facile, però, dedurne il contesto: come tanti altri istituti missionari, infatti, anche l’ordine a cui appartiene Leone XIV ha avuto una storia importante di presenza e amicizia con la Cina. Un legame che non è solo un fatto del passato.
Il nome più conosciuto è quello di Martin de Rada (1533-1578), un agostiniano di origini spagnole che a Cebu nelle Filippine si era dedicato allo studio del cinese e nel 1575 aveva accompagnato una delegazione spagnola alla corte dei Ming in Cina. Questo viaggio - avvenuto sette anni prima dell’arrivo del gesuita Matteo Ricci a Macao - fu il primo incontro in assoluto tra un missionario cattolico dell’era moderna e il mondo cinese. E la dettagliata relazione che Martin de Rada scrisse subito dopo quel viaggio ebbe un’importanza fondamentale nell’introdurre l’Europa del XVI secolo alla cultura dell’Oriente.
Ma tre secoli dopo Martin de Rada, il filo rosso che lega gli agostiniani alla Cina si riannodò attraverso una presenza missionaria stabile voluta proprio da papa Leone XIII, il pontefice a cui Prevost ha voluto richiamarsi nel nome scelto al momento dell’elezione. Fu infatti lui nel 1879, con il breve Ex debito Pastoralis Officii, ad affidare agli agostiniani filippini della Provincia del Santissimo Nome di Gesù la missione del nord dell’Hunan, una provincia della Cina meridionale, con la creazione di un vicariato apostolico. Secondo le cronache dell’ordine in pochi anni lì stabilirono missioni molto vivaci, soprattutto nelle aree delle attuali città di Changde, Lixian e Yueyang. Vescovi agostiniani hanno guidato per settant’anni quella che nel 1946 venne eretta formalmente come la diocesi di Changde, sotto la provincia ecclesiastica di Changsha.
Come tutti gli altri missionari stranieri, anche gli agostiniani all’inizio degli anni Cinquanta furono poi espulsi dal regime comunista cinese, compreso il vescovo mons. Gerardo Faustino Herrero Garrote. Ma, a testimonianza di quanto questa presenza fosse stata vitale per la Chiesa locale, fu comunque a un agostiniano, fra Michael Yang Gaojian - che era sacerdote dal 1938 ed era già il superiore regionale dell’ordine per la Cina - l’uomo che le autorità scelsero come vescovo “patriottico” di Changde e che venne poi ordinato nel 1958, nel primo gruppo di consacrazioni episcopali avvenute senza il mandato del papa. Anche un altro frate agostiniano cinese, fra James Li Shu-ren, in quello stesso anno fu ordinato vescovo “patriottico” di Yueyang, città dell’Hunan dove significativamente la chiesa locale porta tuttora il nome di Sant’Agostino.
Mons. Yang Gaojian - figura rilevante all’interno della storia dell’Associazione patriottica - è morto nel 1995 e due anni dopo anche mons. Li Shu-ren. Nel frattempo il ridisegno attuato dalle autorità cinesi delle circoscrizioni ecclesiastiche ha inglobato tutta la parte settentrionale dell’Hunan nell’unica diocesi di Changsha, il capoluogo amministrativo dell’intera provincia, che dal 2012 è guidata da mons. Methodius Qu Ailin, un vescovo che oggi ha 64 anni, nominato con l’assenso di Roma secondo le modalità precedenti all’Accordo del 2018. Ed è nell’ambito di questa diocesi che tuttora gli agostiniani - attraverso il loro Vicariato dell’Oriente che ha sede nelle Filippine - mantengono una presenza nel nord dell’Hunan.
Molto significativa è anche la storia delle suore missionarie agostiniane che proprio in quest’area della Cina – dopo la tempesta della Rivoluzione culturale – in anni recenti hanno ricostituito la loro famiglia religiosa. Erano stati i vescovi agostiniani dei vicariati e delle prefetture del nord dell’Hunan a insistere per la presenza di un gruppo di religiose, desiderio che si era realizzato nel 1925 con l’arrivo di quattro suore agostiniane spagnole che per 25 anni hanno vissuto il loro ministero al servizio della comunità locale. Anche loro nel 1950 dovettero partire; ma il seme da loro gettato, nonostante lo scioglimento forzato e le immense sofferenze degli anni della persecuzione, non è andato perso. Negli anni Ottanta, quando in Cina con Deng Xiaoping arrivarono le prime aperture nella politica religiosa, un’anziana donna che era stata una suora agostiniana ha radunato attorno a sé alcune giovani ridando vita all’istituto e riprendendo i contatti con la casa generalizia. Così – scrivono le missionarie agostiniane sul loro sito internet – “oggi ci sono 4 suore agostiniane cinesi che vivono in Cina. Si dedicano al lavoro pastorale nella parrocchia dove vivono e in altri villaggi circostanti. Il loro ministero pastorale consiste nell’accompagnare i cattolici nel vivere la loro fede. Visitano le famiglie, i malati, pregano con loro, preparano e guidano le liturgie”.
Non è difficile immaginare che queste comunità nella provincia dell’Hunan siano state una delle tappe delle visite di Robert Francis Prevost in Cina. E che attraverso il contatto con gli agostiniani e le agostiniane cinesi e con la provincia filippina dell’ordine - da lui visitata nel 2004 e nel 2008 - si sia formato quella conoscenza “della cultura e della realtà cinese” di cui ha parlato il card. Chow. Un’esperienza quanto mai preziosa per un papa missionario che guarda con questi occhi anche alle sfide della Cina di oggi.
(di Giorgio Bernardelli Asia News 21/05/2025)
TESTIMONIANZA
Preti cinesi: la nuova croce della ‘registrazione’
di un prete “sotterraneo” cinese
Il 24 maggiosi celebra la Giornata di preghiera per i cristiani in Cina, voluta da Benedetto XVI nella festa della Madonna di Sheshan. Un’occasione per celebrare la comunione con la Chiesa in Cina ma anche per ricordarne le sofferenze. Ad AsiaNews la testimonianza di un sacerdote “sotterraneo” che spiega quali difficoltà concrete comporta l’adesione all’Associazione Patriottica che con sempre più durezza Pechino sta cercando di imporre all’ombra dell’Accordo con la Santa Sede del 2018.
Il 24 maggio, la Chiesa celebra la Giornata di preghiera per i cristiani in Cina, istituita da papa Benedetto XVI nel 2007 in concomitanza con la festa di Maria Ausiliatrice, venerata in Cina in maniera particolare nel santuario della Madonna di Sheshan a Shanghai. La Giornata odierna è l’occasione per i cattolici di tutto il mondo per rinnovare la comunione con le Chiese della Cina continentale, ma anche per ricordare le loro sofferenze e i problemi che tuttora esistono nell’esercizio della libertà religiosa.
Per questo AsiaNews pubblica in questa giornata questa lettera ricevuta da un sacerdote “sotterraneo” cinese su un tema particolarmente delicato: la questione della “registrazione ufficiale” che le autorità cinesi richiedono oggi a tutti i sacerdoti, facendosi forza anche dell’Accordo del 2018 con la Santa Sede sulla nomina dei vescovi, che pure non richiede questo adempimento. Mese dopo mese le pressioni vanno facendosi più insistenti, soprattutto in quelle province dove tuttora esistono significative comunità “sotterranee”, che in coscienza ritengono di non dover aderire all’Associazione Patriottica dei cattolici cinesi, fortemente influenzata dal controllo e dall’ideologia del Partito.
In questa lettera il sacerdote spiega nel dettaglio perché la registrazione non è solo un atto formale, ma un problema molto concreto per l’esercizio del proprio ministero pastorale. E le difficoltà che una volta avvenuta comporta nella vita di un prete.
Quando il clero sceglie di “registrarsi ufficialmente”, cioè di aderire all’Associazione Patriottica dei cattolici cinesi riconosciuta dal governo e al sistema ufficiale, pur ottenendo legalmente uno “status legittimo”, sul piano pastorale e della coscienza religiosa si trova ad affrontare una serie di sfide complesse.
1. La lacerazione e il conflitto interiore della coscienza religiosa
• Il conflitto di coscienza
La Chiesa cattolica sottolinea la “libertà della coscienza” e la “fedeltà alla fede”. Entrare nell’Associazione Patriottica significa accettare la leadership di un’organizzazione messa in dubbio dalla Chiesa universale.
Per alcuni sacerdoti, la registrazione appare come una compromissione con il potere politico, generando un senso di colpa per “tradimento della fede”, che si accumula nel tempo.
• Ambiguità nella comunione con il Papa
Sebbene papa Francesco, per motivi pastorali, abbia accettato la legittimità di alcuni “vescovi registrati”, l’accordo sino-vaticano non impone ai sacerdoti l’obbligo di registrazione.
Una volta registrati, alcuni sacerdoti possono essere fraintesi come “non più fedeli alla Santa Sede”, generando una zona grigia nella loro identità ecclesiale.
2. Spazi pastorali ampliati, ma con molte limitazioni
• Celebrazioni pubbliche sotto controllo
Possono celebrare messe, predicare e amministrare sacramenti nelle chiese approvate dal governo.
Tuttavia, i contenuti delle omelie devono evitare temi sensibili come l’autorità papale, la Chiesa universale, le persecuzioni religiose e la situazione della Chiesa sotterranea.
Le chiese sono spesso dotate di telecamere, e personale governativo può assistere o addirittura intervenire durante le omelie.
• Libertà amministrativa limitata
Organizzare eventi, corsi di formazione, catechismo per giovani richiede un’approvazione;
Non è possibile dare vita liberamente a seminari o gruppi di formazione vocazionale;
I fedeli devono ottenere l’approvazione ufficiale per svolgere ruoli di predicazione o conferenze, limitando la collaborazione pastorale con i laici.
• La necessità di rinnovare continuamente le certificazioni crea stanchezza mentale nel clero.
3. Crisi di fiducia da parte della comunità dei fedeli
• Allontanamento dei fedeli sotterranei
I fedeli che da tempo seguono la fede “sotterranea” possono considerare i sacerdoti registrati come “compromessi, sconfitti”;
Le reti di fedeli familiari possono interrompersi, compromettendo la continuità pastorale.
• Reazioni complesse tra i fedeli ufficiali
Alcuni fedeli ufficiali accettano i sacerdoti registrati, ma a causa della complessa storia ecclesiale possono restare cauti nei confronti della loro identità;
Trovarsi non pienamente accettati da entrambi i lati può far sentire i sacerdoti registrati come “isolati”.
4. Pressioni per una “nuova trasformazione” o un “auto-azzeramento”
• Continui “ripulimenti” nelle politiche attuate
La registrazione iniziale può apparire solo come un “registro”, ma successivamente il governo richiede:
partecipazione a corsi politici;
organizzazione di conferenze sui “valori fondamentali del socialismo”;
enfasi sullo slogan della “sinicizzazione della religione”;
collaborazione nella rimozione delle croci, nell’esposizione della bandiera nazionale;
“De-sacralizzazione” delle decorazioni e del linguaggio liturgico della Chiesa.
Ogni adesione a questi obblighi rappresenta una nuova “trasformazione” che può ulteriormente diluire la fede.
• Essere “intermediari” nella lotta tra governo e religione
Costretti a mediare tra “stabilità sociale” e “cura pastorale”;
Soggetti a domande da parte dei fedeli e ordini da parte del governo, portando a esaurimento psicofisico e ansia di fede.
5. Ambiguità a lungo termine nella spiritualità e nell’identità
• Crisi di identificazione interiore
Pur essendo “legalmente riconosciuti”, possono sentirsi con un’”identità di fede confusa”;
Facile perdita del senso del ministero, auto-negazione, ritiro e persino insofferenza.
• Arresto della crescita spirituale
Per “sicurezza” devono praticare l’”auto-censura”;
Non osano più parlare di vocazione, di incoraggiare i giovani al sacerdozio, né di predicare la verità;
Diventano gradualmente “formali e burocratici”, perdendo il ruolo di profeti.
Conclusione: la registrazione non è la fine, ma una nuova croce
I sacerdoti registrati si trovano in una situazione molto delicata: apparentemente acquisiscono legittimità, ma interiormente affrontano sfide spirituali più profonde rispetto ai loro colleghi sotterranei.
Riusciranno a:
• Mantenere intatta la fede?
• Guidare pastoralmente i fedeli senza perdere autenticità?
• Conservare la coscienza e la testimonianza all’interno del sistema?
È un cammino che richiede grande saggezza, coraggio e preghiera per poterlo percorrere fino in fondo.
(Asia News 24/05/2025)